CONTAINER BRUTTO

LA PIÙ BASSA FORMA DI AVANGUARDIA POSSIBILE: EFFLUENCE

EFFLUENCE – SARMAT

n/a

2022

Death Metal

La percezione dell’elemento improvvisativo nel metal estremo è peculiare. Come sottolineato proprio su queste pagine poco tempo fa, l’improvvisazione è stata utilizzata – in maniera più o meno radicale – da diversi gruppi fin da almeno la prima metà degli anni Novanta, quando artisti più legati al jazz e all’avanguardia come John Zorn hanno percepito le potenzialità del suono violento del death metal e del grindcore e le hanno sfruttate in progetti come Naked City e Painkiller. Eppure, ogni volta che un gruppo metal dichiara di non scrivere la propria musica bensì di improvvisarla il pubblico sembra resettarsi alle impostazioni di fabbrica, e di nuovo una semplice scelta stilistica – pur adottata da una minoranza di band metal – viene accolta come un fattore di novità senza precedenti o quasi.

La produzione di Matt Stephens (la persona che si cela dietro al moniker Effluence) si colloca in quel filone metal che sfrutta l’improvvisazione in contesti estremi fino al parossismo, e le cui emanazioni sono per questo considerate assolutamente incredibili e senza precedenti. C’è da dire che Stephens quasi sicuramente non lo fa con particolare pretenziosità o arroganza: a giudicare da questa intervista rilasciata a Double Hockey Sticks, la sua musica scaturisce da una vera fascinazione per le propaggini più depravate, brutali e abiette del death metal e del grindcore, e da un’altrettanto sincera passione per il free jazz più caustico e rumoroso – lui menziona specificamente Sun Ship di John Coltrane come galeotto, ai tempi delle scuole superiori. Tuttavia, nonostante il genuino desiderio di approdare a una sintesi tra death metal e free jazz (Stephens si appropria dichiaratamente dell’etichetta free death con cui Weasel Walter descriveva l’opera dei suoi Flying Luttenbachers), l’esito non è particolarmente brillante, a essere eufemistici. Nei vari Ballistic Bloodspray e Psychocephalic Spawning che Stephens ha pubblicato a nome Effluence tra 2020 e 2021, si poteva ascoltare solo una sorta di deathgrind particolarmente purulento in cui l’inintelligibile gorenoise degli Enmity veniva speziato con flauti, clarinetti, pianoforti, sintetizzatori Moog, il tutto suonato nella maniera più caotica e non-sense possibile. Stephens è anche un musicista capace, specialmente come batterista, ma i brani semplicemente non ci sono: potrebbero durare trenta secondi o cinque minuti, tanto tutto si risolverebbe in un inferno atonale di distorsioni sparati ai tempi più disumani si possano concepire. 

Quest’anno, Stephens ha pubblicato un nuovo EP, il terzo a nome Effluence, intitolato Sarmat. Va dato atto che questo lavoro evade un po’ dai soliti schemi strutturali, visto che si tratta di una singola traccia di ventisei minuti in cui gli strumenti acustici dialogano in maniera più organica con chitarre, basso e batteria. Addirittura, Stephens osa perfino prendersi dei momenti per calare i ritmi e descrivere delle melodie riconoscibili come “riff”, seppur sempre dissonanti e stortissime (accade per esempio intorno a 5:58), o per lasciare spazio alla componente jazz in digressioni per pianoforte e vibrafono (questo succede invece verso 7:02). Poi però si riparte, ed ecco di nuovo le scariche di distorsioni bestiali, i cluster e gli assoli rovinosi del pianoforte, lo skronk di sassofono, il martellare delirante sulle pelli, sul finale perfino il rumor bianco di derivazione harsh noise, tutto sparato insieme appassionatamente per fare la musica più esplosiva possibile. L’esperimento però viene gestito in maniera dozzinale, come se l’unica cifra stilistica del free jazz che venisse percepita da Stephens fosse l’interplay cacofonico degli strumenti e l’impatto sonoro assordante, appiattendo ogni possibile sfumatura di espressività, dinamiche, intenzioni, lirismo – ma, d’altronde, si potrebbe dire che esattamente lo stesso processo di livellamento lo applichi al death metal stesso. Quel che rimane sono ventisei minuti in cui i Last Days of Humanity sembrano voler fare il verso ai Last Exit o alla Unit di Cecil Taylor. Forse Stephens lo prenderebbe come un complimento: non lo è.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia