SEI METRI QUADRATI PER TRE VISIONARI: SIAMO STATI NEL RECORD STORE PIÙ PICCOLO D’ITALIA

Se a Bologna passate per via Mascarella dal tardo pomeriggio in poi, vi capiterà di imbattervi in un negozio di dischi unico nel suo genere. Primo, perché ci metterete qualche secondo di lavoro sinaptico per collegare l’insegna “MEGASTORE” con il corridoietto stipato di dischi e altro materiale musicale che si apre appena sotto: ci prendiamo l’azzardo di dire che si tratta forse del negozio di dischi più piccolo d’Italia. Secondo, ancora prima di vederlo probabilmente avrete modo di sentirlo. All’ingresso c’è un giradischi che chiunque può far suonare con qualche reperto pescato all’interno del Megastore; le note si spandono sul portico e sulla via, la curiosità diventa diffusione e il piccolo spazio si espande mescolandosi con ambienti e passanti. Terzo, anche nelle sere dal clima più rigido troverete sempre fuori dal Megastore una notevole balotta, ovvero gruppi di persone prese bene che si riuniscono lì tra birre, chiacchiere e risate; scene più da locale di ritrovo che non da negozio di dischi. Infatti il Megastore non è un negozio di dischi. Abbiamo intervistato il trio che lo gestisce per farci entrare più a fondo nel minimondo del Megastore.


Quando arrivo di fronte al familiare frastuono dell’Ortica in via Mascarella trovo solo Balli, in arte DJ Balli: DJ sperimentale, producer breakcore, fondatore dell’etichetta Sonic Belligeranza. Lo interrompo mentre sta guardando dei meme, non sembra affatto infastidito. Aspettando gli altri iniziamo a parlare del suo percorso fin qui.


R: Tu sei stato fulminato dalla musica elettronica a Londra, giusto?

B: In Inghilterra ho iniziato a fare il DJ, perché mi sono incioccato in certi party, in queste etichette…la Praxis, la Ambush di DJ Scud, eccetera, e lì ho visto la luce! Mi sono detto, cavolo, combinando le bordate noise della musica “bianca” sperimentale industriale e i suoni “neri” velocizzati della musica jungle/drum ‘n’ bass/hip hop/ragga viene fuori questa miscela nuova, che poi sarà chiamata breakcore. Quindi ho iniziato a prendere i dischi e a suonare. Poi sono tornato in Italia e ho continuato a suonare quelle cose lì, che nessuno seguiva.

R: Quindi sei tornato a Bologna e nel 2000 hai fondato la Sonic Belligeranza.

B: Sì, era il periodo in cui da noi era arrivato il drum ‘n’ bass stile “jump up”, tanto per dirti. Ho iniziato a fare delle tracce breakcore e mandarle alle etichette. Solo che una magari accetta di pubblicarla ma vuole una certa copertina, un’altra vuole decidere in autonomia per la produzione…insomma, decido di fare la mia etichetta, che faccio prima.

R: Volevi poter decidere tu riguardo alla grafica, al mastering…

B: Tutto, tutto. E poi perché la label era il medium per entrare in questo mondo completamente DIY e creare anche una sorta di progetto distributivo. Ci si scambiava i dischi autoprodotti, cercando quel tipo di sonorità di nicchia.

R: Questo mi incuriosisce molto. Anche adesso, se dovessi cercare non dico una zine, ma anche online, un ambiente che tratta di breakcore farei veramente fatica. Quindi dimmi, all’epoca com’era la situazione?

B: All’epoca…io ci sono finito dentro nel ’95, considera che le prime compagini breakcore risalgono al ’92. Quello era un momento abbastanza seminale in cui si stava articolando una scena breakcore dal basso, gente a casa che si stampava in pressa i vinili dodici pollici e spingeva queste produzioni, pensate per il dancefloor però ultra rumorose. Cose completamente non centrate, legate proprio alle autoproduzioni, una scena molto sincera. Questo anni prima di Venetian Snares, che forse è l’unico nome che salta fuori se ne parli in giro. Tutti gli altri sono gente sconosciuta qua, non sono passati così tanto, forse perché non hanno seguito certi canali. Ti faccio l’esempio di DJ Scud che forse è il vero nome di riferimento.

