CONTAINER BELLO

UNA NUOVA FRONTIERA PER LA MICROTONALITÀ NELLA MUSICA METAL

KOSTNATĚNÍ – ÙPAL

Willowtip

2023

Black Metal

Dillon Lyons è un musicista americano di stanza a Minneapolis, ma la sua one man band Kostnatění (parola ceca per «ossificazione») si muove abbastanza in controtendenza rispetto ai trend dominanti della scena black metal americana – e non solo per via della bizzarra scelta di adottare il ceco per scrivere i testi di tutti i suoi dischi. Nel 2019, ai tempi dell’esordio Hrůza zvítězí («L’orrore vincerà»), Kostnatění si è guadagnato facili termini di paragone con il black metal del filone post-Deathspell Omega per via delle atmosfere astratte e delle strutture convolute dei suoi pezzi, non troppo distanti da quelle elaborate dall’amico Serpent Column; tuttavia, ricondurne l’intera missione a questo unico riferimento sarebbe a dir poco riduttivo. Piuttosto, Lyons si muove in continuità con la poetica esoterica sviluppata dal Black Twilight Circle californiano, uno dei movimenti più misteriosi e allo stesso tempo più affascinanti emersi dall’underground black metal negli ultimi quindici anni: la sua musica è pervasa da una rawness tipica di certe produzioni statunitensi (penso a gente come Xasthur e Odz Manouk), ma si concede anche digressioni più atmosferiche e vagamente psichedeliche, dirette discendenti di quelle dei Kuxan Suum; l’obliquo senso melodico, plasmato dall’adozione di strategie microtonali, propone invece più di un parallelismo con quello di gruppi come Jute Gyte e Victory Over the Sun. (Per quanto Lyons stesso abbia dichiarato di utilizzare effettivamente la microtonalità nella propria musica, personalmente non mi è ancora chiaro se questa sia ottenuta tramite strumentazione effettivamente tarata su microtoni, oppure se sia dovuta a qualche accordatura particolarmente bislacca, o se ancora sia dovuta soltanto all’utilizzo di una qualche true temperament guitar; ciò che è evidente, però, è la natura storta dei suoi riff di chitarra.) 

Per pubblicare un seguito a Hrůza zvítězí, Lyons si è appoggiato alla Willowtip – un’etichetta che, dopo aver spinto gente come Ulcerate e Gigan una decina d’anni fa, vanta ormai una produzione composta per larga parte da album che aderiscono in maniera molto ortodossa e scontata ai cliché del metal estremo più brutale e caotico; anche per questo, pur tenendo in conto del potenziale espresso in quel promettente debutto, era difficile immaginare un prodigioso salto di qualità come quello compiuto già con questo Úpal («Colpo di calore»). Al contrario delle altre uscite Willowtip, Úpal sembra suggerire una direzione nuova per il black e il death metal, e in particolare per quel loro particolare sottogenere che in questi anni ha cominciato ad abusare di microtonalità e dissonanza concependole unicamente come un mezzo per rendere ancora più sulfurea una musica già non particolarmente accessibile – una prospettiva limitante e che per di più ha da tempo perso ogni novelty factor. Lyons ha deciso invece di ripensare l’utilizzo della microtonalità traendo ispirazione dalla sua passione per musiche tradizionali provenienti dal Nord Africa, dalla Turchia e dal Medio Oriente, ovvero da luoghi e culture in cui da sempre si adoperano sistemi diversi dall’ordinario temperamento equabile occidentale. Così, su Úpal la microtonalità e l’impianto armonico che all’orecchio occidentale suona esotico (quando non sbagliato) non sono più soltanto escamotage dal connotato intrinsecamente arcigno e alieno, bensì uno strumento versatile che grazie alla lezione del pop, del folk e del rock dei paesi a maggioranza islamica può essere adoperato per conferire una più ampia palette di sonorità, atmosfere e umori. Anche per questo, sebbene Lyons non esiti ad adottare anche in questo lavoro tutto l’arsenale di tecniche che il black metal offre a disposizione (voce in scream, riff in tremolo picking, blast beat: li sapete anche voi), il carattere di Úpal appare sensibilmente più arioso, contemplativo e – a suo modo – perfino sereno rispetto a quello ben più violento e terrificante di Hrůza zvítězí.

Probabilmente, avessi ascoltato per tempo l’EP Oheň hoří tam, kde padl uscito l’anno scorso, un simile cambio di rotta mi sarebbe apparso meno straniante: già in quei tre brani Lyons aveva tentato per la prima volta di assorbire le forme della musica turca all’interno di un soundscape squisitamente black metal. Ma dove lì si percepiva ancora una nitida dimensione sperimentale e grezza, amplificata ulteriormente da una scrittura leggermente monodimensionale e da un gusto melodico un po’ piacione, Úpal suona invece come un’opera definitivamente a fuoco, in cui l’influenza delle musiche del Mediterraneo e del Medio Oriente pervade organicamente le forme di un black metal proteiforme, in cui si scorgono le tracce di quasi tutte le sue manifestazioni più originali degli ultimi quindici anni – da Paracletus a Mirror in Darkness, dagli Oranssi Pazuzu alle registrazioni per Rhinocervs. Ascoltate il contrappunto delle chitarre su Řemen, che pare un’aberrazione a metà tra il black metal atmosferico e l’arabesque, come se Volahn si fosse ispirato alla musica di İbrahim Tatlıses anziché al folk messicano; oppure i vocalizzi melismatici di derivazione egiziana su Opál, che dapprima imitano la linea della chitarra elettrica per poi sfumare in cori dal sapore viking metal in stile Quorthon e Windir; o ancora fate caso a come il suono della chitarra su Rukojmí empatie si avvicini quasi a quello del bağlama elettrico di Neşet Ertaş.
In ogni caso, l’ambizione principale di Úpal non è quella di realizzare un ibrido tra musica metal e folk mediorientale. Il nucleo fondamentale della musica di Kostnatění rimane il black metal – peraltro, in un’espressione estremamente intelligente e poco propensa a scendere ai compromessi di accessibilità che molto black metal americano ama adottare. Tuttavia, anche su brani come Hořím navždy e Skrýt se před Bohem l’elaborazione del materiale tematico risente sempre dell’utilizzo di un linguaggio armonico non occidentale, che finisce inevitabilmente per ribaltare l’impatto e l’espressività della musica di Úpal anche quando questa si adegua a canoni formali più digeriti dall’attuale panorama black metal: per dire, sentite come da un pezzo di black metal frastornante e intricatissimo come Nevolnost je vše, čím jsem possa scaturire con naturalezza uno splendido e luminoso assolo di chitarra dalle tinte arabeggianti, emergendo lentamente da un maelstrom infernale di distorsioni e batteria. Proprio per questa sua natura essenzialmente estrema, Úpal è una dimostrazione eclatante di quanto l’utilizzo di dissonanza e microtonalità nel black metal sia stato finora frustrantemente monoprospettico, e di quante possibilità rimangano tuttora inesplorate e interessantissime. Anche per questo, è uno dei dischi metal più grandi di questo 2023.

Condividi questo articolo:
Emanuele Pavia
Emanuele Pavia