DARKSIDE – NOTHING

Matador

2025

Neo-psychedelia, Art Rock

7.5

I Darkside sono un progetto che richiede tempo. Il duo formato dal poliedrico produttore Nicolás Jaar e dal polistrumentista Dave Harrington ha pubblicato soltanto tre album in dodici anni; e chi non conosce la loro musica potrebbe rimanere stupito da una simile distanza nelle pubblicazioni, quando fosse descritto loro lo stile compositivo del gruppo. I Darkside, per loro stessa ammissione, lavorano principalmente su una base improvvisativa: il retroterra culturale di Harrington, che con i suoi progetti da bandleader naviga le retrovie del jazz fusion della nuova scuola americana da più di un decennio, è l’elemento di perversione dei già labirintici percorsi compositivi elettronici di Jaar. Psychic, il loro strabiliante debutto, era un ribollente magma di jam spezzate a metà tra la deep house più narcotica e svisate psichedeliche emule del miglior Göttsching; ma è straordinario notare come, giunti a questo Nothing pubblicato dalla Matador alla fine di febbraio, il gruppo sia ancora capace di esplorare sentieri non battuti con una freschezza e creatività difficilmente replicabili.

La prima novità è l’adozione di Tlacael Esparza nel ruolo di batterista, che riesce nel difficile compito di inserirsi organicamente nel contesto sintetico della musica di Jaar e Harrington senza snaturarla. Già a partire dall’introduttiva SLAU il soundscape della traccia muta, grazie al lavoro sulle pelli di Esparza, da una ambient nebulosa e laconica in un ruminante dub da fine serata al club.

Questo non vuol dire che l’innovazione di Nothing si fermi all’introduzione di un nuovo strumento in formazione: la successiva S.N.C., già ora una delle più strepitose tracce da dancefloor di quest’anno, continua il trend di metamorfosi dell’album con l’intrusione di un clavinet di chiara ascendenza disco e di sample vocali femminili all’interno della progressione armonica in chiaroscuro che sorregge il cantato di Jaar. È qui chiara l’influenza del side project Against All Logic dello stesso Jaar, che infiltra con tocchi di modernità un sound spiccatamente retrò, creando un paradosso temporale dove presente e passato convivono e si completano. Il risultato è talmente catchy che mi sono ritrovato più volte a canticchiare brandelli del brano tra me e me; ma è importante notare come questa orecchiabilità non faccia venire meno la complessità e l’intento primario dei Darkside.

Prendendo ad esempio Graucha Max, si parte da un riff in cui l’organo e la drum machine paiono presi di peso dalla palette sonora di Martin Rev e Alan Vega, per poi sbrogliarsi in una maratona kraut interrotta dai continui sabotaggi della chitarra di Harrington e dall’elettronica di Jaar; il brano viene immediatamente seguito da American References, che interseca atmosfere tribali e cumbia, richiami metallici a metà tra il primissimo James Ferraro, un mantra appena sussurrato dalla voce cantante e un chitarrismo figlio degli anni Ottanta più eterei.

Certo, può succedere che questo continuo mélange di generi non sempre riesca: il country che fa da interpolazione nel mezzo di Are You Tired? (Keep On Singing) stranisce nella sua evoluzione forse un po’ troppo naive a partire da un’atmosfera così plumbea; al contrario, una traccia come Heavy Is Good for This sembra quasi un’occasione sprecata nel contesto di un album che fa dello stravolgimento di ogni singolo brano il proprio vanto, con il suo — comunque ammirabile — incedere sonnolento e monocorde à la Julee Cruise. Il momento meno a fuoco del disco è però senza dubbio la prima parte della Hell Suite; un macilento doo-wop dove ogni strumento sembra andarsene per la propria direzione, il cui sound viene confuso ulteriormente da un mix che sposta l’accento e la predominanza della traccia vocale e degli interventi dell’organo in maniera che appare del tutto casuale. A quanto pare il brano ha una forma completamente diversa in sede live; ma il motivo dell’inclusione di questa versione mi lascia tuttora perplesso, soprattutto alla luce di una Pt. II che suona invece come molto più simile alle atmosfere del resto del disco. La chiusa del disco è poi affidata a Sin el Sol No Hay Nada, che da conturbante meditazione per synth e basso usa il suo ultimo minuto per scaricare nelle nostre orecchie dei bordoni granitici e ultra-saturati, una cesura apocalittica e quantomai tombale.

Mentre in questa settimana giravo attorno al disco, cercando di trovarne una chiave di lettura, la mia mente tornava continuamente al percorso artistico di Jaar: di come la sua microhouse di Space Is Only Noise, pubblicato quattordici (!) anni fa avesse preso pieghe inaspettate e meno confinate al canone del genere con Sirens e Nymphs; di come gli esperimenti di Telas del live all’Aja del 2021 avessero mostrato un lato più sperimentale e imprevedibile di un producer che, come abbiamo testimoniato l’anno scorso, è ancora più che capace di raccontare se stesso in una moltitudine di forme diverse. I Darkside sono l’ennesima, bizzarra creatura partorita dalla mente di Jaar, che mostrano un’altra sfaccettatura di quello che è ormai certamente uno degli artisti più interessanti e visionari da seguire di questo decennio: uno specchio che ci mostra il suo lato più collaborativo, più libero di spaziare e più interessato a vedere cosa rimanga attaccato al muro dopo aver lanciato contro di esso una moltitudine di idee. Uno spirito giocoso che non rifiuta l’impegno, e che bisogna ricompensare a partire dalla sincerità dei propri intenti.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala