2022: UN ANNO CHE RIPAGA GLI ASCOLTI

Nel 2022, senza che nemmeno lo realizzassi pienamente, mi sono imposto un ritmo di ascolto di nuove uscite mai tanto serrato – dati alla mano, da quando esisto come ascoltatore non ho mai seguito la musica pubblicata nell’anno corrente con tanta dedizione come ho fatto negli ultimi dodici mesi. Per dire, la mia libreria di MusicBee sostiene che quest’anno abbia ascoltato 390 dischi (inteso in senso lato, e quindi contando anche EP, live, compilation d’archivio, mixtape, etc.): per trovare un’annata di cui ho ascoltato più materiale, bisogna addirittura risalire fino al 1997, che è stato ampiamente storicizzato e che comunque vince il confronto soltanto per una decina di titoli. Nel nuovo millennio, solo i 330 dischi del 2019 si avvicinano (e nemmeno troppo) alla quota del 2022.Sono statistiche e cifre di cui non me ne fregherebbe nulla in generale – certo, ovviamente il tempo dedicato all’approfondimento del 2022 è stato sottratto a quello da destinare alla scoperta di musica del passato, ma non è che sia stato un anno di privazioni nemmeno in tal senso – però la dice lunga su quanto la serializzazione (più o meno) settimanale degli articoli di Livore abbia impattato sulle mie abitudini di ascolto e sul mio impegno attivo nel provare il maggior numero possibile di dischi che passavano dal mio radar. E devo dire che questo approccio ha premiato: il 2022 finisce lasciandomi la netta sensazione di essermi arricchito, di aver scoperto e di essermi goduto un sacco di musica nuova, di avere aggiunto alla mia collezione un discreto numero di lavori che rimarranno con me – un’intensa sensazione di ottimismo ed eccitazione che sinceramente non provavo da un po’ di tempo, con buona pace di quella tendenza tutta italiana che porta a tirare le somme a fine anno con malcelato annoiato snobismo e che fa dire con un mezzo sbadiglio “sì, la musica nuova la ascolto, ma tanto fa quasi tutto schifo”. (Se non avete bene idea a quale atteggiamento mi stia riferendo, potete schiarirvi le idee dando una letta al resoconto 2022 di Stefano Pifferi su Sentireascoltare, ma anche al goffo commento di Federico Sardo su RivistaStudio.) Perché se si ha un attimo la voglia di impegnarsi per scoprire cos’ha da offrire il rock nel 2022 oltre all’insignificante revival post-punk, se si ha l’intuizione che non tutto il jazz contemporaneo si esaurisca nelle cafonate strombazzate da mezza stampa dei Comet Is Coming e di DOMi & JD Beck, e se ovviamente si ha la decenza di non credere che nulla in ambito pop possa essere più interessante dei nuovi dischi di Beyoncé e Weyes Blood, si può scoprire un popoloso universo di suoni elettrizzanti e affascinanti, ben capace di bucare anche la più corazzata armatura di tediata nostalgia di non meglio precisati tempi passati in cui c’era meno musica ma migliore. Anzi, se vogliamo dirla tutta, il problema che ho riscontrato quest’anno è stato piuttosto l’opposto: il 2022 ha elargito molte e rilevanti soddisfazioni – a partire da quel miracolo a cavallo tra hip hop, tecniche spettraliste e improvvisazione jazz che è Xaybu: The Unseen, di cui vi ho già parlato abbondantemente e che rappresenta quasi certamente il mio AOTY. Così, la musica almeno interessante trovata nel corso dell’anno si è rivelata troppa rispetto al tempo materiale a mia disposizione per spenderci un adeguato numero di parole: questo (non così breve) recap è un pigro quanto tardivo tentativo di dare un po’ di giustizia al piacere ricavato dall’ascolto di vari di questi lavori; in ogni caso, conto di esprimermi in maggiore dettaglio su alcuni di questi nel prossimo futuro. Segue pippone: se vi interessano soltanto le classifiche e le liste dei miei dischi e brani dell’anno, consiglio di scrollare un po’ più in fondo.