R: Essendo qualcosa che non aveva particolari legami con l’esistente, mi sembra quasi naturale che un genere come la breakcore trovasse il suo ambiente in locali autogestiti, centri sociali, posti aperti a contaminazioni di vario tipo che non avevano strette esigenze di pubblico e di risonanza contante. È così?

B: Esatto. Poi conta che partiva dall’Inghilterra ma si trovava anche in Francia, in Germania, (soprattutto a Berlino), c’erano robe in Olanda, in Belgio, negli Stati Uniti, qualcosa anche in Giappone, una scena con dei party a 360 gradi.

R: Con le piramidi umane

B: Eh, quella è una cosa più legata alla gabber e all’ambiente del club.

R: Per toccare il soffito!

B: Esatto. Al Number One! (guarda il cellulare) Sta registrando bene?

R: Sì, non preoccuparti, ho sbobinato lezioni dall’ultima fila nelle aule dell’università, porteremo a casa anche questa. Di nuovo sulla breakcore: cosa ti ha catturato di questo stile?

B: Una definizione che mi piace molto della breakcore è, più che un genere musicale, una strategia ibrida per giustapporre cose diverse, quasi inconciliabili. Cioè, di base nelle produzioni la cassa gabber c’è e anche l’amen break alternato, ma devo dire che la breakcore è stata più efficace proprio quando non è stata codificata come genere. La proposta si è irrigidita quando è arrivata la codificazione, con la Planet Mu ed etichette grosse come la Rephlex stessa…

R: Come in certi EP di Aphex Twin?

B: Sì, Aphex Twin in certe sue produzioni ci è arrivato, ma la breakcore in sé è un’altra cosa, più spezzata ancora e consapevole di essere strategia ibrida e non genere. Quando si è codificata in genere si è spenta perché non ha avuto presa…parlavamo della gabber, la gabber invece ad esempio è rimasta, perché ha inciso anche sull’immaginario sottoculturale, nel modo di vestirsi, eccetera. Infatti è una cosa che negli anni ’10 è stata riscoperta e adesso si riparla di gabber o hardcore techno, ora si può suonare in giro senza che sia più considerata musica per nazi.

R: Sì, la gabber ha avuto una commercializzazione che la breakcore non ha mai visto. Io a 16 anni ho beccato una compilation di hardcore techno, 2 CD a 10 euro, nientemeno che tra gli scaffali della Coop Miralfiore di Pesaro. Magari avranno sbagliato ordine, non lo so. In Olanda invece è una cosa comune, lì ha un radicamento popolare che sconfina in grandi festival dedicati. Ma nel decennio scorso, anche in festival di elettronica più chiacchierati e “intellettuali” con gente come Amnesia Scanner, c’era comunque spazio per la musica gabber o per reinterpretazioni della gabber, penso al roster Svbkvlt o a producer come i Gabber Modus Operandi. Spazio che per la breakcore non c’è.

B: Sì, quello è stato un recupero hipster, legato anche alla moda, all’abbigliamento. La breakcore invece è rimasta squisitamente musicale, più sound che stile, e non ha toccato determinati cardini sottoculturali. Per un periodo era andata forte in un paese piccolo come il Belgio…ma non ha mai segnato l’immaginario collettivo in maniera tale che vedendo passare qualcuno dici “guarda, questo è un tipo breakcore!”. Mentre un gabber lo riconosci in tutti i Paesi. Per cui c’è stato un momento in cui era la next big thing dell’elettronica ma poco dopo è arrivata la dubstep e cioè l’esatto contrario, musica che rallentava e che ha avuto molta più presa.

R: Tra l’altro, tra le tue produzioni c’è un disco che definisci proto-dubstep, lo Straight-Edge Rastafari Manifesto

B: Sì, quel disco per me era breakcore nel 2003. Adesso lo definirei un disco proto-dubstep, perché rispetto ai miei standard è meno veloce, è un disco abbastanza sperimentale in cui ci sono breaks mid-tempo insieme alla cadenza del dub più rallentata. Poi ci sono campionamenti ragga/reggae, e parlando di roots…le nostre! Campionamenti di fisarmonica, di liscio. Cercavo di fare questa strana commistione, affascinato dal ritmo dub mettendoci però qualcosa di originale, qualcosa legato alle mie robe, e quindi il liscio: la nostra musica dance.

R: Ti direi, la versione emiliano-romagnola di quello che a Londra veniva fatto nella dubstep con i sample jungle.

B: Esatto. Di robe breakcore ne ho fatte di più spinte a livello di suono, in Straight-Edge Rastafari Manifesto è estremo soprattutto il concept che mescola sound apparentemente inconciliabili.


Ci interrompiamo per l’arrivo dei due sodali, riconfiguriamo la nostra disposizione spaziale e allarghiamo la conversazione.


R: Per (ri)cominciare, facciamo le presentazioni: chi siete e cosa fate, per sommi capi.

Balli: DJ Balli, faccio il DJ/produttore.

Conte: Il Conte, appassionato di musica e di supporti.

King :  King Rico, faccio il selecter ma principalmente sono un magazziniere, questa qua non è la mia occupazione principale. Però è una situazione interessante in cui io mi occupo della parte reggae/dub, che per noi è molto importante. Ha aperto a molti generi, molti non sarebbero esistiti se non fosse stato per l’influsso del dub.

Balli: Sì, la musica dub è l’origine di gran parte dei generi di elettronica che ascoltiamo. Il focus su percussioni e basso con tutte le manipolazioni elettroniche è lo scheletro di tutta la musica ballabile che c’è adesso. Le “version” dei vari pezzi dub sono le prime forme di remix. FROM DUB TO CLUB! Pensa poi all’impatto che hanno avuto queste tecniche quando sono andate a collidere con altri generi…

R: Come nella New York di inizio anni ’80?

King: Esatto, hanno avuto un’influenza enorme.

R: Veniamo al Megastore. Come nasce?

Balli: Si tratta innanzitutto di dimenticarsi del Virgin Megastore, c’è anche l’insegna che lo riprende a sfottò. La Virgin ha aperto le palestre, ha aperto la radio; noi invece come label abbiamo aperto questo spazio, il Sonic Belligeranza  Megastore. Si tratta di 6 metri quadrati di cui 3 calpestabili, da cui la gag del nome; dedicati a qualsiasi tipo di avanguardia e retroguardia in ogni formato possibile. La breakcore rispetto al 2000 è andata un po’ nel dimenticatoio ma l’attitudine a sperimentare per noi è rimasta. Anche per divertirsi, perché sennò…

R: Nel Megastore infatti si trovano molte pubblicazioni della Sonic Belligeranza. Io credo di averla sentita per la prima volta da un oscuro blog in cui si parlava di un disco di Sandblasting, ma basta scorrere il catalogo per vedere che negli anni ha sempre cercato nuove collisioni da mettere in atto. Noise e horrorcore, pizza astratta e musica concreta, ritmo e skate…a proposito, avete mai fatto skate assieme?

Conte: No, assieme no, però abbiamo tutti skateato.

Balli: Io la tavola ce l’ho ancora e la uso anche nei live. Comunque il motto è: tutto è possibile a livello di sound, INFECT THE UNDERGROUND!. Le uscite a nome Sonic Belligeranza hanno continuato ad essere orientate al dancefloor, ma per dancefloor si intendono cose tipo l’ultima uscita con produzioni a 1400 bpm, cioè un disco di un genere che si chiama extratone in cui la cassa va così veloce che non la senti più, e quindi diventa lento. Poi ci sono le due sottoetichette, – Belligeranza (leggi meno Belligeranza) e + Belligeranza. + Belligeranza contiene progetti orientati al rumore, – Belligeranza fa uscire cose più soft. Abbiamo pubblicato cose per lo scratch, dischi di downtempo, electro sperimentale, dischi di New Age strana visionaria, new New Age come ci piace chiamarla. Per sottolineare l’importanza che il dub e il reggae hanno in quello che facciamo, ti dico che ora è in gestazione un progetto ispirato proprio al dub old-school. Ci muoviamo per mobilitare un po’ di tutto, consci di quello che possiamo fare.

R: L’idea di base della breakcore, una strategia ibrida per mettere insieme cose diversissime, mi sembra sia trasferita anche nel Megastore. Se entro e mi metto a cercare tra i vinili trovo dischi industrial vicino a edizioni di musica tradizionale greca.

Conte: E qui entro in gioco io! Il King è l’autorità in fatto di reggae e dub, Riccardo la voce dalle frange più estreme della musica elettronica, io spingo la World Music in tutti i suoi aspetti, reggaeton non convenzionale, cumbia dell’Analog Africa, la nostra musica da rave (ovvero il liscio e la filuzzi) intesa come musica etnica, ma anche la canzone napoletana dai classici ai neomelodici, eccetera. Insomma ogni geografia sonora è ben accetta, compresi gli esperimenti di fake world music.

R: Quindi nel piccolo spazio del Megastore le distanze si annullano e si creano nuove affinità.

Conte: Sì, il Megastore è come una scatola che contiene tutte queste cose. È un luogo fisico che contiene musica su supporto fisico. Noi nel tempo abbiamo collezionato, raccattato, ereditato, raccolto per strada musica tout court solo su supporto fisico: vinile, cd, musicassetta, USB d’artista, floppy disk…

Conte e Balli: …78 giri! (all’unisono)

Conte: Ciò detto, ovviamente seguiamo anche la musica sulle piattaforme digitali.

R: A proposito, come ci arrivano i dischi al Megastore?

Conte: Beh, tanto lo fanno le collezioni personali…poi ogni volta che si svuota una cantina, che c’è una svendita, che si libera un magazzino per qualche ragione c’è sempre qualcuno che mi chiama. E io vado e pesco da quello che si trova.

King: Io ho dei contatti attivi con delle etichette che si occupano di dub/reggae, riusciamo a farci arrivare nuove produzioni anche da ambienti più underground.

Balli: Io dalla Sonic Belligeranza continuo a fare tantissimi scambi di dischi con altre etichette discografiche. Così riesci a distribuire il tuo materiale, ti fai arrivare roba nuova da proporre e da entrambe le parti la musica circola in ambienti dove magari altrimenti non sarebbe arrivata.

R: E come vi rapportate a tutta la musica che avete qui?

C: Noi in sostanza abbiamo ricreato un habitat di tutto quello che è l’oggetto in musica. Siamo il WWF del supporto sonoro, nel senso: attualmente la musica la si ascolta su piattaforme digitali, il MEGASTORE è l’habitat naturale per salvaguardare le specie protette, ovvero la musica sui vari formati fisici. Oltre ai supporti che ti ho citato prima abbiamo anche flexi-disc, VHS musicali, qualche dvd, qualche Blue-Ray ed un po’ di editoria musicale specializzata, soprattutto in inglese. Il Megastore è un punto di ascolto, dà la possibilità allo studente fuori sede che non ha il giradischi qui a Bologna o a chi non ce l’ha proprio di venirsi ad ascoltare i suoi dischi o i nostri. Ci interessa avvicinare la gente alla musica su supporto.

Balli: Esatto! È condivisione, ma in senso diverso da come la esperisci online.

R: Sì, immagino comunque che avendo anche un vostro profilo Discogs sarete tutti molto sul pezzo su streaming, download, edizioni e quant’altro…

Balli: Sì, non ci vedere come dei vinyl nazi!

R: Però avete sentito il bisogno di un posto fisico, che non è solo per distribuire il materiale dell’etichetta.

Conte: Il concetto della fisicità della musica ci ha portato a ragionare sull’avere uno spazio concreto da condividere con gli altri, non solo come contenitore di supporti. È una calamita per arrivare ad avere un gruppo di persone più o meno appassionate che possono ritrovarsi.

R: In effetti, per essere 6 metri quadrati, c’è sempre una bella balotta fuori!

King: Sì, anche con i climi più rigidi la gente ci viene a trovare! La cosa bella è che passa a trovarci gente di ogni età e ogni tipo, giovani, meno giovani, chi ascolta un genere e chi un altro…non è un ghetto, capito, non vengono qui perché si aspettano qualcosa di specifico da trovare. Magari ci potranno essere altri posti con le nostre dimensioni in Italia, non so…ma penso che questo aspetto ci differenzi molto.

Conte: La fisicità porta in modo automatico all’interazione tra i vari avventori, affluiscono tanti aspetti. Il fatto che sia stretto fa sì che se sei dentro e cerchi musica per forza vedi anche i dischi che stanno guardando gli altri. Automaticamente porta a condividere. Poi abbiamo fatto la scelta di non avere la cuffia, tutti ascoltano e tutti sono in ascolto, chiunque sia curioso di sentire un disco mette su qualcosa sul giradischi e ci impone di metterci in ascolto. E può essere qualcosa di già sentito, magari qualcosa di inaspettato, nel bene e nel male!

R: Una differenza evidente rispetto a un negozio di dischi tradizionale è proprio questa. Se io entro, per dire, al Disco d’Oro, sento in negozio la musica messa dallo staff, se poi voglio fare degli ascolti specifici posso scegliere solo tra dischi selezionati da sentire in cuffia. È tutto molto ordinato e schematico, a meno di rovistare nelle sezioni dei dischi usati (non a caso le più trascurate) è veramente difficile imbattersi in qualcosa di inaspettato. Qui invece tiri su vinili che non hai idea di cosa siano, magari non hanno nessuna etichetta e solo uno sticker con su scritto “Paradise Pizza”. Vuoi sentire cos’è, anche gli altri ascoltano cosa hai messo su, si incuriosiscono, magari entrano e chiedono…

Balli: E la condivisione è immediata, perché quando entrano vedono la copertina che gira sotto la puntina mentre il disco suona! La condivisione su internet è assolutamente benvenuta, fondamentale, però questo particolare del contatto diretto è difficile recuperarlo. È un modello di condivisione tattile che ha un suo senso attualmente in era social network.

R: Mi sembra che di fronte alla preponderanza di algoritmi e raccomandazioni personalizzate sia anche un modo di rompere la propria filter bubble. Sia su internet che in un negozio come questo si può entrare nella tana del Bianconiglio e perdere ore tra i dischi, certo, ma qui manca quel senso di horror pleni che c’è di fronte alla disponibilità infinita di dati digitali: hai questi dischi intorno a te, non sei tu che fai la selezione ma è la selezione che ti prende dentro, esplorala.

Conte: Eh sì, il rischio di cercare musica chiusi in casa propria è che sei sempre tra te e te, non c’è quel senso di immediatezza che hai nello scambio diretto con altre persone. Guardando dall’esterno cosa succede quando ci sono ragazzi e avventori che non si conoscono tra di loro, è evidente la sinergia e bello lo scambio che si crea, si genera un mix nuovo, capisci che c’è un filo conduttore.

King: Persone che ascoltano generi diversi trovano un punto comune e si parlano, si danno consigli, si conoscono, nonostante uno possa essere un grande patito di grindcore e l’altro sia arrivato qui sentendosi Tenco. È qualcosa di cui parlo anche per esperienza personale: principalmente ascolto solo generi che hanno avuto origine in Giamaica, però io stesso ho scoperto e iniziato ad ascoltare altri tipi di musica anche grazie al Megastore, lo posso dire! Sai, magari uno si sofferma troppo su un genere e bypassa gli altri…questo posto, insieme ad altre persone, è uno stimolo a provare, un mezzo per non fossilizzarsi.

Balli: Questa è attitudine breakcore! È unire sottoculture che boh, pensi: “Ma cosa hanno a che dire?”, e invece messe assieme trovano un senso, è proprio questo che mi sembra interessante.

R: Io ho il ricordo dei viaggi da adolescente al negozio di dischi per spenderci la misera paghetta, e parlando con altre persone nasceva questo scambio. I Tortoise me li sono ascoltati per la prima volta comprando Millions Now Living Will Never Die a scatola chiusa su consiglio di un ragazzo con cui ci eravamo messi a parlottare.

Balli: Tu sei di Pesaro, andavi al Plastic!

R: Sì era quello! Incredibile, il nome non me lo ricordavo neppure io. A proposito di negozi, in un’intervista di qualche anno fa Balli diceva che avere un negozio di dischi è economicamente insostenibile. Ora che cosa è cambiato?

Balli: Ma io sono ancora di quell’idea! È che questo non è un negozio di dischi!

Conte: Non siamo un negozio di dischi! Il concetto è diverso.

Balli: È un MEGASTORE! (ridendo)

Conte: Noi ci siamo ritrovati a ragionare così in termini di turbocapitalismo associativo, che è un ossimoro. In modo deliberato abbiamo ragionato su questo concetto: cosa interessa a noi nella vita? La musica! Che cosa divulghiamo, di cosa parliamo? Il nostro metro, il nostro tramite, anche fuori dal Megastore, è comunque sia sempre la musica. Quindi perché non poter ricreare un luogo di aggregazione dove la musica è la padrona, in sostanza? Noi non abbiamo un bar, non lo vogliamo avere, non vendiamo alcolici, noi abbiamo solo musica! E solo in supporto. Non abbiamo telefonie o una cassa bluetooth con cui possiamo lanciare comodamente seduti alla nostra panchina un brano introvabile, ecco questo no…ma perché ci siamo prefissi di aver soprattutto un luogo, uno spazio aggregante, in cui ognuno porta il proprio. La nostra è un’associazione culturale per gente che è interessata ad approfondire un discorso ossessivo/feticista/di studio e ricerca su determinate musiche. Anche a livello di temperatura nel locale, abbiamo ricreato l’habitat più idoneo alla conservazione dei supporti fisici!

R: E poi pronti a liberarli nel mondo!

Balli: Per chi vuole prenderli sì! Altrimenti, come ti diceva prima il Conte, vieni e te li ascolti in compagnia. Puoi anche portare i tuoi e farli ascoltare.

King: Non vogliamo passare l’idea che sia un negozio di dischi, perché non abbiamo l’ossessione di fare vendite. Chi vuole compra, chi non vuole ripassa il giorno dopo, ascolta altra roba, ci conosce…l’acquisto è una possibilità, non l’obiettivo.

R: Sì, anche prima che ci vedessimo per l’intervista mi avevate detto che il senso di questo “posto di dischi” non è venderli, è averli a disposizione per chi vuole.

King: C’è chi è passato a comprare anche tanti titoli, altri invece passano ad ascoltare, il messaggio principale è di condivisione della musica e della conoscenza.

Balli: C’è anche una tessera per chi vuole far parte dell’associazione. Essendo un WWF con Sonic Belligeranza il logo è il panda con gli occhi da gabber.

R: Allora poi mi tesserate. Ma il Megastore non è soltanto lo spazio con i dischi, è anche l’atmosfera che c’è fuori…io ogni volta che sono passato ho trovato sempre un bell’ambiente. Vi trovate bene qui? Sta andando come avevate immaginato?

Balli: Eccome! Va detto che la via è buona…

King: Via Mascarella è tattica, fosse stato in un’altra via di Bologna sarebbe andata molto diversamente. Questo è il posto adatto, una delle vie che è rimasta giovane, con gente che ha voglia di vedersi e vedere. Poi certamente c’è gente che vive di stereotipi e pensa che siamo un ritrovo, un raduno di personaggi poco raccomandabili, qualcuno è passato e ha detto anche questo, però in forma minore diciamo…la gente è soddisfatta, è contenta che siamo lì, a quei pochi magari faremo cambiare idea!

Conte: A me fa piacere che le persone magari inizialmente faticano a capire che cosa siamo, poi noi abbiamo interesse a capire che cosa pensano e cose le spinge qui…magari tornano la seconda e la terza volta e iniziano a esplorare un po’.

Balli: Poi considera che chi viene al Megastore si va a prendere una birra nei locali attorno per bersela qua davanti, stando qui se viene fame si vanno a fare uno spuntino lungo la via, pure noi magari ci andiamo a prendere qualcosa anche solo per usare il bagno (che non abbiamo)! Insomma, siamo molto benvoluti dai gestori dei locali della zona.

R: Anche gli orari (dalle 17 in poi) non sono proprio quelli da negozio ma più da centro di aggregazione, questo contribuisce molto.

King: Sì, per me sono necessari perché lavorando da magazziniere prima non riuscirei ad essere presente, ma sono tarati sul tipo di ambiente che vogliamo creare. Poi Balli vive qua vicino e volendo potrebbe aprire anche in altri orari, ma alle due di pomeriggio chi gira per via Mascarella? Invece l’orario serale va benissimo.

R: Domanda inevitabile: altre realtà di Bologna che vi piacciono, che vi stimolano? Che cosa ne pensate della scena qui, sia discografica che musicale?

Conte: Io ti dirò una cosa che sembra egoistica, ma in questo momento siamo molto concentrati su di noi, ci sono molti aspetti da seguire nella gestione di questo posto. A vederlo non sembra, ma gestire tutto è un’impresa veramente…mega! Sarà per la metratura, se sbagli qualcosa si vede subito! (ridono) Quindi ti segnalo la realtà parallela al Megastore che abbiamo fatto partire insieme ad Andrea Renzini, artista visivo che abita ad un numero civico di distanza dal Sonic Belligeranza. Bene, tra noi e lui c’è sul muro un contatore del gas con lo sportellino di 20 x 15 cm di dimensione: quello è diventato il nostro spazio espositivo, il MINI-MEGA, ogni sabato alle ore 19 è presentato in quel contesto mini un nuovo lavoro visivo. Siamo proprio una multinazionale!

R: L’ultima volta che sono venuto ho visto il volantino di un’asta che avevate organizzato, me ne parlate?

Balli: Era l’apertura, l’11 settembre. C’è stata un’asta in strada bandita dal qui presente Conte…

Conte: Con i vestiti del Settecento…

Balli: Sì, proprio una rievocazione. Tra le cose messe all’asta c’è questo feticcio: io ho una gigantografia, un cartonato a grandezza naturale, che ho fatto una volta per un doppio concerto. Ne avevo uno in Germania e uno a Bologna, soltanto che io sono andato al concerto in Germania dove c’erano tre paganti, la gigantografia che è costata 140 euro è rimasta a Bologna dove hanno mandato un mio mix in una gran serata con 300 persone. E questo è diventato il simbolo di tutti i tentativi distributivi che ho fatto dal Pratello a qua! Adesso che con il Megastore abbiamo trovato una maturità…

Conte: …nel senso che paghiamo un affito. Siamo diventati grandi.

