GRIDLINK – CORONET JUNIPER
La parte più difficile di questa recensione è stata trovare una similitudine che si adattasse efficacemente al descrivere l’assalto sonico dei diciannove minuti di Coronet Juniper, il nuovo disco dei Gridlink. Una cinquina rifilata con un guanto d’armatura? Essere investiti da un tir contromano in autostrada? Una martellata nei coglioni (in positivo, eh.)?Tutte queste figure retoriche, però, non rappresentano accuratamente quello che il quartetto nippo-americano è riuscito a registrare e pubblicare per la Willowtip questo settembre: per dire, la brutalità animalesca dei Repulsed o la rivoltante dissezione chirurgica dei primi Carcass è introvabile in composizioni avventurose e stratificate come l’opener Silk Ash Cascade. Sembrano essere svaniti anche gli influssi dei Discordance Axis da cui i Gridlink discendono direttamente, con il progressivo allontanamento dall’emozione disperata e lancinante di The Inalienable Dreamless in favore di una precisione che sfiora il robotico; e paradossalmente risulta difficile persino confrontare Coronet Juniper con il resto della produzione degli stessi Gridlink. Prendete per esempio Longhena, l’ultimo full length uscito prima di questa nuova escursione nei meandri più rivoltanti del metal estremo: nonostante la durata tra i due LP differisca di soli due minuti, a un ascolto attento ci si rende conto che Longhena indulge molto più spesso in attimi di riflessione, a partire dall’ intermezzo post-rock di Thirst Watcher. In Coronet Juniper, queste pause vengono ridotte all’osso: la furia del quartetto è difficile da contenere o da alleggerire, e gli undici brani del disco si susseguono tra di loro con una velocità spiazzante, ma che nonostante tutto non lascia l’ascoltatore alla deriva. Un’altra differenza di cui ci si accorge immediatamente è quella riguardante la struttura dei pezzi: Longhena, pur contenendo al suo interno delle incredibili complessità (come la opener Constant Autumn), soffriva di un andamento interno dei brani singhiozzante. Le varie sezioni sembravano attaccate tra loro unicamente grazie alle incredibili doti di Takafumi Matsubara e Bryan Fajardo, rispettivamente chitarrista e batterista del gruppo, invece che essere legate da un fil rouge tematico che le rendesse simili ma uniche l’una rispetto all’altra. Anche qui, Coronet Juniper sembra aver compiuto un passo avanti estremamente mirato: sorvolando i brani da un minutaggio più corposo, che ovviamente offrono più tempo per l’elaborazione di idee complesse, persino dei brani-lampo come Octave Serpent o Anhalter Bahnhof si snodano in maniera labirintica ma mai schizofrenica, con i rimandi degli strumenti che si intrecciano gli uni sugli altri a velocità inenarrabili. Incredibilmente, sembra che Coronet Juniper riesca persino a fare di più del suo predecessore con meno mezzi a disposizione: dove Longhena si avvaleva del violino di Joey Molinaro per esplicitare le linee melodiche del chitarrismo pirotecnico di Matsubara, qui l’unico supporto al co-leader del gruppo è fornito dal rocambolesco suono di basso di Mauro Cordoba e dall’occasionale overdub. L’ostacolo è aggirato intelligentemente grazie a una produzione più acuminata e spigolosa, che riesce a mettere in evidenza tutto il comparto strumentale senza sacrificare nulla della furia primigenia della band. Ancor più sorprendente e applaudita è la perdita di alcuni stilemi che farebbero arrossire anche il più sfigato fan del J-Metal (si veda la seconda sezione di Look to Windward, del 2014) in favore di una sonorità più matura e austera, molto più devota al death ultratecnico che non alle sigle dei videogiochi: ascoltate l’half-time in coda a Revenant Orchard e ditemi se non ci sentite anche voi gli echi di tutti gli emuli dei secondi Death. Nota di merito va inoltre conferita a Jon Chang, che non solo a cinquant’anni suonati riesce a urlare come quando ne aveva trenta, ma che sembra riuscito persino a espandere il proprio repertorio di latrati infernali: la chiusura di The Forgers Secade, ad esempio, lo vede esibirsi in uno pseudo-growl gutturale e rantolante, simile a quello di un grizzly ferito. Ecco, forse è questa l’immagine che stavo cercando per Coronet Juniper: una macchina di morte di 500 chili, piena di rabbia e sangue, che carica nella vostra direzione. Come si fa, in situazioni del genere, a non rabbrividire estasiati?