Innanzitutto c’è il rock, ovviamente, che tuttora copre la percentuale più generosa della mole dei miei nuovi ascolti. Pur avendo trovato in questo campo diversa musica di buona – quando non eccellente – qualità, ho scritto molto poco a riguardo: l’unica grossa eccezione sono stati i Balungan, che mi hanno conquistato con il loro equilibrato e creativo connubio tra RIO e gamelan (tra l’altro incoraggiandomi a scoprire e a riscoprire precedenti casi di crossover tra rock e musica tradizionale indonesiana, come quelli attuati da Harry Rusli e dai Guruh Gypsy negli anni Settanta – anche questo è un merito). Per il resto, ho apprezzato molto anche io i vari Show Me the Body, Yonatan Gat ed Editrix, ma ho peccato un po’ di indolenza quando si è trattato di parlare degli Eunoia – questo gruppo americano che prima di implodere giusto un po’ di mesi fa ha fatto in tempo a tirare fuori un disco capace di stabilire una connessione tra il post-hardcore più emotivo e adolescenziale degli anni Ottanta in stile Hüsker Dü e Bitch Magnet, e le robe più bizzarre del metal sotto l’ala protettrice di Colin Marston. Il titolo e i concept sono roba da complottisti sciroccati, ma tutto sommato anche questi contribuiscono al fascino di un’uscita che forse meritava più attenzione, e di certo molta di più di quella dedicata a quegli scemi dei Black Country New Road o alle varie copie delle copie dei Sonic Youth e dei Fall targate Fontaines D.C., Yard Act e Dry Cleaning (ma anche alla loro declinazione no wave, i Gilla Band). 

Per quanto riguarda l’altro mio amore intramontabile – cioè: il metal – vi ho parlato già a suo tempo dei dischi belli o bellissimi dei vari Aeviterne, Imperial Triumphant, Luminous Vault, Cloud Rat, e pure dei nostrani Messa per quanto riguarda gli achievement nazionali; ho pure dedicato qualche parola a un lavoro come quello degli Scarcity, che con tutti i suoi limiti vanta comunque uno dei pezzi per me più interessanti del black metal targato 2022 (i.e., il quinto). Non sono però riuscito a raccontarvi per bene di Death and the Twilight Hours dei Predatory Light, che sono una delle manifestazioni più interessanti del black metal contemporaneo – progressivi, melodici, con un gusto veramente inusuale per le parti in dual lead mutuate dai classici dell’heavy metal (qualcuno proverà a convincervi che quest’anno nell’ambito hanno fatto una migliore figura i Negative Plane: non credetegli). E con il jazz – inteso in senso molto lato, chiaramente – la situazione è stata ancora più tragica: vi ho raccontato delle notevoli qualità dei lavori di Mary Halvorson, degli Anteloper, di Kirk Knuffke e – in zona Cesarini – di John Escreet, e con questo articolo ho colto l’occasione per trattare in massa diversi titoli che meritavano che spendessi qualche parola a riguardo (In the Spirit of Ntu, These Things Happen, The Parable of the Poet, For the Love of Fire and Water e soprattutto Almagre, personalmente il mio album italiano preferito dell’anno). Non sono riuscito però a fare altrettanto per Atalaya di Dezron Douglas, un discreto dischetto uscito per International Anthem che offre un gustoso aggiornamento delle sonorità del quartetto classico di John Coltrane, né per il bel settimo capitolo della saga Thumbscrew, Multicolored Midnight, né tantomeno per Séances di Trevor Dunn – il più gustoso tra questi. È probabile che conosciate Dunn per la sua lunga esperienza passata tra le fila di Mr. Bungle, Fantômas, e varie formazioni di John Zorn (tra cui i Masada), ma se ci seguivate prima ancora che ci chiamassimo Livore forse potrete anche ricordarlo come bassista in uno dei dischi di jazz esoterico più creativi di questo scorcio di decennio – Natural Selection degli Starebaby. Ed è forse quest’ultimo il riferimento più azzeccato per inquadrare il sound eccentrico, complesso e misterioso di questo Séances, a cavallo tra rock sperimentale, metal e jazz elettrico: contando anche la formazione d’eccezione che comprende Mary Halvorson, Ches Smith e Anna Webber, forse meriterebbe una trattazione più dettagliata in altra sede. Altrove, il mondo si è invece prostrato di fronte all’ultimo, relativamente innocuo, album di Makaya McCraven, al secondo disco in studio della premiata Binker and Moses, perfino a quella porcata di DOMi & JD Beck, e ad Hyper-Dimensional Expansion Beam dei Comet Is Coming: dei primi tre ho spiegato nel dettaglio cosa non funziona (qui, qui e qui rispettivamente), mentre sull’ultimo – dopo essermi ripromesso di parlarne per settimane – alla fine ho taciuto perché fa schifo ed è insignificante come tutto ciò che è mai uscito sotto il moniker The Comet Is Coming, che è alla fine l’unico concetto che davvero ci tenevo a esprimere a riguardo. Last but not least, sarebbe forse opportuno fare qualche considerazione sul triplo live di Tyshawn Sorey The Off-Off Broadway Guide to Synergism, uscito verso la fine dell’anno: non mi ha fatto impazzire, ma il modo eccessivamente caloroso con cui è stato accolto da certa stampa di settore mi suggerisce che sarebbe forse il caso di sviscerare nei dettagli pregi e difetti di un lavoro comunque affascinante.

Parallelamente a questi sentieri che bazzico ormai con una certa sicurezza, quest’anno ho deciso di seguire con maggiore attenzione gli ambiti della classica contemporanea – che apprezzo, ma al cui riguardo non ho mai provato ad aggiornarmi con costanza – e del folk (da intendere qui in senso lato come “musiche che instaurano un rapporto dialogico con tradizioni musicali locali e popolari”, talvolta in maniera anche molto iconoclasta), dopo le enormi soddisfazioni regalatemi dai San Salvador l’anno scorso. Al primo filone si ascrivono la magnifica opera Mỹ Lai, che rappresenta l’altro ascolto essenziale del mio 2022 oltre ai Sélébéyone, ma anche il concerto elettroacustico di Emerging from Currents and Waves e l’eccentrico pastiche post-moderno di ilolli-pop di cui vi ho parlato in chiusura d’anno. Ho lasciato scivolare via invece l’ultima registrazione New Focus di David Liptak, che raccoglie alcuni pezzi composti composti tra il 1994 ad oggi, tutti caratterizzati da un neoclassicismo tumultuoso e densissimo assimilabile a quello di Stravinskij (non a caso, l’ottetto presentato qua è una fantasia liberamente ispirata all’ottetto per strumenti a fiato del maestro russo): non ne ho scritto perché semplicemente non ho sentito di avere abbastanza da dire oltre al fatto che è musica bellissima. Un discorso molto simile si potrebbe applicare anche a Telekinesis di Tyondai Braxton, un lavoro massimalista per orchestra, elettronica e chitarre elettriche concettualmente ispirato ad Akira di Katsuhiro Ōtomo. Per quanto riguarda il folk, invece, la situazione è pure più succulenta: mi ascrivo agli estimatori dei Congotronics International, dell’intimo folk elettroacustico di Florent Ghys, e delle notevoli sperimentazioni sul folk italiano attuate da Mai Mai Mai e da Silvia Tarozzi con Deborah Walker, mentre non condivido completamente l’entusiasmo per il nuovo Richard Dawson, che pure contiene quella The Tip of an Arrow che è uno dei brani più belli del 2022. Ma c’è un sacco di materiale che, pur piacendomi, non è stato trattato sul sito. C’è l’ultimo lavoro di Niño de Elche, che dopo quel capolavoro di Antología del cante flamenco heterodoxo non ne aveva azzeccata mezza e che finalmente è tornato con un album convincente; c’è l’ultimo Couteau / Haute Forme dei Super Parquet, che erano emersi qualche anno fa dal roster Pagans come i San Salvador e che qui confezionano un’altra convincente interpretazione dronica e post-moderna del folk alvernese; e c’è anche The Liquified Throne of Simplicity degli sloveni Širom, il cui avant-folk poliglotta e ibrido, fortemente influenzato dal concetto di imaginary folklore di Don Cherry, è stato giustamente lodato da più portali. Per finire, un piccolo spoiler: durante queste vacanze di Natale ho scoperto un interessantissimo disco dal Sudan, di Noori & His Dorpa Band: è un’interpretazione elettrificata di varie musiche tradizionali dell’etnia beja, che è stata perseguitata fino a pochissimi anni fa dal regime di Omar al-Bashir e che per questo acquistano in questa nuova versione un’urgenza e una potenza politica fomentanti. Ve ne parlerò presto più approfonditamente, stay tuned.

Perfino in campi fuori dalla mia comfort zone il 2022 ha saputo sorprendermi. Nell’elettronica, sorvolando su ibridi trattati in altra sede, sono rimasto rapito dal pop glitchato e destrutturato di Kee Avil, così come dai vari Afrorack, Piotr Kurek e Azu Tiwaline & Al Wootton che Roberto ha segnalato durante l’anno; soprattutto, però, sono stato stregato dal prismatico afro-futurismo di Nwando Ebizie, che Alessandro ha eccellentemente descritto in tutte le sue sfaccettature su queste pagine. Addirittura, nelle mie liste di fine anno sono riuscite a fare breccia anche un paio di declinazioni più o meno classiche del pop – un genere con cui, notoriamente, non vado molto d’accordo. Una di queste è quella rappresentata dai Fievel Is Glauque, ensemble belga dedito a una forma di pop progressivo e sfarzoso in odor di jazz rock che sembra richiamare alternativamente gli Slapp Happy e la Esperanza Spalding di Emily’s D+Evolution; l’altra – ancora più sorprendente – è invece quella di Yaya Kim, cantautrice sudcoreana di cui solo poche settimane fa ho scoperto il suo ultimo, mastodontico triplo album conteso tra pop jazzato, soul, reminiscenze del tango argentino, ed esperimenti più artsy di classical crossover sul terzo disco, che complessivamente tratteggiano un affresco di pop eccentrico e raffinatissimo ma al contempo oscurato dai fumi di un’atmosfera noir. Una delle ultime, grandi sorprese dello scorso anno.  

Su una nota più dolente, invece, si sono assestati i miei ascolti hip hop, pur essendo stato il 2022 un anno capace di produrre i soliti cinque-sei titoli che hanno troneggiato un po’ ovunque nelle classifiche di fine anno. La gente si è spellata le mani di nuovo per il solito disco da sei-e-mezzo di Billy Woods, per l’ennesimo disco conscious hip hop uguale a tutti gli altri (che sarebbe Cheat Codes di Danger Mouse & Black Thought), ovviamente per il ritorno di Kendrick Lamar, e un po’ anche per quello di Denzel Curry: nessuno di questi citati mi è piaciuto, con l’unica ma solo parziale eccezione di Melt My Eyez See Your Future, e mi sento di appoggiare le ottime parole spese da David nelle sue recensioni e nel suo lungo articolo sull’hip hop 2022. Personalmente, a parte il già citato Xaybu: The Unseen che sovra li altri com’aquila vola, ho apprezzato particolarmente soltanto gli album degli ShrapKnel e di Ecko Bazz – pur trovandoli interessanti, anche Kae Tempest, Backxwash e Lomepal non hanno soddisfatto appieno le mie aspettative. Tuttavia, mi sentirei comunque di consigliarvi l’esordio su full-length dei 700 Bliss che nessuno di noi si è occupato di recensire. Si tratta di un duo composto da Moor Mother e DJ Haram che si diletta in questa forma ibrida di hip hop fortemente contaminata da tentazioni industriali, post-club e hard drum: se come me siete rimasti delusi dalla normalizzazione di Moor Mother attuata proprio quest’anno su Jazz Codes, dovreste prestarci un orecchio. 

