KAE TEMPEST – THE LINE IS A CURVE

Fiction

2020

Spoken Word / Hip Hop

Quella di Kae Tempest è una delle penne più affilate e acute del Regno Unito. Più affini alla slam poetry che all’hip hop, che comunque gioca un ruolo chiave nella formazione di Tempest, i suoi testi hanno una dote rara e preziosa nel delineare con credibilità e tridimensionalità intrecci e profili psicologici dei suoi personaggi, nel sottolineare l’epica e il mito dietro la vita metropolitana di cittadini qualunque del Regno Unito, nell’esplorare in profondità l’universo di contraddizioni e criticità del sistema inglese, specialmente (negli ultimi anni) quello post-Brexit. Tuttavia, per vari motivi, i suoi dischi non sono sempre riusciti a rendere giustizia alla qualità della sua scrittura. Su Everybody Down, la colpa ricadeva forse nel compromesso eccessivo di Tempest con le forme più mainstream del pop e dell’hip hop femminile britannico; sull’ultimo The Book of Traps and Lessons, sicuramente, il problema era invece da ricercarsi nella delivery parca di inflessioni emotive e nelle basi più asciutte e minimali, che lasciavano i versi a supplicare un contesto musicale più ricco e sofisticato. (Uno dei più eclatanti è un «I want you to be happy, but don’t threaten my happiness» che, su I Trap You, viene pronunciato quasi senza alcun trasporto sul campione di un pianoforte degno del primo Daniel Johnston che vaga distrattamente per la stanza). In questo senso, è giusto che nonostante ben due nomination per il Mercury Prize (con Everybody Down nel 2014 e il più riuscito Let Them Eat Chaos nel 2016), e una critica favorevole ai suoi ultimi tre album, i più illustri riconoscimenti di Tempest siano arrivati per celebrare il suo lavoro come poeta: nel 2013, il suo poema Brand New Ancients (qui in Italia edito con il titolo Antichi nuovi di zecca) è stata la prima opera poetica scritta da un under-40 a essere insignita del prestigioso Ted Hughes Award.

Questo nuovo The Line Is a Curve, pubblicato a tre anni da The Book of Traps and Lessons, vede la luce dopo che la vita di Tempest è stata trasfigurata dalla pandemia – ma, soprattutto, da un percorso introspettivo volto all’accettazione di sé, permesso proprio dalla sospensione di tour e viaggi durante gli anni di covid. Non a caso, è proprio in questo periodo che Tempest ha finalmente raggiunto un rapporto più sereno con il proprio io, arrivando a dichiarare ufficialmente la propria identità di genere fluida nel 2020 – da cui il cambio di nome nel più neutro Kae, e l’adozione del singular they come pronome: per quanto Tempest abbia dichiarato esplicitamente che The Line Is a Curve non sia stato pensato con questo preciso evento in mente, è difficile credere che un simile traguardo non abbia giocato alcuna influenza sull’elaborazione di temi tanto intimi e sulla realizzazione di questo disco.

A lato: si può dire invece molto su come questo coming out abbia impattato il modo in cui la critica italiana legge l’opera di Tempest, e su quanto l’anticaglia di pensiero, talvolta nemmeno esplicitamente di provenienza destrorsa, di certi sedicenti intellettuali non comprenda, sminuisca e offenda battaglie come quelle delle persone trans e non binarie. La fotografia sociologica, questa volta, ce la offrono Stefano Isidoro Bianchi e la sua ripugnante “recensione” – tra virgolette, perché Bianchi nel disco ci inciampa quasi per caso, pure ammettendo candidamente di non aver letto (letto!, porco dio, con una competenza di ascolto di livello B2 li capisci all’ascolto) i testi – dove si perde per diversi caratteri a sfottere apertamente il travaglio del coming out, parlando di “ideologia gender” come il più basso dei Pillon qualunque, pure parlando di risvolti psicolinguistici tra il comico e il grottesco (sic). Ovviamente è stato subito messo alla gogna e lui di risposta ha tirato fuori un paraculissimo comunicato per dire che no, è stato frainteso, che è stato un “momentary lapse of reason”. Noi ovviamente non gli crediamo e il fatto che – rappresentando egli stesso Blow Up – una scusa così frettolosa e inverosimile basti per impedirgli di affrontare conseguenze reali, anche solo per manifesta inettitudine come recensore e critico, è un bel richiamo alla realtà per coloro che si ostinano a pensare a una intrinseca superiorità intellettuale e dignitosa della critica su carta stampata rispetto a quella online. Fine rant.

Tornando invece a The Line Is a Curve, è difficile non leggere le sue tematiche, i tuoi testi, le sue scelte artistiche in senso anche molto lato, anche e soprattutto per contrapposizione con The Book of Traps and Lessons, di contro realizzato in un periodo di forte crisi personale e turbolenza emotiva. Dove la copertina del suo predecessore nascondeva l’identità di Tempest nella copertina, The Line Is a Curve la pone in primissimo piano; dove quello era un album isolazionista, questo è un lavoro più corale e collaborativo che si avvale della partecipazione di amici come Grian Chatten dei Fontaines D.C., Kevin Abstract dei BROCKHAMPTON, e i rapper inglesi Lianne La Havas e Confucius MC; dove il primo raccontava di problematicità relazionali e di comportamenti tossici verso gli altri, il secondo accoglie la prospettiva del continuo manifestarsi di situazioni e comportamenti uguali a loro stessi. È da interpretare in questo senso la metafora – sicuramente abusata e un po’ cheap, nonché dal punto di vista matematico anche piuttosto tautologica e autoevidente – della linea che è in realtà una curva, a rappresentare il ciclico ripresentarsi delle trappole cantate in The Book of Traps and Lessons, che solo un attivo processo miglioramento di sé può rompere. Anche per questo, il disco si apre e si chiude con la stessa melodia: su Priority Boredom, scandita con forza dal sintetizzatore, è vitalistica ma vagamente nervosa; su Grace viene invece sussurrata timidamente, ma anche più serenamente, da un arpeggio di chitarra acustica, che si spegne in un dolce fade-out.

Arriviamo quindi alla musica, che – come spesso è accaduto nella discografia di Tempest – è invece l’anello debole della sua poetica. Proseguendo con la scelta di optare per basi più essenziali e meno minacciose, lontane dall’elettronica urbana di derivazione UK bass adottate per Everybody Down e Let Them Eat Chaos (con l’unica, parziale, eccezione di Move), The Line Is a Curve accompagna la voce di Tempest e dei suoi ospiti con un’elettronica sintetica fatta di svolazzanti temi di sintetizzatore, con un uso più subliminale di casse, kick, e in generale di elementi ritmici più fisici, solo molto raramente condito dal suono di altri strumenti – come la chitarra elettrica e gli ottoni di These Are the Days, o il languido pianoforte di No Prizes, che complice il timbro vocale di La Havas si avvicina curiosamente ai territori dei Fugees. È una scelta un po’ limitante dal punto di vista espressivo, e sicuramente talvolta non viene nemmeno sfruttata al meglio (come su I Saw the Light), ma al contrario di The Book of Traps and Lessons si dimostra capace anche di arricchire la delivery, la scelta delle parole (anche da un punto di vista sonoro e musicale) e le vivide immagini dei testi di Tempest, conferendo a The Line Is a Curve l’aura di un audiolibro coming of age. Non è il suo lavoro più essenziale (quell’onore spetta ancora a Let Them Eat Chaos e, soprattutto, a Brand New Ancients), ma alla fine dell’anno per parlare di cos’è stato l’hip hop del 2022 probabilmente non sarà possibile non parlare anche di The Line Is a Curve.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia