Ansome – Knucklehead (Void+1)
Avevo lasciato Ansome nel 2016 con Stowaway, un album che aveva l’indubbio pregio di distribuire delle gran tranvate in faccia e il relativo difetto di saper fare solo quello. Lo ritrovo ora con questo EP, pubblicato da un’etichetta italiana specializzata in traumatologia, e provo un certo conforto nel sentire che non è cambiato di una virgola. Quindi: ritmi EBM sotto steroidi, bassi tellurici, scudisciate scorticanti di rumore e, a prima impressione, i versi di una bestia infernale intrappolata in un treno che sferraglia a velocità folle. I pezzi con Scalameriya sono particolarmente interessanti per l’evoluzione che disegnano nel vortice di strutture ricorsive e aggressione frontale, riuscendo ad ampliare l’orizzonte del sound design e a dare l’assalto ai timpani da più direzioni; ma ogni traccia di Knucklehead è animata da un’energia travolgente e senza compromessi. Ansome è ancora uno dei migliori nomi a cui rivolgersi se avete voglia di industrial techno che vi faccia sentire alla guida di una blindocisterna.
Verde Prato / Bronquio – Erromantizismoa (PlanB)
Verde Prato è un’artista dalla discografia minuta che ci ha già dato occasione di innamorarsi, soprattutto tra le impressioni fugaci dell’esordio Kondaira eder hura. L’anno scorso avevamo intercettato qualche ombra sul suo percorso, che stava mettendo da parte le strutture minimali e l’afflato spirituale verso un art pop più pieno e smussato. Questa collaborazione con il producer Bronquio non manifesta un’inversione di tendenza, ma mostra comunque una buona consapevolezza dei propri mezzi. Anche se la voce di Ana Arsuaga Arambarri ora si trova su terreni più battuti, continua a modellarsi come punto d’incontro tra le radici della tradizione folk basca e un’elettronica dove fioriscono ritmi agili e tenui melodie. Laguntasuna bazen apurtezina mostra la via da non seguire, con eccessivi artifici sintetici ad appesantire questi germogli delicati; le altre due tracce invece collocano Verde Prato in un piccolo Eden tra la grazia gioiosa di Ëda Diaz e la folktronica caleidoscopica di Marina Herlop. Quanto basta per recuperare questo EP con un pizzico di curiosità.
aya – Lip Flip (YCO)
Durante i preparativi per la serata al Trentaformiche, nel locale è echeggiato un pezzo che io e David abbiamo attribuito con ragionevole sicurezza all’Aphex Twin del periodo drukqs. Invece era un pezzo di aya; sarebbe stato difficile azzeccarci sulla scorta di questo Lip Flip, visto che oggi la producer inglese si muove in territori molto distanti da qualunque revival IDM. Su Essente!, il pezzo che apre le danze, non è solo la (comunque notevole) presenza di Ecko Bazz a far pensare a materiale da Hakuna Kulala: l’inconfondibile produzione minimale e aracnea disegna tappeti di sintetizzatori nervosi che rendono ancor più penetrante l’assalto dell’MC. Inoltre, sia qui che in Leftenant Keith, aya va a pescare dagli sviluppi più ossessivi e lo-fi del baile funk di San Paolo e dintorni (se volete farvi un’idea, recuperate questa compilation della mai troppo lodata NTS), ibridandolo con i sabotaggi timbrici e le ritmiche angolari in zona deconstructed club / UK bass. Il risultato è una miscela esplosiva che macina ganci vocali affilatissimi e impulsi da dancefloor transcontinentale. aya mantiene la propria personalità proteiforme anche quando rilegge l’ipnosi techno attraverso la lente di taglio glitch dell’alter ego LOFT (Lip Flip), o quando decide di impaludare il proprio suono in atmosfere scure e pulsanti che sembrano il punto d’incontro tra Blawan e il Plastikman più allucinato. Molte buzzword in poche righe, me ne rendo conto, ma Lip Flip è un EP colmo di buzz. Godetene, e tenetela d’occhio.
Liquid DnB-like Ambient Grime 2 – Liquid DnB-like Ambient Grime 2 (Sneaker Social Club)
Un aspetto caro alla cultura della musica elettronica (e della club music in particolare) è il concetto che nessuna traccia sia mai da considerare una versione “pura” o definitiva di un’idea, bensì uno stato di organizzazione peculiare ed eventuale della materia sonora che la costituisce. Materia che può essere infinitamente rimodellata e rielaborata attraverso successivi remix, rework, edit e chi più ne ha più ne metta: in una riproposizione per producer della nave di Teseo, si può discettare del meccanismo per cui lo spirito di un pezzo musicale si mantiene all’ascolto anche quando tutte le sue componenti (ritmi, temi, campionamenti, ecc.) vengono man mano sostituite. Su Liquid DnB-like Ambient Grime 2, Luke J. Murray mostra le potenzialità di questo approccio sonorizzando metamorfosi di un midollo scuro e spigoloso che potete intuire già leggendo la lista delle sue influenze sulla pagina Bandcamp. L’esordio è con un ritmo UK garage livido e ronzante, inaspettatamente scosso da movimenti tellurici di accelerazioni techstep, mentre il salmodiare di una voce che ricorda il compianto The Spaceape porta la danza in una dimensione ritualistica. Se poi i ritmi si dilatano e vengono circondati da riverberi, mentre il rumore aumenta il proprio tonnellaggio, ecco che ci si ritrova nel terreno fangoso della prima dubstep (pensate a Vex’d e Digital Mystikz) con le propaggini dei Techno Animal a stringere la morsa. Ma tra le forme possibili di questa materia pulsante ci sono anche un golem brutalista di industrial techno che chiama la cassa e un’emanazione atmosferica dove il beat si polverizza in miasmi luciferini. Tutto è possibile, insomma, tranne il compromesso verso una musica accomodante.