Balli: Eh sì. Però visto che gli spazi sono quelli che sono ci siamo detti: liberiamoci di questo fardello, io la mia gigantografia non la voglio tra i coglioni. Per cui abbiamo deciso di venderla e sostanzialmente avevamo coinvolto delle amiche per una messinscena in cui loro erano le telefoniste organizzate per lanciare e rilanciare le offerte…

Conte: Acquirenti collegati da tutto il mondo! New York, Hong Kong, Sidney…fino a via Mascarella! (ride)

Balli: Pensa te, abbiamo ricevuto per la gigantografia una offerta realistica di 250 euro, fatta da uno che non si conosceva e che l’avrebbe presa, solo che le telefoniste si son fatte prendere la mano e hanno rilanciato a dei prezzi inarrivabili. E insomma, ce l’abbiamo lì in un angolo…se volete, con la giusta offerta ve la prendete!

R: Chi ci legge potrà farsi tentare. Altre iniziative targate Megastore?

Balli: Sì, ne abbiamo fatta un’altra per il Record Store Day. Questa giornata era nata come iniziativa positiva a inizio anni Duemila negli Stati Uniti, dove con Napster e con l’arrivo degli mp3 i negozi di dischi iniziavano ad essere in difficoltà. Poi c’è stata l’inaspettata ripresa delle vendite in vinile ed è diventata un’occasione inflazionata per vendere dischi di dubbio gusto a prezzi stellari. Che so, un mini bootleg dei Joy Division in cui Ian Curtis canta ‘O Sole Mio, a 666 euro, che probabilmente non avrebbero voluto far uscire nemmeno loro…

Conte: Alcuni bootleg hanno ottime ragioni per rimanere tali.

Balli: Allora noi abbiamo voluto dare il nostro contributo: come Megastore, veniteci a trovare e cosa trovate? Tutte le copie di “Quando Quando Quando” in 7 pollici ma eiaculate. Sia sborrate che squirtate perché noi non discriminiamo nessuno. Il progetto è stato curato dal Conte con liquidi seminali forniti non da lui, ma comunque è riuscito ad ottenerli e ora da lì ti puoi godere un ascolto “organolattico”. Quando la puntina sfrega sui liquidi seminali c’è un nuovo DNA della musica! Ecco, nessuno lo sa, ma quei sette pollici appesi su cui sfreghi entrando all’ingresso sono un benvenuto al contatto umano.

R: Quindi per un periodo hai fatto da banca del seme?

Conte: C’è stato per tutto lo scorso luglio un inseguimento dei liquidi seminali, io mi sono appoggiato a questo caro amico che è un ex DJ, lui ha un gruppo di care amiche nordiche femministe alle quali abbiamo chiesto di partecipare. Inizialmente non l’hanno presa benissimo, i toni si sono un po’ accesi, ma poi ci siamo spiegati ed è nata la collaborazione.

R: Si è fatto tardi, dovete andare ad aprire, ma prima di salutarci: consigliateci tre cose da ascoltare che possiamo trovare nel Megastore.

King: Inizio io consigliando l’ultimo degli Inner Terrestrials, Heart of the Free, una fusione di dub e punk. Consiglio del mese!

Conte: Io posso consigliarvi di esplorare l’arpa andina, l’arpa suonata dalle antiche culture nelle Ande del Perù che nel tempo si è mescolata con il sound cittadino per poi arrivare ad essere oggi il riferimento del folklore di un posto che sembra tanto lontano ma musicalmente non lo è.

Balli: “Quando, Quando, Quando” di Tony Renis (insomma quella che fa “Dimmi quando tu verrai”), 1962, edizione La Voce del Padrone, versione sborrata ovviamente.

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Roberto Perissinotto
Roberto Perissinotto