Un’ultima parola voglio spenderla infine per le uscite di archivio, che hanno comunque rappresentato alcuni degli ascolti più appaganti del mio 2022 seppur abbia parlato soltanto di Cecil Taylor (e soltanto di uno dei live editi quest’anno, perché dell’altro, Respiration, non ho scritto mezza riga). Ovviamente, c’è l’enorme Summer of Soul raccontato magnificamente da Jacopo su queste pagine, ma c’è anche il bellissimo Repair and Reward dei Lincoln, che racchiude l’opera omnia di questo dimenticato gruppo emocore anni Novanta, a metà tra Rites of Spring e Moss Icon; oppure The Quintet del quintetto di Horace Tapscott, sotterrato dagli archivi della Flying Dutchman e originariamente pensato come follow-up per il classico cult del post-bop The Giant Is Awakened del 1969 (se non lo conoscete, recuperatelo immediatamente); o ancora lo splendido Wooden Music I del quintetto di Tomasz Stańko, che porta finalmente alla luce la fase di transizione tra i due classici del jazz polacco Music for K e Purple Sun, quando il suo gruppo si dilettava con una forma particolarmente melodica e groovy di free jazz – e a quanto pare nel 2023 dovrebbe pure arrivare una seconda parte. Degno di nota infine anche Step on Step, progetto della solita International Anthem che ha compilato alcune registrazioni casalinghe di Charles Stepney, il produttore noto ai più per il suo lavoro con Howlin’ Wolf, Terry Callier, e soprattutto gli Earth, Wind & Fire. Sono tutti brani risalenti agli anni Settanta, sospesi – come si può immaginare facilmente – tra jazz, funk, soul: se è roba che vi interessa, è caldamente consigliato l’ascolto. 


Bene, lo spiegone è terminato. Se siete arrivati fin qui: complimenti. Se avete saltato tutto e avete scrollato fino alle mie classifiche di dischi e brani del 2022: fermatevi qui, i listoni cominciano ora. Buon 2023 e forza metal.

Classifica

  1. Sélébéyone – Xaybu: The Unseen
  2. Jonathan Berger – Mỹ Lai 
  3. John Escreet – Seismic Shift 
  4. Balungan – Kudu Bisa Kudu
  5. Aeviterne – The Ailing Facade
  6. Florent Ghys – Ritournelles / Mosaïques
  7. Anteloper – Pink Dolphins
  8. Nwando Ebizie – The Swan
  9. Imperial Triumphant – Spirit of Ecstasy 
  10. Congotronics International – Where’s the One? 
  11. Yonatan Gat – American Quartet 
  12. Kirk Knuffke Trio – Gravity Without Airs 
  13. Rhabdomantic Orchestra – Almagre 
  14. Show Me the Body – Trouble the Water 
  15. Alex Paxton – ilolli-pop 
  16. Noori & His Dorpa Band – Beja Power! Electric Soul & Brass From Sudan’s Red Sea Coast 
  17. Kee Avil – Crease 
  18. Luminous Vault – Animate the Emptiness 
  19. David Liptak – Brightening Air 
  20. Yaya Kim – a.k.a. YAYA

Menzioni d’onore

  • 700 Bliss – Nothing to Declare
  • Afrorack – The Afrorack
  • Ecko Bazz – Mmaso
  • Tyondai Braxton – Telekinesis
  • Cloud Rat – Threshold
  • Dezron Douglas – Atalaya
  • Trevor Dunn’s Trio-Convulsant avec Folie à Quatre – Séances
  • Editrix – Editrix II: Editrix Goes to Hell
  • Eunoia – Psyop of the Year
  • Fievel Is Glauque – Flaming Swords
  • Mary Halvorson – Amaryllis / Belladonna
  • Keefe Jackson / Oscar Jan Hoogland / Joshua Abrams / Mikel Patrick Avery – These Things Happen
  • Piotr Kurek – World Speaks
  • Mai Mai Mai – Rimorso
  • Messa – Close
  • Niño de Elche – Flamenco. Mausoleo de Celebración, Amor y Muerte
  • Jesper Nordin – Emerging from Currents and Waves
  • ShrapKnel – Metal Lung
  • Širom – The Liquified Throne of Simplicity
  • Silvia Tarozzi & Deborah Walker – Canti di guerra, di lavoro e d’amore
  • Azu Tiwaline & Al Wootton – Alandazu EP

Archivio

  • Lincoln – Repair and Reward
  • Tomasz Stańko Quintet – Wooden Music I
  • Horace Tapscott Quintet – The Quintet
  • Cecil Taylor – The Complete, Legendary, Live Return Concert
  • Various Artists – Summer of Soul (…Or, When the Revolution Could Not Be Televised)

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia