SHAME – FOOD FOR WORMS

Dead Oceans

2023

Indie Rock

Ve l’avevamo detto già l’anno scorso, il britpunk ci ha sfasciato il cazzo. Il fatto che ogni gruppo inglese sulla bocca di tutti sia, inevitabilmente, una copia ancora più scadente e pigra dell’iterazione precedente è una tortura cinese di cui non siamo sicuri ci potremo mai liberare; e gli sparuti momenti in cui questa regola infallibile sembrava miracolosamente piegarsi e offrire un prodotto originale sono sempre stati da noi salutati con la commozione del prigioniero a cui vengano lanciati un tozzo di pane e una ciotola d’acqua piovana.

Quest’anno, i segnali di qualcosa di nuovo sotto il pallido sole inglese sono ambivalenti: se da una parte ci si ritrova a schivare senza problemi l’ennesimo disco dei Black Country, New Road (un live registrato in patria consistente di una serie di brani inediti a cui il gruppo ha lavorato dalla dipartita del cantante e chitarrista Isaac Wood), dall’altra si guarda con curiosa attenzione ai piccoli frammenti trapelati finora di O Monolith, il secondo disco degli Squid, che se spinge tanto quanto Bright Green Field c’è da leccarsi i baffi.

Tuttavia, nel frattempo bisogna stare a pescare incrociando le dita nel confuso mare magnum delle uscite del primo quarto dell’anno, pregando che quando si prema play non esca dal nulla l’ennesima copia carbone. Ecco dunque che, appena messo su Food for Worms degli inglesissimi shame ho pensato: cazzo, ma questi sono bravi. Ora: nel momento in cui scrivo questo pezzo, io non ho ascoltato il loro disco del 2021, Drunk Tank Pink, che a quanto pare è stato abbastanza apprezzato dal solito giro di riviste e zine che tanto lo sapete che non ci si può fidare troppo. Ma Food for Worms, col suo minutaggio di circa 40 minuti, mi ha affascinato perché, più andavo avanti scartabellando le tracce, e più mi rendevo conto che gli shame qui hanno molta più affinità con un gruppo come i Pavement piuttosto che con i Gang of Four.

Mi spiego: anche se il disco mantiene per tutta la sua durata l’approccio nevrotico e in your face che è tipico di tutto il sottobosco creato da Dan Carey, sembra che il gruppo abbia deciso di fare un passetto oltre la mediocrità da ragazzini che hanno appena scoperto la collezione di LP di quando papà andava a prendersi a bottigliate nei pub a diciott’anni con gli amici e che stiano incorporando nel proprio sound quella pigrizia così primi anni ’90 e così saporita per il palato del pubblico millennial. Le chitarre si fanno più muscolose, il drumming più regolare, il cantato meno ossessivo… Se da una parte queste caratteristiche potrebbero far pensare a un disco meno interessante, però, dovreste ricredervi: specialmente perché la cosa veramente poco interessante da fare sarebbe stata ripiombare negli stessi stilemi che oramai hanno irrimediabilmente incancrenito acts come gli IDLES o i Fontaines D.C.. Gli shame, invece, sembrano avere capito la lezione e hanno esplorato una piccolissima possibile evoluzione del proprio sound e che li ha spinti a creare una altrettanto piccola, ma significativa spaccatura dal resto della scena anglofona sul mercato. Di certo non è un disco che ci fa urlare al miracolo, sia chiaro: ma certi numeri di Food for Worms (i tre singoli Fingers of Steel, Six-Pack e Adderall vale la pena ascoltarli per capire cosa intendo) lasciano presagire che gli shame abbiano subodorato la saturazione del mercato britpunk che precede, tipicamente, lo scoppio della bolla di sapone; e reputiamo che siano da incoraggiare le band che riescono a muoversi un po’ più a briglia sciolta secondo i propri gusti, intuendo che o si nuota o si affoga, e che allora è meglio nuotare. Avanti così.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala