HOPLITES – PARAMAINOMENI

Pest Productions

2024

Black Metal

Zhenyang Liu è un giovane ragazzo proveniente da Ningbo, in Cina, che da ormai un paio di anni si è trasferito a Parigi per studiare linguistica. Si deve partire da questo dato per inquadrare il suo progetto black metal Hoplites perché la componente più particolare della sua produzione musicale è proprio il linguaggio utilizzato: Liu scrive infatti tutti i suoi testi in greco antico, a partire dai titoli dei brani fino ad arrivare allo stesso moniker – che sul suo profilo Bandcamp appare infatti come Ὁπλίτης, in greco. Tuttavia, le motivazioni per adottarlo non hanno niente a che vedere con l’interesse per la mitologia greca (come valeva invece per Serpent Column) né con l’intenzione di suonare esoterico e luciferino (a differenza dei vari Mayhem e Deathspell Omega che hanno adottato il latinorum nel proprio lavoro); come Liu stesso rimarca piuttosto aspramente su un’intervista a Invisible Oranges, peraltro, anche la competenza linguistica dimostrata è molto distante dalle incursioni in lingue morte di altri gruppi black metal. Piuttosto, la scelta è motivata da un sincero amore per il greco in sé e dal desiderio di sperimentare con le possibilità della lingua in ambito metal, imitando lo stile di scrittura di Euripide e Saffo. Il fatto che i suoi testi finiscano per ovvi motivi per essere incomprensibili a più o meno chiunque sia privo di una formazione classica ha permesso di utilizzare la barriera linguistica anche per schermare dalla censura parole di feroce ed esplicita condanna al regime cinese, per esempio in merito ai casi di traffico umano di donne e alla gestione dello scandalo della donna imprigionata a Xuzhou nel 2022: è questo il caso di Theía desmá (da Trothisomeni).

Come accennavamo in apertura, però, l’aspetto più interessante dell’universo Hoplites si esaurisce con questa piccola gimmick. La musica registrata finora da Liu per questo progetto è un buon compendio di tutto ciò che può avere di sbagliato una one mand band di metal estremo nell’era di internet – a partire, ovviamente, dalla prolificità bulimica di pubblicazione: il suo ultimo Paramainomeni, uscito il 12 gennaio, è il quarto disco pubblicato in un solo anno solare, e come se non bastasse la Pest Productions ha annunciato altri due album previsti entro la fine di questo 2024.

Innanzitutto, la prospettiva musicale di Liu è estremamente amatoriale e immatura. A un livello superficiale, Hoplites risente chiaramente tanto delle esperienze musicali del black metal più dissonante e sperimentale (con gli ovvi riferimenti di Deathspell Omega e Serpent Column sempre pervasivi, specialmente nella stratificazione ipersatura delle chitarre e nell’andamento ritmico fratturato) quanto della scrittura tortuosa del progressive rock più avanguardistico (l’influenza dei Magma è ben percepibile anche prima di leggere le patetiche etichette inventate come blackened brutal prog, blackened zeuhl e metal in opposition che Liu stesso usa sulle sue pagine Bandcamp). Tuttavia, il modo in cui questi riferimenti vengono elaborati nella sua musica è a dir poco generico. Il materiale melodico utilizzato per i riff e per gli assoli è spesso ben poco ispirato, in una rimasticazione e semplificazione delle linee evolute di Serpent Column – il che per un progetto che sembra trovare la propria raison d’être in uno sviluppo dei pezzi esclusivamente votato al rifforama è un punto debole non da poco. Ogni tanto, quando Liu si distanzia un po’ dall’ortodossia black metal (come su Symmainómenai Dionýso Elefthério, che ricorda più alcuni dei momenti più angolari dei Gigan), il risultato è pure encomiabile, ma il più delle volte i riff sembrano susseguirsi l’un l’altro semplicemente perché ormai sono stati partoriti ed è un peccato sprecarli non incidendoli su disco. Sfido ad ascoltare Symmiainómenai Dionýso Elefthério (non è lo stesso pezzo di prima: ha una “i” in più) e non essere colti da una opprimente sensazione di già sentito su ogni traccia di chitarra. 

