MEGAINTERVISTA SUPERPANG

Più di 150 uscite in due anni che spaziano su tutto il campo dell’elettronica d’avanguardia, nomi grossi della scena sperimentale come Gustafsson, Merzbow e Haino affiancati a giovani artistə dell’underground, produzioni italiane alternate a voci creative da tutto il mondo. L’etichetta che porta avanti tutto questo è l’italiana Superpang, di cui abbiamo intervistato il fondatore Christian Di Vito. Un progetto unico nel nostro paese per ricchezza e coerenza della proposta, che ha già seminato tanti spunti interessanti da esplorare. Se non ne avete ancora sentito parlare, è l’occasione buona per rimediare. Buona lettura!


R: Ciao Christian. Io ho cominciato ad impattare con le uscite della Superpang l’anno scorso e mi si è aperto un mondo, perché poi mi sono accorto che in negli ultimi tre anni ne sono uscite tantissime…

C: Quasi troppe, lo vogliamo dire? [ridendo]

R: Beh, è una dimensione da esplorare, volendole ascoltare effettivamente tutte bisogna attrezzarsi per la spedizione!

C: Bisogna prendersi un bel paio di mesi di ferie…

R: Questo progetto è nato nel 2020, quindi in piena pandemia?

C: Esattamente, il motivo principale è stato proprio quello. Come primo stimolo volevo occuparmi di qualcosa che mi andava di fare, io sono un “musicista”, ho fatto robe al computer per tanti anni, poi ho deciso di sedermi dall’altra parte, come spesso succede. Fondamentalmente è nata Superpang perché sono amico e grande estimatore di un progetto che si chiama EVOL, Roc [Jiménez de Cisneros, ndr] mi ha insegnato un po’ tutto su quello che c’è dietro la musica elettronica, la vera computer music, senza altri strumenti; mi ha fatto lui da guida tra MaxMSP e SuperCollider. A un certo punto è nata l’idea di produrgli un disco e, pensando a come fare, mi son detto: dai, faccio un’etichetta per produrre i dischi a EVOL, perché sto in fissa con quel tipo di musica lì. Ho tantissime altre passioni musicali, come tutti, però lui è un po’ differente dal resto del mondo per quanto riguarda il suo genere musicale, quindi l’ho sempre apprezzato. A quel punto è venuto naturale chiedersi: perché produrre solo lui? Facciamo pure altro! Infatti mi sembra che EVOL non sia stata neanche la prima release di Superpang… quindi è nata così, soprattutto per questo genere di musica, che tu puoi, tra virgolette, anche fare in casa. Non è che ti puoi mettere a fare, che ne so, uno string quartet in camera da letto…perciò era molto semplice far coincidere questo aspetto con la volontà di fare musica e farla uscire durante la pandemia. 

R: Il fatto di pubblicare musica principalmente in digitale si legava a doppio filo con le esigenze di quel momento, immagino. 

C: Ho organizzato le uscite così perché agli inizi era uno strumento diretto per supportare chi non poteva suonare. C’è tanta gente che lo fa di lavoro, che è sempre in giro, ma in quel momento non poteva neanche andare in saletta a registrare o mixare in maniera “pro”, al massimo fare programmi radio o cose simili. Questo era un modo per continuare l’attività e devo dire che qualche soldino lo abbiamo rimediato. Era bello sapere di poter contribuire. Io vengo dal punk fondamentalmente, quindi l’aspetto DIY di ogni cosa è centrale per me. Per quanto riguarda il denaro, diciamolo pure in maniera venale, io gestisco tutto fifty-fifty, per cui la metà degli introiti sono distribuiti ai musicisti. Con la mia metà io ci pago poi le spese di produzione, grafica e distribuzione. Di certo non voglio guadagnarci, anche perché come campi con questa musica? [ride]

R: Con il tempo, però, avere un fitto calendario di uscite in digitale è diventata una cifra stilistica della Superpang. Anche per la grande mole e frequenza di uscite, mi sembra che sia principalmente un canale per dare voce a dalle espressioni musicali di un certo tipo, piuttosto che un’attività discografica classica.

C: Sì, con il tempo si è venuta a creare una cadenza settimanale di nuove pubblicazioni che ha visto uscire tanta musica. Io in realtà non amo particolarmente il digitale, sono un avido collezionista e compratore di dischi. Mi rendo conto che la musica in digitale è la sorgente più semplice e divulgativa, io praticamente ascolto solo musica in digitale tra telefonino e computer, ma poi non riesco a non comprare i vinili. Ora sembra che faccio Superpang per finanziarmi i vinili! Scherzi a parte, chiaramente fare uscire tante cose in digitale ti permette anche di supportare l’attività di tanta gente, questo è un aspetto importantissimo. Però è anche per aiutare il mio ego, bisogna dirlo. Perché io faccio quello che piace a me, questa è la base di tutto. Nel momento specifico in cui parliamo sto facendo un backup dell’hard disk del mio laptop e nel frattempo sto ascoltando tutta musica di Superpang: ci potrei andare avanti giorni con questo catalogo. Mi dà molta soddisfazione aver potuto creare questa sorta di Ipod personale, con la musica che ho scelto io di pubblicare e che mi piace. Per questo ti parlo di ego, perché sento che sicuramente Superpang mi descrive in qualche maniera. 

R: Quindi la scelta del digitale è stata dettata dall’esigenza di facilitare la comunicazione e il supporto del fare musica. Con il proseguire del progetto però sono arrivate anche le pubblicazioni fisiche. Quanto è stato difficile il passaggio a tutta la catena di produzione e distribuzione?

C: L’idea di fare uscire qualcosa su formato fisico con Superpang c’è sempre stata, non c’è dubbio. Il primo disco che abbiamo fatto è stato un vinile, quindi siamo partiti subito con il massimo delle difficoltà. Lo abbiamo stampato in Canada, con ancora poca esperienza da parte nostra sulle press plant e sugli altri passaggi da fare. Il disco è andato bene, il lavoro dietro pure, ovviamente abbiamo avuto ritardi perché sul vinile il ritardo è la norma, però tirando le somme ci siamo detti che valeva la pena continuare a farlo, interrogandoci bene su come gestire la produzione e il susseguirsi veloce di tutte le cose a cui stare dietro. I problemi non mancano.

R: Devo dirti che tutte le persone coinvolte in questo processo a vari livelli nell’ultimo anno mi hanno parlato della situazione del vinile come drammatica dal lato della produzione. Ultimo di questi James Ginzburg [fondatore della Subtext, ndr], con cui ho scambiato un paio di mail per un casino relativo ad una spedizione e che mi ha dato un resoconto sconsolato delle difficoltà che ha incontrato ultimamente. Anche quando abbiamo parlato con Toni Cutrone è uscito fuori questo tema, lui è dovuto partire in tour per l’ultimo disco a nome Mai Mai Mai senza avere le copie in vinile nonostante le avesse mandate in stampa mesi prima. Dato che c’è una disponibilità molto più limitata e le major guadagnano principalmente con le ristampe di vinili di 30-40 anni fa, prenotano loro tutte le macchine per la produzione per mesi pagando di più del prezzo di mercato; agli altri attori discografici, che non possono pareggiare i prezzi perché andrebbero in perdita netta, rimangono solo le briciole e i tempi si allungano tantissimo. 

