WHAT’S IN MY BAG? – ALESSANDRO

Allora, evitiamo subito di parlare di Estate, è una stagione che non amo molto, durante la quale la mia vita rimane pressoché uguale, la mia città si svuota, mi chiudo in casa a lavorare su me stesso – che poi è quello che faccio a prescindere. Sono in una fase particolarmente prolifica e mi identifico in quel Never Relaxed johnstoniano che gioca a scacchi con nevrosi e burnout. Non un ottimo panorama, me ne rendo conto, ma ci stiamo lavorando. Una cosa da non fare in questi casi è mantenere un’organizzazione ferrea e aderire a delle routine alienanti, disumane. C’è sempre bisogno di tempo per se stessi, staccare, fare le vacanze e queste robe molto umane socievoli calde massaggianti gasate sorridenti instagrammabili apprezzabili serene. 

Oh shi-

Niente, non funziona. Bisogna anche scendere a patti con le proprie nevrosi, prendersi i propri spazi, creare strategie, immaginare possibilità. Nella mia borsa in questo periodo c’è una quotidianità a cui mi sto attaccando per migliorare i parametri che mi interessano, riempita totalmente di musica in ogni sua mezz’ora, con un ascolto e una subanalisi costante dei dischi che mi passano sotto mano: tutti i giorni, dalle casse, in cuffia, negli auricolari – a volte dallo schermo della TV. A parte di venerdì, poiché di venerdì esce il capitolo di ONE PIECE e non mi dovete rompere il cazzo, devo impasticcarmi di video, teorie, reaction e stronzate del genere. Quindi oggi, primo giorno settembrino di attività livorosa, è arrivato il momento di gettare giù la scaletta, per usare una versione spuria del wittgensteinese. Ma come è possibile organizzare i propri pensieri senza un minimo d’ordine? 

Wait: i miei pensieri sono già organizzati, posso risparmiare energie psichiche e attenermi ai modelli in cui navigo già bene. Quale tribunale mi condannerebbe? Cominciamo subito.


09:30 – 10:30

Mi sveglio, salto giù dal letto, apro le finestre, vado in bagno a pisciare, lavarmi i denti, sciacquarmi, metto su il caffè, play su Morning con Francesco Costa che manda i jab al Fatto Quotidiano, mi peso, sperando che la media settimanale sia ancora in leggera discesa (0.5%-1% del bw). 

Yess!

Tiro su il caffè, stacco Morning, metto su il primo disco della giornata, quello che accompagna le prime attività della mattinata sollecitate dalla tanto utile quanto cringeworthy regola dei 2 minuti. Il disco è un terno al lotto e non mi occupo di costruire un’atmosfera adatta al momento, quindi rischio di pasticciare la prima mezz’ora della mia mattina con grindcore da due soldi o l’ennesimo disco hip hop mediocre spinto dal midstream. Facciamo che stamattina siamo stati fortunati.

Xênia França – Em nome da estrela

Piacevole da ascoltare nelle prime ore dell’estate, assolutamente insignificante per coprirlo con una recensione ad hoc, forse avete già sentito parlare di questo mix di MPB/R&B/ambient pop. Se non ne avete già sentito parlare e siete lenti al risveglio vi consiglio di ignorare quel po’ di fuzz che circonda il disco e lasciarvi iniziare alle gioie del pianeta terra dal velluto progressivo di Xenia (il caffè è un buon esempio, ma vanno bene la vitamina D recuperata con una passeggiata, lo strizzare d’occhi di un gatto nero, la parte carina dell’attualità). Niente di più e niente di meno.


10:30 – 12:30

Arriva il momento di mettersi al lavoro. Una formazione in filosofia non dà il pane, il sito di Livore è un catorcio di plugin di wordpress accumulati: ho fatto 2 + 2 e siccome sono l’unico della redazione che capisce un minimo di sta roba ho pensato di costruirmi un futuro come front end dev, mistica creatura fatta di caffetterie, occhiali dalla montatura fenomenalmente marrone, sicuramente più peli di quelli che ho. In realtà l’infarinatura di html/css/js non è bastata per niente a raggiungere il livello di consapevolezza che cercavo, quindi sono caduto nell’imbuto della programmazione e adesso sto studiando in multipiattaforma per diventare abbastanza competente da lavorare bene sul sito ed essere contemporaneamente impiegabile, in un prossimo futuro. Attualmente sto alternando l’apprendimento di React con le lezioncine teoriche (bellissime) di David J. Malan ad Harvard, che insegnano a pensare più che a scrivere. Se questa è l’attività cui mi sono dedicato di più nell’ultimo periodo, la query di ricerca musicale che ho seguito di più durante questa estate insulsa si è concentrata sulla seconda metà dei Noughties, partendo dalle suggestioni che ho avuto a luglio con gli Animal Collective e arrivando a recuperare tanta roba che non avevo mai avuto modo di ascoltare. 2 ore di coding, facciamo 3 dischi. 2007, 2008 e 2009. 

АукцЫон – Девушки поют

Sarebbero gli Auktyon, se non li conoscete purtroppo non ho tempo per affrontarne la storia e composizione: vi basti pensare che sono probabilmente la band russa più importante di tutti i tempi. Sarà perché qui gli Auktyon si accompagnano a Marc Ribot di cui non sono un grande fan, ma non avevo mai ascoltato con attenzione Devushki poyut. Errore madornale. Il disco è un’oretta di abominevoli manovre al limite tra new wave e jazz-rock che esondano continuamente dagli stereotipi dei generi, storcendosi in diversissime ramate dark e avant che è impossibile riassumere con un paio di aggettivi. È una caverna delle meraviglie che potrebbe essere uscita dalle rotative degli Ex, e probabilmente supera sbandando tutto il resto della discografia degli Auktyon, non va perduto.

Musica per Bambini – Dio contro Diavolo ovvero la girella del guitto

Questa invece è una vecchia conoscenza, con cui quest’estate ho avuto un ritorno di fiamma allucinante. Qui siamo grandissimi fan di Storie per un re, disco di Manuel Bongiorni che non ci vergogniamo di definire una delle più grandi uscite della storia della musica italiana, ma Dio contro Diavolo l’ho sempre sentito un po’ come un guilty pleasure. Col cazzo, il disco invecchia benissimo: il livello di quirkiness e sperimentalismo potrebbe calzare benissimo a un disco degli anni ‘20 del 2000 e la cucitura in breakcore tipica dei Noughties è una cifra del suo tempo che inchioda di diritto tutti i deliri di Bongiorni ben al di sopra della media della musica che ha fatto la storia dell’underground di questo paese, sicuramente al di sopra dell’attuale catalogo Trovarobato.

Bomb the Music Industry! – Scrambles

Probabilmente il mio nuovo disco pop punk preferito, Scrambles è a mani basse la prova più forte, impattante, del supergruppo di misfits che hanno dominato il midstream punk statunitense, Jeff Rosenstock in testa. L’album quasi non ha senso: il sentimentalismo appiccicoso del pop punk si deteriora minuto dopo minuto in un turbine di fraseggi hardcore, scoppi di ska punk, aperture power pop e folkish per un maelstrom di riff da sarcopenia, un sabotaggio ai danni delle credenze dell’ascoltatore senza soluzione di continuità. Un album bestiale, che meriterebbe una posizione privilegiata nella memoria di tutti noi. Posizione attualmente occupata, ahimé, da American Idiot.


12:30 – 13:45

Workout. Parlavamo prima di sarcopenia non a caso: mi devo spaccare il culo altrimenti perdo massa muscolare e il piano non funziona più. Anche questo è uno dei momenti migliori della giornata, anche se uno dei più duri: cerchiamo di mettere una soundtrack che valga la pena di tenere a portata durante il telefonatissimo cedimento alla shoulder press.

Imperial Triumphant – Spirit of Ecstasy

Siccome le informazioni su questo disco sono classificate poiché ne deve ancora parlare Emanuele (che ha in appalto tutte le pubblicazioni metal di Livore) mi limiterò a chiedervi: gli affondi secondo voi sono un esercizio di spinta o di tirata? Perché devo scegliere cosa fare con la mia scheda in multifrequenza. Fatemi sapere.


13:45 – 14:30

Ho imparato una skill incredibile: docciarmi in meno di tre minuti. Questo mi concede, se necessario, di fiondarmi nella cabina, chiudere l’ascolto di una canzone a caso dei Beatles, uscire vaporeggiando e rotolarmi in cucina a mangiare sempre le stesse 4 cose a rotazione (mi piacciono). Mentre cucino e mentre mangio tendo a guardarmi video di merda su Youtube, quindi ho bisogno di sottofondi a bassa intensità, dischi che conosco già, possibilmente strumentali. 

Metal Fingers – Metal Fingers Presents Special Herbs: The Box Set Vol. 0-9

E c’è qualcosa di meglio del box set di Metal Fingers, il moniker dedicato a Special Herbs di Dumile noto ai più come MF DOOM? Soprattutto, c’è qualcosa della discografia di Doom di più sottovalutato di Special Herbs? La crispness delle strumentali di Dumile è devastante nella sua semplicità, l’opposto di un esercizio di stile (uno … stile … di esercizi? boh). Le tre ore del box scivolano come un dolce bambino su di una strada gelata che si rompe la testa e crepa, regalandoci un prodromo di lo-fi hip hop che ha messo le cose in chiaro ben prima che J Dilla rilasciasse il suo acclamato Donuts. Se non vi è mai capitato di metterci le mani dovete rimediare al più presto, perché c’è un mondo che si nasconde nelle pieghe della storia di Dumile.


14.45-15.15

Devo leggere le mie 10-15 pagine quotidiane del Capitale di Marx. Mi sono reso conto che approcciare libri mastodontici in piccoli morsi è il modo migliore per rimanervi attaccati. Il primo libro del Kapital era magistrale nell’esposizione e nei contenuti, ma il secondo comincia a diventare profondamente denso e di difficile lettura. Per questo i manoscritti raccolti da Engels meritano di essere accompagnati da ascolti riflessivi e pacati. 

James Blackshaw – The Glass Bead Game

Questo l’ho riscoperto durante il mio recupero degli ultimi Noughties. Blackshaw è sempre stato nei miei radar, a partire da Litany of Echoes, ma penso che la diversificazione del comparto strumentale di The Glass Bead Game dia un calcio allo psych-folk d’essai dei dischi precedenti (pur bello) e riesca a legare il primitivismo del chitarrista a dei discorsi post-minimalisti, di accademia, che attengono più alla classica contemporanea che al folk meditativo. Non c’è male per niente, con il discreto vantaggio che in pezzi giganteschi come Arc il piano e gli archi tirano su l’ancora dalle scuole minimaliste e riescono a recarsi in luoghi che s’associano quasi al free folk di epoca Charalambides/Natural Snow Buildings, uno dei generi più rappresentati di quel periodo.


15.15-17.15

Questa la alterno: un giorno raddoppio sullo studio del coding e un altro giorno lavoro per Livore. Lo sapete che abbiamo fatto degli adesivi da stickerare in giro per le città? Ci ho lavorato in questi giorni. Lavoro anche alle schedule, al sito, agli aggiornamenti, mi confronto con gli altri e ne escono continenti di idee. Il primo pomeriggio è uno dei momenti più prolifici della giornata, e si merita musica altrettanto stimolante. 2 ore, 3 dischi: onesto, di nuovo.

nouns – While of Unsound Mind

Disco di quest’anno, paragonabile per certi versi al lavoro degli I.O. del 2020 e per altri – vagamente – all’uscita dei Soul Glo. Emo/post-hc particolarmente sfilacciato e brulicante, un affascinante esercizio di ascolto che però si perde qui e lì quando l’emotività raggiunge cicloni che nei miei confronti diventano facilmente respingenti. Insomma, qualche giorno prima ho bocciato uno dei dischi più apprezzati dei Brand New, vuol dire che ai nouns non rimane che deviare dalla formula per conquistarmi. Però deviano molto, e questo è un dettaglio positivo: che siano un’altra incarnazione della parabola dei black midi? Mi sembra quasi impossibile, ma sono le 15.40 e sono ottimista.

Hudson Mohawke – Cry Sugar

Insostenibile la lunghezza di questo disco, certe sue gommosità sono difficili da digerire e la copertina è orripilante. Ma è comunque meglio di quel carrozzone patacconato che è l’ultimo di Beyoncé. O qualsiasi disco di Beyoncé, per quello che mi riguarda. Diciamoci la verità, di Cry Sugar non me ne fotte un cazzo, ma dovevo sparare un attimo a zero su Beyoncé. Ripigliatevi porcoddio.

Kaitlyn Aurelia Smith – Let’s Turn Into Sound

Se avete capito un minimo i miei gusti non vi stupirete nel constatare che questo raffazzonato lavoro vapor-art-progressive pop mi piace. Ma è una roba che succede dal primo pezzo e dalle sue menate synth al limite della chiptune: la complice più portata per questo delitto nei confronti del mio spirito critico è la vocalità inciampereccia di Kaitlyn, che nei suoi gorgheggi angolari riesce a convincere troppo di più di quanto non abbia fatto negli anni precedenti con i suoi lavori dall’identità new age/berlinese. Questo è da sentire e risentire finché non la va o la spacca, ma per adesso la sta andando. Oppure si dice che la sta spaccando? Scegliete voi, ma buttateci un orecchio.


17:30 – 19:30 

Ah, è arrivato il momento della passeggiata! Vado a farmi uno snack, apro il libro di filosofia di questa settimana (in questo periodo una variazione sulla materia importante, giustificato dalla lettura di un classico che non avevo mai affrontato, Il ramo d’oro di Frazer) e mentre leggo la mia cinquantina di pagine camminando mi spacco di dischi di bandcamp. Nello specifico è arrivato il momento di ascoltare i dischi che ha consigliato TheQuietus nell’ultimo mese!
Nnnnnnnnnoooooooooooooooooooooooooooooooooooo-

Idiopathique – Idiopathique

ooooooooooooooooooooooooooooooo!! Ragazzi di TQ non è possibile che se un disco suona molto estremo, molto incazzato, diciamo hardcore allora è automaticamente da ficcare nelle vostre featured. Dai, prendiamo atto di quando qualcosa pecca in fantasia, di quando replica stilemi già usciti e soprattutto – se non lo fa, se sembra dire qualcosa di nuovo – cerchiamo di prendere atto di quanto questo qualcosa di nuovo possa servire. Così non ci siamo, dai.

Conjunto Primitivo – Morir Y Renacer

ooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!! La darkwave spagnola NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!

Oneida – Success

oooooooooooooooo! Vabbè, oddio. Non pensavo che un disco degli Oneida del 2022 potesse avere suggestioni che esulino dalla normale tiritera desertica del rock psichedelico più brutalista. Mi piace la devianza noise rock/alternative di alcuni brani (Beat Me to the Punch, I Wanna Hold Your Electric Hand), potrebbero essere pezzi dei Dinosaur Jr. Ma anche il connotato motorik di Low Tide, vuoi vedere che c’è qualcosa di più? No, il mio interesse viene sfortunatamente estinto durante le sublimazioni arabeggianti di Paralyzed e soprattutto i 7 minuti di pura psichedelia (che palle) di Solid. Neanche qui siamo nel mio: peccato.


19:30 – 21:00 

Ok, bisogna fare le cose. Ogni giorno qualcosa di diverso, può essere organizzare le mie velleità di un futuro in Danimarca, mettere a posto casa, prepararmi per il TOEFL, pagare le bollette, spedire e-mail a dottori, vendere roba su Subito, qualsiasi cosa. Takin’ Care of Business per dirla con i terrificanti Bachman–Turner Overdrive. Momento particolare della giornata, chiama dischi stimolanti, possibilmente upbeat e allegri.

Dan Deacon – Bromst

Incredibile non aver ascoltato questo album prima di un paio di settimane fa. Sembra fatto apposta per la mia versione adolescente, assolutamente prona alle sonorità disneyane e allo stesso tempo con un disgusto ancestrale verso i sentimenti (tipo i bambini eteronormati che pensano “femmine? bleah!”). Bromst è poco meno divertente di una gita a Gardaland sotto cocaina, l’incarnazione più pura e hardcore delle armi concettuali alla base dell’indietronica, un lavoro sporco e immenso che vale la pena sopportare per finire la giornata lavorativa come Dewey, il fratello di Malcolm in the Middle, sul finale di Company Picnic (3×11, 3×12). Uno sugar rush allucinante, da recuperare anche solo per sentirsi male. 

Troposphere 7 – Grey Parrots

Hakuna Kulala fa le buche per terra, praticamente ad ogni sua uscita: oramai siamo abbonati e ogni volta che l’etichetta di Kampala grattugia nel piatto briciole di techno e gqom dobbiamo andare a mangiarcele come dei cani. Grey Parrots non tradisce con le sue impalcature storte, bouncy e oscure – si affaccia qui e lì alle basi che debmaster ha lasciato nello splendido Kubali e conserva quella cazzimma roboanimalesca che caratterizza tutte le uscite strumentali della label (basta confrontarsi con la nostra recente chiacchiera su Afrorack). I brani sono dei totali standalone, ma quanto sarebbe bello vedere sfruttato questo ben di dio come base per una narrazione industrial/hardcore hip hop? Un uomo può sognare di certe appropriazioni culturali che farebbero la storia della musica contemporanea: nel frattempo ogni volta che il Boutiq Studio produce un nuovo disco noi alziamo le mani e andiamo a nutrirci senza vergogna alla fonte del male del lago Victoria.


21.15-00.15

Ceno. E poi mi prendo un tre orette per fare qualcosa che mi piace (uscire, videogiocare, stare con la mia ragazza, varie attività di svago). L’unico contesto in cui riesco a sentire altra roba è mentre smaltisco il mio backlog di videogiochi (ad agosto ho chiuso Ni No Kuni, A Way Out, Brothers e A Plague Tale, attualmente sto facendo la mia prima run a Dishonored, grandissimo gioco, al contrario dei precedenti). Non tutti i videogiochi, però, si prestano al muto: ho perso tanto dell’esperienza di Hollow Knight giocandolo senza sonoro, e da quel momento sto molto attento a cosa giocare musicato e cosa no. Sapete cos’è, ad esempio, che va giocato con il sonoro?

Andrew Prahlow – Outer Wilds: Echoes of the Eye – The Lost Reels

Qualche giorno fa Prahlow ha fatto uscire un disco di b-side della DLC del mio gioco preferito: Outer Wilds. Giocate ad Outer Wilds (mantra da ripetere ogni volta che si parla del prodotto dell’ingegno umano in questione). The Lost Reels è un remaster di Echoes of the Eye (di cui avevamo già parlato) che contiene in finale una manciata di pezzi che non sono stati usati per la DLC, con titoli enigmatici e sample specifici che lasciano tanto spazio all’immaginazione da redditor di un grandissimo fan del gioco come me. Senza approfondire questi argomenti The Lost Reels è una bellissima aggiunta alla narrazione musicale di Prahlow, che fiancheggia i progressi ottenuti con la soundtrack di Echoes of the Eye (di cui trovate un commento qui) e prosegue nella costruzione di questo suo space primitivism che alterna come di suo solito dei grandi momenti di dark ambient ai limiti dell’horror e delle rugiadose melodie in fingerpicking che sanno di casa. Galleggiando con grazia in questi spazi sonori, i temi diegetici di Outer Wilds non possono che lasciare un glaciale brivido di nostalgia a chi sa di non poter più tornare al gioco con gli stessi innocenti occhi che l’hanno osservato la prima volta.


00.15 – 01.00

Mi lavo i denti, accarezzo il mio gatto nero. È finita la giornata, siamo quasi al momento del rinse and repeat. Mi incocco gli auricolari per eliminare ogni rumore dai miei dintorni, vado nel letto e apro il libro di narrativa che tengo sul comodino per conciliare il sonno (in questo momento Il Pendolo di Foucault). Da qualche tempo ho trovato l’accompagnamento perfetto per arrivare a cadere addormentato entro la decima-quindicesima pagina del libro che sfoglio lentamente nel mio letto fresco. 

Crysknife007 – Deep Layered Brown Noise (12 hr)

Oh sì, perfetto. Se siete arrivati fin qui vi ricordo che da lunedì torniamo operativi.

Buonanotte. 

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Alessandro Corona M
Alessandro Corona M