ARMAND HAMMER – WE BUY DIABETIC TEST STRIPS

Fat Possum

2023

Abstract Hip Hop

“We Buy Diabetic Test Strips” è un annuncio che si trova in giro per molte città degli Stati Uniti, dove si offrono soldi contanti in cambio di strisce reattive per l’automisurazione della glicemia. Questi supporti, che hanno un costo di produzione inferiore al centesimo per pezzo, vengono infatti venduti  nei negozi in confezioni con prezzi a tre cifre e solo chi ha una buona assicurazione medica (leggi: un’assicurazione costosa) può permetterseli. Non sorprende allora che, in una nazione in cui più di una persona su 10 soffre di diabete, sia nato un mercato grigio che vincola le necessità di salute delle persone meno abbienti ai profitti degli intermediari. Nel Nord del paese, per dire, alle persone conviene di più andare in Canada che recarsi in farmacia. Uno dei tanti aspetti di una distopia quanto mai reale, un sogno distorto con sfumature da incubo.

We Buy Diabetic Test Strips è anche il titolo dell’ultimo album a nome Armand Hammer, moniker della collaborazione tra Elucid e billy woods, due tra i rapper più prolifici in circolazione. La pubblicazione segna il decennale del progetto e vede la peculiare espressività del duo assumere quella che è forse la propria forma più onirica e astratta. Rispetto ai lavori di qualche anno fa è stata tracciata una direzione verso un approccio più umorale, che tende a sfilacciare la coerenza stilistica all’interno di uno stesso disco attraverso produzioni proteiformi dove l’atmosfera ha acquisito man mano un ruolo sempre più importante rispetto al beat. Ѐ una svolta che si poteva intuire già dalle ultime evoluzioni della discografia di billy woods, la cui fitta mole di uscite negli ultimi anni negli ultimi anni rappresenta un ottimo riferimento diaristico rispetto al suo sviluppo come artista: tra il 2019 e il 2022 si passa dalla presenza costante dei ritmi di Kenny Segal su Hiding Places, forti di una corposità analogica imparentata con la tradizione boom bap, all’interpretazione nebulosa di Preservation su Aethiopes, con percussioni sparse e dilatate che levitano nel mix; dove prima chitarre e tastiere richiamavano direttamente l’acid funk, poi sono diventate protagoniste cornici ambientali di pianoforti sconnessi e fiati eterei. Analogamente nel 2018 il progetto Armand Hammer si muoveva all’interno del solido impianto di Paraffin, un album graffiante e diretto con i beat coalizzati su un hip hop industriale percorso da foschi sample jazz; negli anni successivi il duo ha reclutato un numero sempre maggiore di producer per la stesura dei pezzi, con il risultato di avere una folta schiera di collaboratori fidati che mai come nel caso di We Buy Diabetic Test Strips sembrano aver avuto il semaforo verde a dare sfogo alle proprie diverse sensibilità. A questi si aggiunge un grosso nome come JPEGMAFIA, che firma la produzione di 4 pezzi su 15, abbastanza sorprendentemente considerati i passati dissapori con Elucid e billy woods. Il risultato è una musica evocativa e sfaccettata, che nell’insieme trasmette la sensazione di un flusso di pensieri in alterato stato di coscienza. I primi tre pezzi evidenziano subito la qualità ipnagogica del materiale: in Landlines e The Flexible Unreliability of Time & Memory gli unici accompagnamenti ai versi dei due rapper sono echi vocali e synth rovinati, insieme a sample sfuggenti di telefoni sulla prima traccia e di un flauto di Pan sulla seconda, mentre su Woke Up and Asked Siri How I’m Gonna Die la produzione è di JPEGMAFIA ma la traccia potrebbe essere uscita tranquillamente dallo studio di Oneohtrix Point Never per come unisce melodie distanti e algidità digitale increspata di rumore. Da qui in poi nell’album le basi iniziano a diventare più prettamente percussive, come se la partenza fosse stata un risveglio difficile prima di poggiare i piedi sul pavimento; ma la frequente effettistica a sabotare i beat, i cambi di passo anche all’interno dello stesso brano, gli strani pitch con cui vengono evocati i temi strumentali ci fanno capire di essere ancora dentro il sogno.

In ordine sparso si alternano: loop indefinibili scanditi da rullanti che finiscono per annegare in bolle di elettronica lo-fi e ritmi dritti (When It Doesn’t Start With a Kiss); dark cabaret col vibrafono (I Keep a Mirror in My Pocket); percussioni rimbombanti su slap di basso e fiati in stop-and-go (Empire BLVD); soul drogato con visioni di tastiere lascive che sfuma poi in ambient sciamanica (Don’t Lose Your Job). Questo solo per citare alcuni dei passaggi più particolari, ma è un conteggio estremamente parziale. In questo turbinìo la faccia più livida della musica degli Armand Hammer non viene dimenticata, del resto rimane una delle più efficaci: ecco allora che due volpi come DJ Haram ed El-P la riportano in scena rispettivamente tra i clangori metallici e i ronzii nelle orecchie di Trauma Mic e, in maniera più subdola, tre le paludi di chop vocali con muschi di noise che accolgono The Gods Must be Crazy. Il duo però ora sa essere memorabile in altri modi che prima erano poco esplorati, come nell’andamento caracollante con lungo refrain che potenzia l’atmosfera desolata di un brano come Niggardly, tra pulviscoli di armonica e campane tubolari. Non c’è una sfumatura espressiva che si mantenga inalterata per più di cinque minuti di fila. La sensazione di zapping neuronale è accentuata dalla scelta di mantenere i pezzi entro durate brevi, in questo modo le diverse tracce si presentano all’ascolto e fanno in tempo ad impressionare senza però poter essere immediatamente metabolizzate fino in fondo. Un assetto simile si prende il rischio di masticare il sapore amaro dell’incompiuto, e We Buy Diabetic Test Strips non lo evita del tutto: c’è la sensazione generale che i brani si chiudano fin troppo frettolosamente e che alcune buone idee rimangano poco sviluppate,. Questa è però una conseguenza difficilmente evitabile della grande quantità di stimoli inseriti nel flusso del disco, e in parte anche un ingrediente necessario per consegnare all’ascolto un’impressione così vivida di trip da coscienza alterata.Ci sono tuttavia degli elementi ricorrenti che allacciano l’insieme. Un dettaglio che aggiunge un effetto surreale è la presenza di varie conversazioni telefoniche decontestualizzate, come se origliassimo continuamente alla ricerca di un’informazione che continua a sfuggirci. Poi c’è la continua distorsione di suoni e voci, non indiscriminata ma preponderante: è difficile trovare un segnale audio veramente limpido. Il flow è continuamente esposto ad azioni di disturbo del riverbero e dell’eco, e lo stesso vale per le voci che spesso si trovano ad affluire nelle basi; i bassi risuonano carichi di minacciose frequenze elettrostatiche, le melodie minimali vengono deviate verso droni spettrali. Infine, c’è la fondamentale incisività dei due MC. Elucid ha una resa più variegata che si trova a proprio agio nelle zone di caos controllato sparse per il disco; non solo rappa, ma invoca, declama, rimugina, sfumando la propria voce insieme nelle propaggini elettroniche. La voce di woods si rivela invece il centro di gravità su cui non troppo velatamente si regge la dinamica frenetica dell’album: nel corso della carriera (di cui qui trovate una nostra approfondita analisi) ha sviluppato un carisma da saggio oracolare, con un tono che sa essere deciso ed emotivamente impattante senza bisogno di teatralità. Gli scambi tra i due hanno una costanza ferrea che offre grande solidità in questo contesto cangiante e scandiscono la natura dei pezzi come un magnete che ne orienta i vettori. La commistione tra le due particolari delivery viene ulteriormente arricchita dall’uso di un linguaggio evocativo che procede per libere associazioni, brevi scorci narrativi, fusioni tra scenari ipotetici e realtà presente. Due esempi:

The happiest Africans
How I started my verse for Live Aid (85)
Rehearsed for “We Are The World”
And got cut for Chris Hayes (Super High)
Had Belafonte coughing off that uptown church, that Bouday (Wide-eyed)
I went to the edge of earth
Sunburnt black as Pompeii
White women with pepper spray in they purse
Interpolating Beyonce
Illegal Formations
(The Gods Must Be Crazy)
Missed calls from my own number
A long hallway
Then it’s the room where you identify your mother
Go back home to your lover
How many times can you tell her that you love her?
Why the cellar door open when it wasn’t?
(Switchboard)

Questo aspetto aggiunge un’ulteriore fonte di suggestione per chi ascolta e, mettendo assieme tutte le tessere del puzzle, viene fuori un’opera che agisce costantemente su due livelli: una creatività che si concede di non essere coerente per portarci fuori dai binari del consequenziale (o del già sentito), e la prassi solida come la roccia di una competenza affilatissima nel maneggiare un materiale hip hop moderno. Gli Armand Hammer e i producer al loro fianco sanno dove e come colpire. Il problema, semmai, è che invitano le persone sbagliate: un punto debole di We Buy Diabetic Test Strips sta nelle voci di altrə rapper oltre al duo base, che aggiungono poco all’amalgama del disco e in alcuni casi rischiano di darne detrimento. Penso a quer pasticciaccio brutto tra Jungle Pussy e Pierce Jordan dei Soul Glo, che su Y’all Can’t Stand Right Here provano a dilapidare un bel tributo a MF Doom (finché non arriva woods a rimettere ordine, al solito), o alla poco giustificabile presenza di PinkSiifu in un paio di pezzi, veramente over the top quando cerca di essere enfatico e boriosamente monocorde dove i ritmi si abbassano. Si tratta di presenze secondarie, per fortuna; quando tutto gira a pieno regime (cioè: molto spesso), si sente forte e chiaro che gli Armand Hammer sono oggi più capaci che mai di un registro personale e visionario, con cui narrare in maniera vivida la surreale realtà di chi vive negli States. Con We Buy Diabetic Test Strips abbiamo tra le mani in disco hip hop imprevedibile e intelligente, capace di elevarsi agilmente sopra il 99% delle uscite più chiacchierate del genere nel 2023; se avete ancora le scottature di qualche ascolto proveniente da quel 99%, lenitele con questo freschissimo sogno lucido.

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Roberto Perissinotto
Roberto Perissinotto