THE SMILE – WALL OF EYES

XL

2024

Art Rock

L’unico motivo per cui due anni fa non abbiamo scritto niente riguardo l’esordio degli Smile è che, semplicemente, non sentivamo di avere granché di rilevante da dire a riguardo. Che fosse un off-shoot dei Radiohead, con Thom Yorke e Jonny Greenwood a guidare le redini, lo sapevano tutti già dal loro esordio live a sorpresa nel 2021, un anno prima della pubblicazione di A Light for Attracting Attention; che il loro sound risultasse piuttosto compromesso dalle nuove espressioni jazz e post-punk inglesi grazie anche alla presenza di Tom Skinner alla batteria è stato strombazzato in giro da ogni press-kit e recensione – ed è di fatto l’unico motivo per cui gli Smile sono stati ascoltati pure da chi è ormai completamente (e giustamente) disinteressato alle vicende dei Radiohead nei 2020s. E, alla fine, tutto quello che c’era da dire a riguardo si poteva riassumere in questi due fatti, perché A Light for Attracting Attention era davvero niente più che la somma delle sue parti: un disco che riprendeva il suono dei Radiohead più astratti del periodo compreso tra Ok Computer e In Rainbows, con alcune litanie come Pana-Vision che ne rievocavano direttamente il lato più lamentoso, innestandovi alcune bizzarrie armoniche e certi intrecci ritmici di stampo math rock/nu jazz. Fatto ancor più drammatico, A Light for Attracting Attention non solo non era manco lontanamente un disco rilevante nel grand scheme of things, ma non era nemmeno così male: per ogni Pana-Vision vi erano comunque diverse The Opposite, The Smoke o Thin Thing che richiamavano con successo il suono liquido e aristocratico di certo rock artistoide di stampo britannico, in una maniera che alle volte sembrava molto affine alla poetica degli Squid di Bright Green Field. Praticamente impossibile scrivere qualcosa di interessante e nuovo con premesse così misere: la stampa musicale dovrebbe prendere esempio e, prima di coprire un disco, interrogarsi a lungo su quanto la propria opinione aggiunga multidimensionalità al dibattito.

Per questo secondo Wall of Eyes la situazione è invece un po’ diversa. Complice la serrata attività live e la presenza sul mercato tramite la pubblicazione di materiale preso da concerti vari ed eventuali, gli Smile si sono scrollati definitivamente di dosso quella patina di “digressione estemporanea” dal corso principale dei Radiohead che ancora li ammantava ai tempi della pubblicazione del debutto. A tal proposito, la posizione di SentireAscoltare si distingue particolarmente per essere alle soglie del bispensiero – nel 2022 la recensione di A Light for Attracting Attention chiosava con un disilluso «Ci si potrebbe chiedere quale futuro avrà il trio, ma è piuttosto inutile farlo, perché come per gli Atoms for Peace, questo tipo di aggregazioni artistiche sono come happening estemporanei che fotografano un preciso momento della carriera dei suoi protagonisti» e nel 2024 quella di Wall of Eyes apre con un perentorio «Ma che The Smile fosse qualcosa di più del divertissement pandemico di due musicisti d’alto rango lo si capiva già prima della pubblicazione di A Light For Attracting Attention»: dichiaro chiusa la polemica tra me e il sottoscritto.

È forse anche per questa rassegnazione collettiva a leggere gli Smile come un progetto autonomo che l’accoglienza generale per Wall of Eyes sembra (ancora) più calorosa rispetto a quella riservata al primo lavoro: Pitchfork ancora una volta conferisce loro il titolo di Best New Music con un voto tutto sommato equivalente a quello dato all’album precedente; Rolling Stone titola baldanzoso di come gli Smile non siano semplicemente un side hustle dei Radiohead; ImpattoSonoro si sbilancia in voli pindarici tipo «Che The Smile non fossero semplicemente uno spin-off dei Radiohead era chiaro già da un po’. Quel che ancora non sapevamo, è che si tratta della band più importante di questi anni ’20» (eh la madonna). Soprattutto, però, la musica degli Smile si è ulteriormente radioheadizzata, facendo scivolare il contributo della batteria nelle retrovie e dedicando più attenzione alla fase di arrangiamento, ora arricchita dal contributo della London Symphony Orchestra e dei fiati di Robert Stillman e di Pete Wareham (anche lui, come Skinner, nei Melt Yourself Down). È però una scelta infelice, perché il gusto per l’orchestrazione di Greenwood è particolarmente narcolettico: praticamente un two-trick pony perennemente conteso tra il patetismo emozionale di Hans Zimmer e poche note sospese sullo sfondo di ballate à la Scott Walker – il che fa collassare l’estetica degli Smile, per gran parte della scaletta, su quella dei Radiohead di A Moon Shaped Pool (non è un complimento). Come se non bastasse, il ruolo secondario affidato alla batteria prosciuga il tiro ritmico che rendeva A Light for Attracting Attention una relativa novità all’interno del catalogo di Yorke e Greenwood facendo sprofondare la musica di Wall of Eyes in una dimensione più anemica e lamentevole, anche quando in realtà la scansione temporale è meno ovvia di quanto possa suonare a primo ascolto – non importa che questa sia data dallo sghembo 5/4 della bossa nova per chitarra acustica e orchestra sulla title track, o che sia completamente celata da una lunga introduzione in free time su Bending Hectic. Quando poi il pezzo è in mero 4/4 – You Know Me!, I Quit – l’impressione è davvero quella di essere alle prese con una ballata dei Radiohead by the numbers, giustamente scartata da qualche loro lavoro pubblicato nei Noughties.

Non è un caso che Wall of Eyes proponga qualcosa di un po’ più interessante esattamente quando la batteria di Skinner torna in primo piano nel mix soppiantando l’orchestra: su Read the Room l’andamento ipnotico della ritmica, con continui sfasamenti tra strofe in 4/4 e sezioni in 11/4, rievoca alternativamente il dub, il krautrock dei Can e il post-rock della scuola di Chicago anni Novanta; la ragnatela dissonante tratteggiata dalla chitarra su Under Our Pillows, invece, sembra riprendere con continuità il discorso lasciato in sospeso dai brani più evoluti dell’esordio degli Smile, procedendo lungo un percorso serpentino di matrice più progressiva. Speravamo che le vicende degli Smile si muovessero nella direzione di questo suono, non solo più originale rispetto a quanto già fatto da Yorke e Greenwood con i Radiohead ma anche più moderno e attuale; invece, gli Smile hanno deciso di regredire a una formula più classica, prevedibile, non di rado noiosa. Il fatto che questo sia esattamente ciò che molti ascoltatori sembravano aspettarsi dagli Smile è sinceramente deprimente.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia