NICOLÁS JAAR – ARCHIVOS DE RADIO PIEDRAS
Non si fa peccato a parlare di multiforme ingegno in relazione a Nicolás Jaar, viste le numerose manifestazioni compiute del suo eclettismo sparse nell’ultimo decennio o giù di lì. Il suo percorso si nutre della maestria nel sound design affinata nelle pubblicazioni a proprio nome, espandendosi poi con l’esplorazione delle potenzialità psichedeliche nel progetto Darkside e con i saggi di house ruvida e iperdigitalizzata delle produzioni Against All Logic, approdando recentemente anche all’esordio come scrittore con l’antologia di racconti Isole. Che Jaar cerchi nuovi mezzi espressivi non è quindi motivo di stupore, eppure l’ascolto di Archivos de Radio Piedras rivela una nuova formula con cui sembra essere riuscito a unire tutte le proprie anime artistiche. Risultando, ancora una volta, sorprendente.
Questo lavoro nasce al di fuori dei soliti canali discografici, precisamente su un canale: quello personale su Telegram di Jaar, dove sono tra l’agosto del 2022 e il dicembre del 2023 sono stati distribuiti liberamente tutti gli episodi che compongono Archivos de Radio Piedras man mano che venivano completati. La gestazione dell’opera parte però ancora prima, nel 2019, e risente tanto delle ampie proteste dell’estallido social che iniziano proprio quell’anno ad agitare il Cile (patria putativa di Jaar), quanto delle sanguinose vicende del conflitto israelo-palestinese che l’artista recepisce direttamente durante una permanenza a Betlemme (e proprio in una radio di Betlemme, Radio Alhara, verranno trasmesse nel 2021 alcune versioni di questo materiale sonoro).
Archivos de Radio Piedras inscena una serie di trasmissioni radio che avvengono in un ipotetico futuro non troppo distante da noi, in cui lo sviluppo tecnologico-militare ha enormemente potenziato le possibilità di controllo e repressione da parte dei poteri governativi. L’azione di un misterioso collettivo ha però distrutto punti nevralgici delle strutture fisiche che alimentano la rete a cui tutti i dispositivi sono connessi, generando un black-out globale che disattiva gli strumenti di vigilanza e imprigiona gli oppressori dentro i propri bunker. La popolazione si ritrova quindi in questo interregno di libertà e per comunicare a distanza ricorre a tecnologie che erano state abbandonate perché ritenute ormai obsolete, come appunto la radio, le cui frequenze iniziano a popolarsi in tutto il mondo di trasmissioni spontanee. Radio Piedras è una di queste, con due presentatori che sentiamo alternarsi tra gli aggiornamenti sulla situazione globale e la commemorazione di Salinas Hasbún, artista di cui si sono perse le tracce anni prima e di cui vengono riprodotti brani musicali e registrazioni vocali. Tutta l’opera viene introdotta dal lungo e dettagliato racconto della sparizione di un bambino in un villaggio cileno in seguito a un incendio, la cui voce narrante scopriremo poi essere proprio quella di Hasbún.
Delineato lo scenario, alcune istruzioni per l’uso: le prime 17 tracce elencano gli episodi originariamente rilasciati da Jaar, mentre tutte le altre sono i brani originali estrapolati singolarmente; consigliamo di dedicare il primo ascolto esclusivamente alla sequenza degli episodi nella loro interezza, per fare esperienza dei brani nel contesto immaginato dall’artista. Inoltre, poiché nell’economia dell’opera il flusso narrativo e l’espressione verbale rivestono grande importanza, se non masticate lo spagnolo è buona cosa affrontare Archivos de Radio Piedras avendo sotto mano la traduzione in inglese del testo.
And listening involves both listening to the notes and the silences between them.
