CONTAINER BELLO

IL CAPOLAVORO INDECIFRABILE DEI SAWTOOTH GRIN

THE SAWTOOTH GRIN – JABBERWOCKY

Wax Vessel

2024

Grindcore

Jabberwocky è il titolo di una delle più celebri invenzioni letterarie di Lewis Carroll e del suo Through the Looking-Glass, il seguito – conosciuto in Italia come Attraverso lo Specchio di Alice nel Paese delle Meraviglie. Jabberwocky è una poesia che, per stessa ammissione di Carroll, ha il solo obiettivo di confondere il lettore, dato che una buona parte del suo lessico è costituito da parole inventate che offuscano il significato dell’azione narrata: l’unica cosa certa è che, al centro della sua vicenda, c’è l’uccisione di un jabberwock da parte del figlio del narratore grazie all’uso di una vorpal blade.

Dei Sawtooth Grin non avevo sentito parlare fino all’uscita, qualche settimana fa, dell’EP Jabberwocky, appunto. Questa band grindcore è, a quanto pare, un act cult all’interno del proprio genere; dopo aver registrato più di vent’anni fa il debutto dinamitardo Cuddlemonster, la band nella sua formazione originale si era disciolta per tornare brevemente in attività nel 2011 con un EP di nome Pervavor, procedendo a sparire per un altro decennio, prima di pubblicare nel 2022 l’LP Good. (con copertina firmata da Shintaro Kago!), e infine, per tornare ai giorni nostri, Jabberwocky. I dieci minuti di musica contenuti all’interno di questo EP sono un progetto ambizioso che i Sawtooth Grin coltivano dai tempi della prima reunion nel 2010: quattordici anni passati a trasformare e raffinare la cifra sonora del gruppo spingendola in un territorio che si incastra a metà tra i Dillinger Escape Plan e gli Human Remains di Steve Procopio. Se voleste utilizzare poco meno di un’ora del vostro tempo per sentire praticamente tutta la discografia della band fino ad oggi, vi rendereste conto che, però, è difficile ridurre i Sawtooth Grin esclusivamente al grindcore, o al mathcore, o a qualsiasi altro -core vi venga in mente di appiccicare alla loro musica: già solo in Cuddlemonster la furia del gruppo esplodeva in frammenti post-hardcore, spasmi death metal, astruse triangolazioni math rock e molto altro. Jabberwocky, con ogni riascolto, sembra invece voler alzare ancora una volta l’asticella di quello che è possibile compiere nel campo della musica estrema. Il merito è dato anche dalla produzione mostruosamente cristallina di Kevin Antreassian, che già l’anno scorso mi aveva fatto gridare al miracolo con un altro ritorno sulle scene di un nome gigantesco del grindcore, i Gridlink.

Ma torniamo alla musica: Jabberwocky è, come la creatura da cui prende il titolo, un mostro che continua a prendere forme diverse fino ad assumere le sembianze di qualcosa che è allo stesso tempo grottescamente irriconoscibile e familiare allo stesso tempo. Per farvi un esempio, dopo aver ascoltato più e più volte i primi trenta secondi della opener Brown Recluse non riesco a togliermi dalla testa il fatto che quello alla base della sezione è un riff che è chiaramente preso di peso dai King Crimson del periodo Red; e nonostante le ovvie differenze (penso che Bill Bruford non suonerebbe la batteria come fa qui Jon Karel neanche se lo imbottissero di anfetamine), c’è qualcosa di strano che da subito mi contraddice e mi fa pensare che i Sawtooth Grin vogliano trarmi in inganno. Effettivamente, la manata a cinque dita che arriva alla fine di questi primi trenta secondi prenderebbe di sorpresa chiunque: i due minuti che seguono mitragliano l’ascoltatore con un ciclone di ritmi composti e armonie dissezionate con una mannaia, fischi di chitarra che rimangono appesi nel vuoto, un tamburello (!) e le urla allucinanti di Richard Lombardi che complimenti al foniatra. Persino il testo sembra muoversi in questa dimensione di uncanniness: le parole mischiano il lessico carrolliano (a-ha!) con ricordi d’infanzia e l’orrore microcosmico di un ragno che divora la preda, sovrapponendo costantemente i piani della narrazione in maniera non dissimile da quanto avviene per il comparto strumentale. Su The Tableau Stags la linearità degli eventi si fa ancora più confusa: nella ripetizione del frammento che segna l’apertura e la chiusura del brano il tessuto compositivo si sfalda, oscillando costantemente tra scariche di iperviolenza e risacche dove l’ingabbiamento degli strumenti in soluzioni più “umane” sembra a malapena contenere la voglia di bruciare tutto; il bridge, se così lo si può definire, è uno spasmo convulso di chitarra atonale ammantato del grido lontano di un synth. E se A Cloud, A Cauldron, A Colony fa deragliare le sue costruzioni più di ascendente metal in un apocalittico mid-tempo, il rallentamento non rappresenta per questo uno sforzo meno sovrumano quando si vuole cercare di seguire per qualche secondo le linee melodiche tarantolate di Jason Springman e di DJ Scully. Un’ultima, devastante scarica e un latrato da manuale di Lombardi chiudono il pezzo, ma il piede di Karel dà il tempo sull’hi-hat per…

The Meadow è un troncamento di intenti. La sua evoluzione è schizofrenica, sviscerando in maniera ossessiva il suo poliritmo percussivo della prima metà prima di esplodere in una rabbia violenta ed emozionale. Il cuore di Jabberwocky si nasconde nei suoi ultimi momenti, nel suo tentativo di riparare con una furia indescrivibile una memoria infranta; la sua intimità rende il significato della propria riuscita irraggiungibile, e i Sawtooth Grin sembrano perfettamente consapevoli del carico bestiale che mettono sulle proprie spalle e su quelle dell’ascoltatore. Nelle parole di Alice, “Somehow it seems to fill my head with ideas—only I don’t exactly know what they are!”. Per citare quelle del press-kit, “We put our arms around the shoulders of our past and say: ‘We have you. Step right this way.’” Quella che abbiamo tra le mani è una delle release estreme più belle dell’anno, di questo ne sono certo.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala