SHOW ME THE BODY – TROUBLE THE WATER
“What we do is play shows. That’s the whole damn point.”
(Show Me the Body per Loud and Quiet, 2016)
Nella New York gentrificata del XXI secolo per ogni poliziotto ci sono una trentina di ragazzini incazzati, per ogni appartamento occupato da un esponente dello 1% c’è al lavoro uno stencil con un simbolo a tre bare e per ogni studio della Epic Records c’è un live hardcore tra una cantina e un sottoponte. Da più di cinquant’anni la capitale culturale degli Stati Uniti è teatro della musica più disfunzionale e aberrante dell’underground di ogni scuola: quando poi il materiale sonoro dei gruppi newyorchesi diventa un patchwork di pellame che ammanta il genius loci con la grazia di una discarica a cielo aperto la sfilata diventa ancora più oltraggiosa, ancora più irresistibile.
Degli Show Me the Body ci siamo già occupati nel 2019, all’uscita di Dog Whistle, ad oggi un caposaldo dell’hardcore contemporaneo e uno dei nostri dischi preferiti degli anni ‘10. Il battage portato avanti negli ultimi mesi da Loma Vista per il nuovissimo Trouble the Water non poteva che destare la nostra religiosa attenzione verso uno degli act più creativi e galvanizzanti offerti dal ventre sotterraneo della East Coast. Il logo delle tre bare è stato usato come vero e proprio dogwhistle negli ultimi anni dalla band, che ha incoraggiato i fan a ricoprirne la città per ottenere entrate gratis ai concerti. Stavolta il logo non è più ripreso da un elicottero (lì eravamo proprio al chi sa, sa), ma esposto in bella vista e in fiamme nella notte, come un totem o il burning man. Non vale la pena perdersi in fallimentari analisi semiotiche sulla copertina, ma tutto quello che c’è dietro a questa icona, tutta la realtà comunitaria che è germinata negli anni ‘10 a sud dell’East River merita un veloce occhio di bue. Parliamo un attimo di CORPUS.
CORPUS IS A COMMUNITY.
COMMUNITY BUILDING IS DIRECT ACTION.
CORPUS IS ABOUT MUTUAL RESPECT.
RESPECT BUILDS SOLIDARITY.
CORPUS IS BUILT ON HARD WORK AND PRACTICE.
INTELLECTUAL WARFARE IS MANDATORY.
INCREASING SELF DEFENSE AND AWARENESS IS PARAMOUNT.
CORPUS IS EMPOWERMENT AND BECOMING FREE.
CORPUS è una realtà dai svariati volti: uno studio di registrazione, un’etichetta musicale, una comunità di quartiere, una famiglia; il tutto nato attorno alle esperienze live e studio dei Show Me the Body. Il suo manifesto, che avete letto qua sopra, parla chiaro: osservare le routine e il contributo di CORPUS alla realtà urbana che si distende su Long Island evoca quel palato di pallet, pavimenti in PVC e foreste di cavi elettrici che fanno un po’ da correlativi oggettivi di una community votata al DIY. Certo, noi da qui non possiamo né andare a partecipare ai corsi di kickboxing che la comunità tiene a Brooklyn dai tempi della pandemia né ricordarci di quando gli stessi Show Me the Body tenevano concerti clandestini sotto i ponti nel Queens. Abbiamo, comunque, l’occasione di ascoltare tutte le produzioni che escono dagli studi di CORPUS e farci una nostra idea, a partire dallo spettacolare mixtape del 2017 Corpus I (in cui compaiono, tra gli altri, Denzel Curry, Cities Aviv, Moor Mother, Dedekind Cut), passando per i lavori in solitaria degli Show Me the Body e arrivando così all’ultima devastante registrazione su cui Loma Vista ha avuto modo di mettere il cappello. Trouble the Water è uscito dopo una lunga serie di successi artistici e sociali della band newyorchese, e il livello di aggressione, autenticità e violenza che sbandiera non è minimamente calato. CORPUS è ancora un potentissimo catalizzatore di energie, e i suoi fondatori maneggiano questa fiamma con un impulso più luciferino che prometeico.
Dai tempi di Body War la musica degli Show Me the Body ha due o tre punti che possiamo dire accomunino tutte le loro uscite: la ricerca di un tessuto sonoro brutale, hardcore e ruggente in ogni sua forma, una genetica affinità con tutta la musica dura emersa negli anni da New York e una grande libertà nella costruzione dei brani, nei quali gli anthem di fondo sono spesso disegnati in maniera scomposta e sincopata. Il mazzetto delle influenze è veramente difficile da tenere in sole due mani: i primi EP sono una granaglia post-hardcore/no wave, Body War e il mixtape Corpus I attingono a piene mani dall’hip hop grottesco di scuola Death Grips/Clipping., mentre l’enorme Dog Whistle si intrattiene a spalle larghe nel campo del noise rock più spinto (per un’analisi approfondita vi rimando alla nostra recensione). Con Trouble the Water il trio replica tanti dei punti di forza del secondo disco e a scapito di un po’ di attitudine punk si dedica a una scrittura musicale più lenta e inesorabile, anche qui spendendosi tra le varie declinazioni del rock più pesante e animalesco, con un ventaglio di generi timbrici che vanno dal rosso rivoluzionario fino all’horror nero e sporco. La musica degli Show Me the Body ha una particolarità che li distanzia tanto dalle acrobazie whatever it takes dei Soul Glo quanto dalla noia inumana dei Chat Pile: sono canzoni semplici all’ascolto, i loro refrain si possono urlare a pieni polmoni nei live, ci si può immedesimare nel cantato di Julian Cashwan Pratt come se si stesse recitando il monologo di Taxi Driver; allo stesso tempo la band caccia brani che celano una profondità di scrittura che non è possibile riscontrare nei normali gruppi nostalgici degli anni ‘90 e che quindi qualificano i Show Me the Body come eredi diretti dei più grandi act del post-hardcore americano.
I protagonisti indiscussi del disco sono il rinnovato e poderoso flow di Pratt, che urla, inciampa, bestemmia indegnamente in una quantità di innuendo anti-sistema per la popolazione che sciama agli eventi di CORPUS, si prende i suoi spazi, si allarga e si restringe a sentimento, come se stesse cantando su di un palco di slam poetry. Sotto di lui il lavoro alla batteria del nuovo innesto Jackie Jackieboy è impressionante: alla libertà assoluta dei versi secchi e gutturali di Pratt segue sempre un recuperone del filo ritmico a carico delle percussioni, come se Jackieboy avesse il compito di raccogliere tutte le parole che cascano dalle mani di Pratt e riorganizzarne la musicalità alla bell’e meglio. Succede in ogni circostanza: sia che si tratti di arrangiare delle sincopi causate inaspettatamente dagli staccato del flow, sia che si tratti di partire con cavalcate di cassa dagli spigoli metallici per sostenere le sezioni più arrembanti, sia che si tratti, semplicemente, di costruire delle dinamiche d-beat ad accompagnare i vuoti della main track. All’ultimo polo di questo meccanismo c’è il lavoro alla chitarra e ai synth di Harlan Steed, che insieme con Pratt detta la linea teorica di che cosa sia effettivamente il brano. Linea teorica fondamentale, perché con queste premesse gli Show Me the Body potrebbero intrecciarsi le dita e cadere in un bracconaggio di generi confuso, chiassoso e infruttuoso. Invece, nonostante il gruppo agisca nel segno della trueness – e tanto basterebbe per una band media – la qualità della produzione e le scelte sui sottogeneri della musica dura da esplorare permettono alla band di pirografare una batteria di pezzi che lasciano un’impronta sempre più carica ad ogni ascolto. L’assalto è da ogni fronte: ci sono i giochi del banjo di Pratt che si ricalibra su delle figure noise rock (l’oscura opener Loose Talk, WW4, Trouble the Water), paratie sludge metal nascoste tra pareti timbriche cariche di power noise e geometrie distorte da Today Is the Day (Food from Plate, War Not Beef), griglie incendiarie di synth punk di ascendenza Screamers/Suicide prestate ai generi più disparati (Radiator e la digital hardcore, Demeanor e lo sludge, la potentissima Boils Up e l’hip hop industriale), fino ad arrivare agli omaggi della tarda no wave di Buck 50 e Using It. Una marea di mazzate che si interrompe per la sola Out of Place, un pezzo horror synth dal sapore retrò che terrorizza con le sue pulsazioni dei pad sottotraccia e il suo drumming che riecheggia da una distanza infinita come un bombardamento su Kherson che si sta avvicinando inesorabilmente.
Questa enorme varietà di esperienze sonore viene imbrigliata con così tanta efficacia dagli Show Me the Body che ad un ascolto distratto la differenziazione di indirizzi del disco non viene neanche a galla: ci si ricorda l’impatto e il fragore della main track e le grida di battaglia di Pratt, rimane un generico sentimento di simpatia e una voglia matta di andarli a vedere nella dimensione live. Ma ogni volta che Trouble the Water riparte in cuffia i dettagli dei brani e la loro struttura creativa e multiforme emergono, si fanno ammirare e misurare, poi diventano l’attrazione principale e infine penetrano sempre più sottopelle, finché non ci si dimentica dei dettagli tecnici e si diventa, inevitabilmente, dei fan assoluti della band di Long Island. L’analisi dello spessore in scrittura a quel punto cede sempre più il passo verso il fondamentalismo confuso e appassionato. Tutti quei ragionamenti su quanto la composta del singolo brano sia un capolavoro di interplay e su quanto il DNA newyorchese permetta ai ragazzi di CORPUS di incidere spontaneamente dischi che ricordano in un’unica soluzione i Carnivore, i Mars e i Beastie Boys si sciolgono nella salamoia e viene solo voglia di uscire e seguire Pratt nei suoi anthem:
On the street, something to eat
Souls getting close, feeling my feet
Night’s cold but I’m feeling the heat
Ghost town looking good to me
I got you feeling the beat
Feeling the beat, FEELING THE BEAT.