Jaar imbastisce accuratamente l’ambientazione radiofonica attraverso la manipolazione del segnale audio, costellandolo di interferenze e asperità che danno l’impressione di sintonizzarsi effettivamente attraverso le manopole di un vecchio apparecchio. L’incostanza sfrigolante delle frequenze fa percepire tutta la distanza fisica delle voci che costruiscono la narrazione; allo stesso tempo il processo di scarnificazione ne affila la potenza evocativa, esponendo lo scheletro emotivo delle comunicazioni. La musica abita la stessa dimensione e quindi rinuncia a una profondità di dettaglio che il mezzo non potrebbe convogliare, accettando invece di sfrangiarsi in una forma più grezza e fluida che pervade le trasmissioni come una presenza spiritica.
Le scelte di produzione, insomma, oltre a essere coerenti con l’ambientazione scelta, creano un miscuglio di alienazione e fascino che si incastra perfettamente con il racconto di una tecno-distopia. L’anima sonora di Archivos de Radio Piedras è sempre vivida, frequentemente concretizzata in temi musicali taglienti e dilatati che accompagnano le parole assorbendone le sensazioni e mutando di conseguenza: linee melodiche che si aprono in concomitanza con la descrizione di un ambiente nuovo, sintetizzatori che diventano distorti e nervosi nei momenti di maggiore tensione. Solo durante i notiziari e i comunicati, densi di informazioni fondamentali per capire lo svolgimento delle vicende trattate, la colonna sonora si chiude in una progressive electronic di stampo cosmico e ieratico che è tuttavia funzionale a non distrarre dall’intreccio; per il resto l’elemento musicale difficilmente si accontenta di fare da sfondo e si ritaglia il ruolo di completamento vibrante, talvolta di amplificatore emotivo. Un buon esempio è lo sviluppo di el_entre, che inizia con una palette di note aeree mentre la voce di Hasbún ci introduce alle distese saline del deserto di Atacama, dove le sue ricerche e i suoi pensieri vengono echeggiati attraverso scenari sintetici vicini allo stile di R Plus Seven; questi diventano poi sempre più irrequieti man mano che la testimonianza tocca i temi dello sfruttamento industriale del territorio e del conflitto civile, fino a culminare nel contrasto tra i giri di synth ormai impregnati di rumore e il silenzio schiacciante che emana dai quartieri più ricchi di Santiago. Non manca nemmeno spazio per una sperimentazione più libera, come dimostrano i dieci minuti di freeform ritmico di s_ss_sss, che nella spasmodica e ipnotica evoluzione del tappeto percussivo sembra echeggiare le vicine considerazioni sulla difficoltà e sulla necessità di immaginare il futuro.
Il solido corrispettivo della sostanza sonora è quella narrativa, che mantiene un magnetismo straniante dato dalla coesistenza di una dimensione fantascientifica ed esoterica con aspetti dolorosamente vicini alla nostra realtà: un mondo di foreste in fiamme e villaggi senz’acqua, di algoritmi manipolatori e sorveglianza pervasiva, di guerre mai sopite. Il flusso del racconto non è però lineare, perché fonti audio diverse tra loro (in parte recuperate e in parte create ex novo dallo stesso Jaar) si alternano per ricreare un contesto di frequenze instabili dove si incrociano comunicazioni reciproche tra stazioni radio e vecchie registrazioni ripescate dall’oblio. Jaar racconta di essere stato ispirato in questo da numerosi workshop di composizione musicale in cui a persone totalmente profane della materia veniva messo a disposizione un software per copincollare una moltitudine di fonti audio, con risultati sorprendenti. Su Archivos de Radio Piedras tutti questi elementi vanno a creare un collage di ampio respiro dove la ricchezza di idiomi, l’eterogeneità di espressioni e le intuizioni metaforiche costituiscono di per sé un forte stimolo. Jaar però ricorre a questo stratagemma non solo per speziare l’andamento degli episodi, ma anche e soprattutto per rafforzare i messaggi che vi sono contenuti. La potenzialità di questo approccio è evidente nei due episodi dimelo_tú e la_furia_del_presente: prima vengono presentati stralci di discorsi e canzoni da parte di cantautrici e cantautori che hanno unito la propria arte a un profondo legame con la terra d’origine e a un deciso impegno politico contro l’ingiustizia sociale (Mercedes Sosa, Atahualpa Yupanqui, Amparo Ochoa, Facundo Cabral), successivamente ascoltiamo frammentarie testimonianze da diverse parti del mondo che riportano dolorose pratiche di incarceramento come strumento di controllo. Così, senza bisogno di slogan didascalici, l’impatto selettivo sulle minoranze di quello che viene chiamato Prison-Industrial Complex risalta ancor di più in tutta la sua violenza e assurdità.
Tutto questo non avrebbe però la stessa intensità senza la spinta propulsiva di un altro elemento, ovvero i pezzi che vengono accreditati a Salinas Hasbún. Si tratta di una manciata di ipotetici singoli in cui Jaar ritorna nel territorio calcato col moniker Against All Logic e che costituiscono semplicemente alcune delle sue produzioni più graffianti di recente memoria. Su un’impalcatura art pop vengono innestate tecniche che si ritrovano in molte delle tendenze attuali dell’elettronica latinoamericana, dalla digitalizzazione delle melodie tradizionali alla resa metallica e algida delle percussioni nei ritmi basati sul tresillo: i suoni sono compressi e glitchati, l’impianto minimale, la voce sembra arrivare da un’altra stanza, come si conviene a brani che si immaginano autoprodotti con pochi mezzi. Queste manifestazioni di elettronica scura trovano però la propria chiave di volta nella migliore sensibilità pop possibile, che infonde alla musica acuminata lo slancio emotivo per piantarsi nel cervello attraverso ogni melodia, ogni cambio di ritmo, ogni ritornello, senza rinunciare a spontaneità e intelligenza. Se questo avviene, è anche grazie a testi arguti che sanno flirtare con la ripetizione senza abusarne, mescolando con semplicità ed efficacia la sfera personale e quella politica. All’interno di una struttura degli episodi che tende a disseminare ampiamente umori, sviluppi musicali e spunti di riflessione, a rischio di risultare dispersiva, i pezzi di Salinas Hasbún sono i momenti in cui si serrano le fila e tutti questi aspetti collidono trovando terreno fertile nella libertà della danza; ogni volta il flusso di Archivos de Radio Piedras ne esce rinvigorito.
Va detto che nel complesso l’ascolto unitario di tutti i 17 episodi fa probabilmente perdere comunque qualcosa rispetto al percorso a puntate distanziate nel tempo; del resto l’opera non era stata concepita -né finora distribuita- per una fruizione organica in toto. Soprattutto nel corso delle parti conclusive, l’espediente ricorsivo della ricerca di frequenze radio per creare un collage tra voci e musiche di diverse parti del mondo inizia a soffrire di una certa stanchezza, evidenziata e non celata da un comparto musicale che si mantiene molto sobrio in queste sezioni; anche dal punto di vista narrativo gli eventi sembrano prendere una piega frettolosa e meno credibile sul finale, portando a una composizione ad anello zoppicante. Alcune idee sono un po’ tirate per le lunghe e alcune altre non perfettamente a fuoco: parliamo pur sempre di quasi tre ore e mezzo di musica, è nell’ordine delle cose. D’altra parte però, in aggiunta a tutto quanto già scritto, c’è anche da evidenziare come i primi tre episodi – la storia del bambino e dell’incendio, prima che avvenga l’effettiva presentazione di Radio Piedras – stiano tranquillamente tra i vertici narrativo-musicali di quest’anno e non solo. Come autore-cantastorie, qui Jaar dosa splendidamente dolcezza descrittiva e fervore allegorico richiamandosi alla ricca tradizione del realismo magico, con la continuità tra un mondo concreto e un mondo del sogno che ci introduce vorticosamente al resto del concept; come producer-musicista realizza un accompagnamento sonoro che sembra brillare di una certa prescienza, capace com’è di farsi bastare pochi elementi per cogliere e anticipare l’essenza dell’atmosfera e delle sensazioni che stanno per essere svelate. Con una introduzione così affascinante a cui fanno seguito un’ambizione artistica solida, uno sguardo attento sul mondo e un’ampia mostra di talento, state pur certə che Archivos de Radio Piedras merita pienamente la vostra attenzione.