Allo stesso tempo, gli orpelli che vogliono dare un tono più progressivo alla sua musica hanno un tono che cozza troppo rozzamente con quello più ispido e arcigno delle sezioni black metal trainate da chitarre elettriche, basso iper-distorto e batteria. Le parti del sassofono che fanno capolino su Paradeigmatizoméni mousikí, su I tón lyssimáton ángelos, o addirittura nell’unisono dissonante in overdub in apertura a Symmainómenai Dionýso Elefthério suonano sorprendentemente levigate e deboli se paragonate al marasma timbrico metal su cui provano a ergersi – nulla a che spartire con le escursioni jazzy più oculate degli Imperial Triumphant, nonostante il frequente namedropping online quando si parla di Hoplites. L’unico momento in cui il sassofono sembra dare un valore aggiunto alla musica, non a caso, è proprio quello in cui il background metal si fa meno anarchico e sopra le righe – ovvero in apertura a Ápafsta theía manía, dove un assolo struggente e contemplativo valorizza l’umore apocalittico del brano. E non va meglio quando anziché del sassofono Liu impiega la tastiera, come sul finale di Symmiainómenai Dionýso Elefthério: quell’assolo sembra partorito direttamente da dei Dream Theater sotto steroidi. (È invece molto più interessante il modo in cui Liu integra alcune sezioni che richiamano la tradizione musicale cinese, come sul finale di I tón lyssimáton ángelos o nella parte centrale di Ápafsta theía manía: il modo in cui queste digressioni sono inserite nel contesto black metal suona certamente un po’ patchy, ma rappresentano comunque alcune delle più gradite sorprese che si possono ascoltare lungo il disco.)

Come se le debolezze estetiche non fossero abbastanza, la scelta dei suoni per tutto Paramainomeni è particolarmente infelice – come spesso accade quando artisti ancora immaturi cercano di fare tutto da sé. Non solo l’adozione della drum machine ammazza le dinamiche e il colore della ritmica, arenandola su una rigidità più propria del panorama industriale che non del black metal evoluto cui Liu si rifà (è un difetto molto simile a quello che imputavo anche ai Fleshvessel l’anno scorso); ma anche la produzione e il missaggio degli strumenti conferisce alla musica di Hoplites un impatto artificiale e un po’ sterile che fa pensare a come potrebbe suonare un Drought (Deathspell Omega) se uscisse per Nuclear Blast – sicuramente molto nitida e professionale, ma a discapito di una certa piattezza e fiacchezza che in un disco di metal estremo non è mai un bel sentire. C’è però da dire che, visto il tipo di costruzione di certi riff e assoli che fa pensare a quello di grosse corazzate thrash e post-thrash dallo stile più cibernetico (Voivod, Meshuggah, pure gli Strapping Young Lad), la produzione non appare sempre come la scelta più fuori luogo possibile – si senta a tal proposito, di nuovo, I tón lyssimáton ángelos o Symmiainómenai Dionýso Elefthério.

Nonostante tutto, Hoplites sta venendo accolto un po’ ovunque come uno dei fenomeni emergenti più promettenti della scena estrema, e Paramainomeni – essendo il disco che più di tutti nella sua discografia osa spingersi oltre gli steccati black metal verso direzioni più avant-garde – è indicato da più come il suo lavoro migliore. Ma le strategie che Liu adotta per suonare obliquo e fuori dai cliché del genere sono in realtà molto in linea con un’intera tradizione di metal estremo più sperimentale, e come spiegato non sono nemmeno applicate con un’efficacia o una maturità inusuali, e di fatto la qualità di Paramainomeni non è molto distante da quella – invero un po’ bassina – dei suoi predecessori. Vista anche la frequenza con cui Hoplites sforna nuovi album in serie è difficile sperare in una maturazione nel breve termine che porti a compimento i buoni spunti che si sono sentiti finora nei suoi dischi, elucubrando con più pazienza su ciò che va migliorato o sfrondato: bocciato.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia