KENDRICK LAMAR – MR. MORALE & THE BIG STEPPERS

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2022

Conscious Hip Hop

Nell’articolo uscito non molto tempo fa in questa sede abbiamo dipinto Kendrick Lamar come un musicista abile e proteiforme, capace di incorporare vari stilemi hip hop nella sua musica senza farle perdere identità, donandole anzi un sentore di completezza e memorabilità. Ciò può pur essere vero per il suo lavoro più riuscito, ma dopo To Pimp a Butterfly Kendrick si è trovato a pubblicare dischi di ben altra levatura, dove questo eclettismo stilistico finiva più per essere un gioco di prestigio atto a distrarre dall’insipidità del materiale che la conseguenza di una poetica matura e totalizzante. Così, a cinque anni da un album mal riuscito – anche se universalmente acclamato, surfando ancora sullo tsunami creato dai successi precedenti – il principino del rap contemporaneo se ne esce con Mr. Morale & The Big Steppers, doppio album che sembra ancora battere contro i soliti chiodi su cui l’arte di Kendrick Lamar è ormai fermamente fissata. Solo guardando la copertina si possono capire molte cose: attenendoci alle immagini, le responsabilità dell’età adulta e la coscienza della propria blackness coesistono coi significanti di una vita nel ghetto e si sposano sotto una grandeur iconografica molto esplicita. Questa scena, che dal punto di vista estetico è molto bella e ben fatta, dice però tanto sulla riluttanza (o forse l’incapacità) di Kendrick nell’incorporare nuovi elementi all’interno della propria espressione artistica. È un gioco pericoloso: Kendrick Lamar ha sempre rischiato di scadere in una preachyness da pastore religioso quando si mette a sciorinare riflessioni sulla condizione afroamericana, particolarmente quando queste sono espresse tramite recitativi. L’introspezione sulla sua vita e le sue esperienze, che lui usa poi come chiave di lettura per il panorama sociale esterno, rimane dai tempi di good kid, m.A.A.d city alla base del suo lavoro: ormai la sfida più grande per Kendrick sta proprio nel riuscire ad abbandonare questa tecnica in favore di nuove vie espressive oppure ad ammodernarla, dandole nuova linfa vitale. 


Mr. Morale & The Big Steppers sembra voler cercare il secondo approccio. A livello musicale il disco è meno facilmente inquadrabile, e non è chiaro se ciò sia un pregio o un difetto: brani compositi e interessanti (United in Grief, Count Me Out) si alternano ad aperture pop rap sul filo del cattivo gusto (Die Hard, Purple Hearts); brani particolari e quasi spiazzanti (Silent Hill) coesistono coi classici climax spoken word alla Lamar (Mother I Sober), ormai davvero già sentiti. La mistura di jazz, pop e R&B si fa torbida, e 70 minuti non bastano a chiarire se questa coesistenza di elementi nuovi e soluzioni classiche, di momenti riusciti e passi falsi sia il risultato di una spinta verso nuovi orizzonti o un improvvisato collage di fugaci ispirazioni in parte appassite. La confusione di Mr. Morale & The Big Steppers è perfettamente esemplificata dal porcaio di Auntie Diaries, dove in un eccesso di presunzione Kendrick pensa bene di dire la sua sul linguaggio di genere: prima sbaglia varie volte i pronomi della persona di cui sta raccontando la storia, poi continua facendo uno sconclusionato parallelismo con la n-word, mettendo nel mezzo la povera ragazzina che lui fece salire sul palco e poi rimproverò. Un casino indegno. Quando ti danno un premio Pulitzer e ti mettono la corona sulla testa immagino sia normale pensare di poter parlare di tutto in maniera arguta, ma novantanove volte su cento sopprimere questo germoglio di arroganza e tacere è la scelta migliore. Tirando le somme, il disco si salva perché la qualità dei pezzi è migliore rispetto ai due precedenti e perché alcune tracce – la litigata catartica di We Cry Together su tutte – sono talmente ben fatte da fartele riascoltare varie volte solo per goderti tutte le minuzie tecniche; nonostante ciò, Lamar continua a dibattersi in una monotonia espressiva da cui non sembra essere capace di tirarsi fuori.

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David Cappuccini
David Cappuccini