C: Assolutamente sì, è tutto congestionato, le major vanno avanti con le grandi tirature sulle riedizioni di Vasco Rossi che trovi in edicola, ora tu immagina stampare un disco per ogni edicola d’Italia…i vinili ci vuole tempo a farli, non puoi sfornarli come i CD, quindi si blocca tutto. E poi le spedizioni adesso hanno prezzi altissimi, capita spesso di pagare più la spedizione del vinile. Così, anche quando c’è la disponibilità del formato fisico, gli acquisti sono scoraggiati. In questo senso la Brexit ha fatto i danni veri, l’Inghilterra e soprattutto Londra hanno perso tanto in termini di scena per tutte le difficoltà aggiuntive che sono andate a pesare sulla musica, infatti moltissimi artisti sono emigrati a Berlino. Io fortunatamente non sono da solo a gestire i vari passaggi, infatti devo citare senz’altro il mio collaboratore Toni Lugo, che mi aiuta un po’ con tutto. Lui sta a Baltimora, nel Maryland, pensa che ci siamo conosciuti in chat su Slack! Abbiamo partecipato a un progetto musicale per Peter Rehberg [compositore e fondatore di Editions Mego, ndr] quando è morto, da lì ho conosciuto altri personaggi legati al mondo della musica ma con lui ci siamo subito presi, così ha cominciato a darmi una mano da oltreoceano. Tra l’altro l’attenzione che ha Superpang è principalmente fuori dall’Italia. Anche a livello di vendite fisiche, a parte il centro Europa, arriviamo soprattutto a New York, Los Angeles e Toronto, o in Giappone. Questi sono i canali fondamentali. 

R: Questo è interessante. Quando mi hai detto che questa sarebbe stata la prima intervista italiana per Superpang, ho avuto due reazioni contrastanti. Da una parte mi è sembrato logico che ci fosse interesse dall’estero, perché fin da subito la natura delle vostre pubblicazioni ha acquisito un respiro internazionale, affiancando artistə dell’undeground italiano con produzioni da varie parti del mondo. Dall’altra mi ha stranito vedere che qui da noi questo percorso sia passato così sotto traccia, perché oltre ad avere una produzione discografica fitta e costante, la Superpang ha anche accolto nomi grossi di questo panorama: penso ad esempio a Gustafsson, Haino, Merzbow. Io stesso ho captato i primi segnali quando già il catalogo contava un centinaio di uscite pubblicate. Come mai secondo te?

C: Sicuramente c’è il fattore culturale per cui la musica in digitale è presa poco sul serio. Per il resto non saprei risponderti, ci sono comunque le fanzine…oddio, fanzine fa molto anni ’90, diciamo le webzine come la vostra che seguono questa musica. Che non è certo una musica che si rivolge al grande pubblico. Forse mancano le strutture per farla diffondere di più? Forse non faccio abbastanza io? Comunque posso dirti che questa mancanza io l’ho vissuta come uno stimolo. Ora sto leggermente a sud di Roma, a Pomezia. L’ambiente lavorativo e abitativo in un paese più piccolo li vivo come un minimondo dove posso confrontarmi con la gente, come se lì ci fossero tutta la conoscenza base e i gusti base della gente. Io in tutto ciò non trovo niente di simile a quello che ascolto, a quello che faccio, a quello che mi piace, è tutto più fermo…diciamo pure raffermo. Quindi pure questa cosa di essere tornato a una realtà più piccola mi ha dato uno stimolo in più, perché quando ero a Roma ero abituato ad essere circondato da situazioni interessanti a pochi minuti da me, che adesso devo in un certo modo ricreare in maniera più attiva. Poi chiaro che frequento sempre Roma, però vivere in un’altra realtà mi ha dato un input forte per uscire e provare a fare cose nuove.

R: Il cosiddetto paese reale! Io vengo da un paesello di una decina di case, capisco bene cosa vuoi dire. Anche adesso che sto a Bologna, a parte un mio caro amico che mi manda dei mix jungle e che è molto sul pezzo, nella vita di tutti i giorni faccio fatica a trovare delle persone con cui parlare di musica per come ne scrivo e per come la vivo. 

C: Però c’è da dire che fortunatamente a livello artistico in Italia di fermento ce n’è tanto, io ricevo molte richieste e c’è un buon numero di artisti italiani apprezzati anche fuori. Sicuramente sono apprezzati più fuori che qua, tendono ad andare fuori per fare qualcosa di più concreto se non sono figli di papà, perché comunque se vuoi fare una cosa di un certo tipo, registrarla bene, qui in Italia si fa davvero fatica. Io adesso ho fatto il CD a due artiste, Alexandra Nilsson e Susana Santos Silva, una di Stoccolma e l’altra portoghese trapiantata a Stoccolma; per loro due non dovuto spendere niente a livello di produzione, perché hanno ottenuto l’accesso ad un fondo artistico svedese e si sono ripagate tutto il necessario per fare uscire il disco, potendo tenersi anche qualcosa per loro. Qui in Italia è molto più difficile avere queste possibilità. A me però piace sempre produrre musica italiana, anche se devo dire che, vuoi un po’ per la facilità della lingua, un po’ per le aspettative fuori scala, lavorare con gli italiani è più tosto. Per fare un esempio all’opposto, prendi Merzbow: gli ho proposto di fare un disco in digitale, il giorno dopo già mi aveva inviato i file. Quando raggiunge certe cifre, io gli mando i soldi e lui mi risponde con uno smile. Rapporto umano zero chiaramente, non lo prendo a modello, anche perché notoriamente Masami Akita non parla con le persone. Tra l’altro lui l’ho conosciuto nel 2003 dopo aver suonato in un progetto a Roma insieme a Zbigniew Karkowski, che è la persona che compiango di più al mondo; un artista eccezionale e pazzo da cui ho appreso tanto musicalmente. 

R: Prendo l’aggancio per una curiosità: come è successo che fossero coinvolti dei nomi grossi fin dalle prime uscite? Parte il progetto Superpang e tiri dentro Mats Gustafsson e Kevin Drumm, non è roba da poco.

C: Tutto questo ha origine dai concerti, dalle amicizie e dalle mille collaborazioni sparse negli anni. Superpang è nata nel 2020 ma io mi sono tatuato il logo di Aphex Twin sulla gamba nel ‘94, andavo a vedere gli Autechre al Forte Prenestino a Roma nel ‘97… puoi capire che è tantissimo tempo che bazzico la scena. Anche se frequentavo un altro giro stavo già nell’ambiente, poi piano piano ho iniziato ad organizzare concerti a Roma e a conoscere i musicisti. Adesso non saprei dove metterci le mani per gli artisti di Superpang, occuparmi di casse a otto canali è una cosa al di sopra delle mie capacità…però le conoscenze sono nate così. Prendi Gustafsson, abbiamo amici in comune perché lui ha suonato con gli Zu, che conosco personalmente; ho provato a proporgli di fare un disco e lui si è fomentato, gli è piaciuto! Sempre Massimo Pupillo degli Zu ad esempio mi ha presentato Pino Saulo, che con Battiti è stata forse l’unica manifestazione di interesse “pubblica” in Italia, oltre ai singoli che ci fanno i complimenti. 

R: È una cosa che non sempre dal punto di vista di chi ascolta si riesce a percepire, ma credo sia importante come nella produzione discografica confluisca una fioritura di rapporti, conoscenze, collaborazioni che hai costruito in anni e anni di musica. Cito nuovamente Toni Cutrone, che parlando di questo ha usato il termine “umanamente”: anche adesso che suona parecchio in giro e spesso fa date all’estero, continua a sentire che il contatto umano è il senso di tutto, un aspetto che è linfa vitale per l’underground. 

C: Assolutamente, io sono cresciuto così, sono sempre stato in giro con dei musicisti e ho fatto il roadie anche in America. Mi sono sempre divertito e sono grato di aver frequentato l’ambiente punk che mi ha dato l’atteggiamento di fare le cose senza badare ai fronzoli. Alla fine la musica è sempre la connessione, a me piace conoscere le persone, quando faccio o ricevo proposte con gente interessante cerco sempre di incontrarli; alle brutte ci saremo presi una birra insieme. 

R: Ho visto che su Bandcamp c’è scritto che Superpang non accetta più demo. Oltre alle proposte che fai tu direttamente, come scegli o scopri la musica che poi pubblichi?

C: Guarda, intanto ti posso dire che portare avanti questa policy un po’ spietata del non volere demo è in realtà un deterrente lievissimo al riceverne in grande quantità. La gente mi scrive uguale, bypassa la cosa dicendomi: “Ho letto che non accetti demo, MA penso che questa cosa che ho fatto potrebbe davvero interessarti…”; avevo scritto “basta demo” anche su Instagram, poi l’ho tolto perché tanto non serviva. Io poi rispondo a tutti, le mail sono tante e meno male, perché c’è interesse. A volte quando sono cose che non riesco a pubblicare rispondo con dei consigli su chi contattare, ad esempio sono molto amico di Fabio Perletta e quando mi arriva qualcosa del suo genere glielo passo, ormai neanche lo avviso più. Per dire, io a mia volta ricevo delle demo da Oren [Ambarchi, ndr] di Black Truffle, che conosco e che mi passa tutta la roba che…a lui non piace. [ride] Però il principio rimane sempre quello di dare spazio solo a roba che apprezzo io. Non voglio neanche limitarmi a un genere musicale, ad esempio abbiamo pubblicato un gruppo di Roma, i Chasing Planets, che quando l’hanno messo su Boomkat hanno scritto: “Ma è una presa per il culo della Superpang? Questi paiono gli Iron Maiden!”. Ma, che dire…sono cazzi miei! Per la stessa ragione credo di poter dire che il nostro catalogo è inclusivo, abbiamo molte produzioni di donne che fanno computer music e accogliamo artisti di tante nazionalità. Ma non è una cosa ricercata, non voglio fare virtue signaling, è che semplicemente se mi piace la tua musica io ti faccio la produzione e la faccio uscire, a prescindere da chi sei o da dove vieni. Voglio pubblicare su Superpang solo cose che mi piace ascoltare. Ecco, ho fatto tempo a dirlo, mentre ascoltavo il catalogo un mio artista mi ha appena spaccato le orecchie con un fischio ammazzacani…

R: Domanda squisitamente giornalistica ma sinceramente interessata: qual è la direzione futura (o anche presente) di Superpang?

C: Una cosa che mi piacerebbe fare, anche se non è nelle mie corde, è uno showcase dell’etichetta, un concerto in cui suonano vari artisti che abbiamo avuto su Superpang. Questo però sarà molto difficile da organizzare. Oltre che per una questione di tempo con il mio lavoro principale, farli venire a Roma e poi stare qui per uno-due giorni è una cosa impensabile con le mie possibilità, per una questione di costi. Kevin Drumm lo conosco bene e so che se lo faccio dormire sul letto in cameretta mia a lui va benissimo, a parte che è alto due metri…ma se si muovessero diversi artisti, credo sarebbe più facile organizzare altrove con due o tre di loro e poi andare lì a presenziare. A Roma poi ho i contatti dei posti in cui suonare, ma non sono più dentro l’ambiente come prima. Quindi questo è un sogno che per ora vedo un po’ difficoltoso da realizzare. A livello di uscite, abbiamo già tutto il 2023 programmato…

R: Davvero? Tutto l’anno già programmato?

C: Proprio così. Ieri ho fatto un pranzo con una band per decidere se il disco esce a febbraio o marzo 2024, siamo arrivati così in là con la programmazione. Le uscite in digitale vanno avanti, sono cose che ho accumulato con il tempo e che ho piazzato man mano per dare spazio un po’ a tutti quanti gli artisti. Ora la cadenza è ridotta, abbiamo già deciso che quando arriveremo alla SP 200 metteremo una grafica nera che starà a simboleggiare la chiusura definitiva delle nostre pubblicazioni in digitale. Tra l’altro delle grafiche fino a SP 150 si è occupato Joe Gilmore, che è bravissimo e collabora anche con la Planet Mu; noi abbiamo anche pubblicato un suo libro, che è un portfolio di quello che fa. Non voglio che Superpang sia un’etichetta discografica e basta, mi piace l’idea di renderla multigenere e multisupporto. Se incontrassi un artista che fa delle belle poesie, lo “produrrei” senz’altro. 

R: Continuano le uscite in formato fisico nonostante il marasma della produzione in vinile?

C: Sì, abbiamo già in cascina cinque uscite in formato fisico per il 2023 e saranno diverse tra loro: avremo CD, cassetta e vinili in 12 e 7 pollici. Pubblicare dischi su supporto fisico rimane un aspetto molto importante nel prossimo futuro di Superpang. Quando abbiamo reso disponibili su Bandcamp i primi CD, volevamo mettere quelli a 10-12 euro e gli album digitali a 99 euro per comunicare un messaggio: lascia perdere il digitale da solo, compra il disco e avrai il digitale incluso! Capisco che l’inquinamento è un problema serio, sono sensibile a questo tema e so che la plastica dei vinili non “serve” più; però il disco serve al musicista, perché noi che siamo etichette piccole e non possiamo pagare ventimila euro per un CD a un musicista. Quindi gli diamo magari 50 copie e quando va a fare un concerto se le porta dietro, al banchetto le vende a chi lo segue e tira su qualcosa, oltre a interagire direttamente con chi è lì.

R: Io compro vinili come forma di supporto per artistə e per l’etichetta, non ho nessun legame con l’oggetto in sé, giro sempre con le cuffie e ho tutta la musica in digitale. Sono molto toccato (o triggerato, a seconda del punto di vista) dalla questione ambientale, penso che potremmo tranquillamente andare oltre lo stampare solchi su plastica come veicolo per la musica; però mi rendo conto che c’è qualcos’altro oltre alle dinamiche commerciali.  Come dicevi tu, il disco fisico diventa un “pretesto” per un contatto fisico, per uno scambio reale tra le persone. Mi torna in mente il Megastore Sonic Belligeranza a Bologna, che era diventato (dico era perché in questo momento è temporaneamente chiuso; a proposito, potete supportarlo qui) un punto di aggregazione molto bello che partiva proprio dai supporti fisici. Il posto è piccolissimo, sei metri quadri, stipato di musica su vari formati, e all’ingresso c’è un giradischi che manda direttamente la musica fuori. Quindi tu passando senti la musica scelta da chi è dentro e si crea questo circolo virtuoso di curiosità e interazione.

C: Mi fa venire in mente la Criterion Collection, sai? Loro si occupano di restauri di pellicole cinematografiche e hanno questo store piccolissimo dove ci giri a malapena. Ogni tanto fanno video in cui un paio di attori scelgono qualche film passeggiando in mezzo a colonne di capolavori. Così, pensiero estemporaneo. Comunque non c’è dubbio che il vinile abbia ancora questa valenza qui, anche se il mondo è cambiato tantissimo. Pensa ad esempio a fare un DJ set: adesso ti porti i tuoi file, hai tutti i pezzi che ti servono e ti fai la tua serata. Una comodità e un’accessibilità incredibile, che però ti fa allo stesso tempo perdere qualcosa. Non c’è più quella fissa di scegliere quale disco mettere su questo bit o quest’altro, sono lontani i tempi di Jeff Mills con 3 consolle davanti che faceva suonare 30 secondi a disco e poi li tirava dietro col ragazzetto di bottega a recuperarli…ma era veramente un’altra epoca, allora quando c’erano i concerti io e i miei amici facevamo attacchinaggio sul muro. Se tu passavi a Trastevere, Monti o San Lorenzo vedevi il poster e sapevi che c’era il concerto, sennò niente, nessuno te lo diceva. Quando poi li andavi a sentire, se ti piacevano i gruppi compravi la loro musica sul posto, era tutto al contrario rispetto ad ora! Adesso potresti ascoltare musica di gente che non ha mai suonato in vita sua, hai un accesso molto più semplice a tantissima musica e questo è fantastico, però sicuramente c’è il rischio di un maggior distacco. 

R: Su Livore abbiamo riflettuto parecchio sul significato che può avere una recensione oggi. Per noi ha senso farlo se ci permette di parlare di musica con uno sguardo ampio, nel senso che se utilizzo una recensione solo per comunicare se un disco è bello o no, fai prima ad ascoltartelo; invece se si parla di come è nato, di che storia ha, del contesto in cui è stato creato, si danno delle chiavi di lettura in più. Che so, se esce fuori un disco fatto da un gruppo in Sudan è importante sapere la storia che c’è dietro, tradizioni e situazioni che magari non conosciamo e che hanno un significato enorme in quella musica. Tu come ti rapporti con questo mezzo comunicativo?

C: Una cosa che a me sembra interessante sono le specifiche su come è stato fatto un album. Noi finora non abbiamo mai messo troppe cose, se nei credits mettiamo chi suona cosa a me sostanzialmente va bene, ma se ti dovessi fare la lista delle cose che usa ad esempio Toni Lugo, che conosco bene perché mi fa vedere le foto e le patch che scrive per i programmi, uscirebbe fuori qualcosa come la lista dei synth che usato Aphex Twin su Syro. Macchine, sintetizzatori, HP anni ’90, oscilloscopi, cose veramente fighe, di cui a me piacerebbe ogni tanto leggere, perché in base a com’è il disco posso fomentarmi sapendo cosa ha usato l’artista oppure dire “ah, tutto ‘sto materiale per questa roba qua?”. Ultimamente ho comprato un disco su Boomkat dopo averlo visto nella  chart di una persona che tengo in considerazione, si chiama Nachthorn di Maxime Denuc, copertina tutta blu. L’ho ascoltato una volta e l’ho tolto dalla mia playlist. Dopo un po’ l’ho visto ancora recensito bene da un’altra parte, allora mi sono detto: che cosa ho scartato? È una cosa che piace molto, fammela andare a rivedere. Oh, questo disco adesso è bellissimo per me, perché ho indagato e ho visto che lui ha programmato l’organo per fare dei suoni che, senza saperlo, mi potevano sembrare un banale synth anni ’80 del cazzo suonato alla Depeche Mode – per carità, senza nulla togliere a Martin Gore. Invece leggere come è stato fatto il disco e vedere qualche video di come è stato composto ha cambiato tutto. Le review o i credits in alcuni casi servono, anche perché in questo tipo di musica c’è sempre un aspetto concettuale, ci sono cose che sembrano davvero il risultato di un tizio che tiene un dito per un’ora su una tastiera muovendo un LFO e basta, invece ci sta magari un mondo matematico sotto, delle regole algebriche veramente affascinanti. Poi quello che viene fuori può piacere o non piacere, questo sta all’orecchio delle persone. È molto complesso.

R: Immagino ci sia anche una differenza di percezione, perché credo che le recensioni siano più utili per appassionatə che vivono la musica principalmente in ottica di ascolto e interesse personale rispetto a chi invece è dentro alle dinamiche creative o produttive. In quel caso è il fatto stesso di poter fare una collaborazione e di dare corpo a della musica che magari altrimenti non sarebbe “successa” a costituire il grosso della soddisfazione, al di là di come poi viene recepita all’esterno?

C: Sì, è una cosa su cui sarebbero d’accordo tutti i produttori al mondo. Ricevere feedback positivi fa sempre piacere, ma l’attività non si orienta in funzione di questo.  Si capisce anche dal nostro catalogo, perché non cerchiamo di pubblicare musica che sia più fruibile. Invece capita che anche etichette che personalmente apprezzo, come Modern Love o DDS, facciano uscire certe robe… pezzi house o minimal techno che avrei potuto fare anche io a lezione di inglese con la 909 virtuale su Fruityloops! Se entri in quel giro, a livello discografico conta anche la moda.

R: Prima dei saluti, ti chiedo di consigliarci un disco uscito di recente. Ho trovato la tua chart di Boomkat del 2022, vedo che l’ultimo di Aleksandra Slyz è piaciuto anche a te…

C: Sì, ho fatto anche un disco a lei, sono andato proprio a cercarla. Mi piace molto quello che fa.

R: Dato che sei molto dentro l’ambiente, se ci vuoi consigliare qualche nome per noi è tutto grasso che cola.

C: Adesso ti dico, guarda…secondo me vale la pena recuperare questa etichetta che si chiama Death Is Not the End

R: Bellissima! Sono felice di poterla citare qua.

C: Eccezionali, fanno delle compilation di musica folk incredibile di alcuni paesi dimenticati da dio. Io ho fatto la sottoscrizione su Bandcamp, è veramente di livello mondiale secondo me. Soprattutto non ho idea di come facciano a reperire i nastri originali.

R: È vero, questo sarebbe bello chiederlo! Christian, grazie per la chiacchierata e buon proseguimento, sia con Superpang che con il trasferimento dall’hard disk.

C: Buon pigiama!

PER ESEMPIO: TRE BEGLI ALBUM USCITI L’ANNO SCORSO SU SUPERPANG

SP 102 [Infernal Mosquitoes – Antigua]

Questo aveva già trovato posto tra le nostre Periferie: “La presa di coscienza di ciò che accade qui avviene laddove i paesaggi scarni tratteggiati dalle note insistite ad un tratto si sdoppiano, si frazionano riflettendosi, come in un miraggio. Gli echi dei fiati diventano loop terraformanti, rumori marginali costruiscono cornici solide. La sensazione non è quella di essere condottə in un deserto con la sola borraccia della nostra attenzione, bensì in un mondo instabile dove ad ogni momento possono palesarsi nuove forze, sottili e permanenti. […] Così ci si può lasciar sorprendere a cuor leggero dal dualismo digitale/analogico condotto con maestria in La Matriz, o perdere felicemente la scommessa sulle percussioni sfilacciate che in For Thich Nhat Hanh / Ketjak diventano trama portante. Perfino, nella splendida Ran, cedere il concetto in cambio di semplice sentimento lucente, sentendolo formarsi tra le risacche di inaspettate acque ambient. Un bell’esercizio di inventiva essenziale”.

SP106 [BBM – GALA ~]

Nell’ordine delle aspettative, ascoltando un disco italiano del 2022, non c’era certo di trovare come brano di apertura un rifacimento aggiornato e credibile dei Tortoise. Eppure questo succede qui, ed è il punto di partenza per un inatteso giocare con le forme del post-rock, rendendolo molto più post-. L’amalgama vede mescolarsi le manipolazioni elettroniche di Alberto Boccardi, il polistrumentismo d’estrazione jazz di Antonio Bertoni e le referenze indie/noise rock della batteria di Paolo Mongardi. Tra i vari giochi di prestigio c’è quello di assemblare gli ultimi Explosions in the Sky con l’elettroacustica percussiva (α Cigni), oppure evocare il fantasma dei Dirty Three per trasfigurarlo poi tra percolature elettroniche e cadenze tribaleggianti che non sarebbero fuori posto in una produzione di Shackleton (γ Crucis). Aggiungeteci fascinosi esperimenti di sound poetry e avrete di che deliziarvi al pranzo di Gala.

SP110 [Eliott Blaise-Lassire – Disque.Fragile_1&2]

Blaise-Lassire è un sound artist francese dal percorso sotterraneo e industrioso. Qui registra suoni elettronici su dischi che poi tratta con un processo di degradazione attraverso l’azione di vari elementi (sabbia, terra, ghiaccio) sulla superficie del supporto, unendo poi le registrazioni originali con quelle modificate. Una tecnica che non rimane chiusa nella nebulosa dei glitch digitali ma ricorda direttamente assalti pioneristici ai dischi fisici, come i vinili spaccati di Milan Knížák e i patchwork di lame e vernici sui CD ad opera di Markus Popp. In Disque.Fragile_1&2 c’è anche una componente di meravigliosa attualità nel demandare agli elementi naturali l’opera di deterioramento della tecnologia, capovolgendo la pervasività del processo contrario. Ma oltre i discorsi concettuali, rimane il fatto che i due pezzi sono solidi e avvolgenti. Se Music Under The Sun potrebbe essere la colonna sonora di un ghiacciaio che si frantuma nel suo far convivere droni contemplativi e suoni di rovina, Music Under Sand & Mud è una di quelle rare composizioni in cui la natura astratta della musica si fa narrativa concreta: qui si percepiscono le lame post-industriali e le voci umane sepolte sotto la bellezza di paesaggi elettronici dai contorni sfumati, inafferrabili eppure così vividi nel loto mutare suggestivo tra apparizioni e scomparse di ambienti sonori. Un ascolto trasformativo.  

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Roberto Perissinotto
Roberto Perissinotto