CONTAINER BELLO

GECS SPUTATEMI IN FACCIA, SPUTATEMI IN BOCCA

100 GECS – 10,000 GECS

Dog Show / Atlantic

2023

Hyperpop, Power Pop

La prima volta che ho ascoltato il debutto dei 100 gecs mi hanno fatto schifo in culo, era in linea di massima una merda. Non perché sono stato particolarmente sconvolto dalle loro acrobazie sciolte e bizzarre né perché ho difficoltà a interfacciarmi con l’hyperpop: semplicemente mi sono sembrati da subito un duo che si attacca allo zoomer cringe, lo fa male, senza troppe idee e senza niente in testa. Non la mia cosa preferita. Poi, riascoltando più volte 1000 gecs, la loro musica mi è salita sempre di più: il duo sa essere veramente, ma veramente infectious. Ero partito apprezzando i mischioni più sperimentali (I Need Help Immediately, Gecgecgec, Xxxi_wud_nvrstøp_üxxx), ma in tempo due mesi le varie Money Machine, Ringtone, 745 Sticky sono entrate prepotentemente nella mia heavy rotation. Pensavo di sperare che l’evoluzione dei 100 gecs li avrebbe portati a nuove valli di decostruzione del pop psicotico, che avrebbero potuto sfruttare il loro talento per bucare un mercato che spesso si è limitato per valorizzare la propria estetica a discapito della musica. Avevano la giusta punk attitude, poteva succedere qualcosa di grande. Non sapevo che sarebbe successo tutto l’opposto, ma non sapevo nemmeno quale reazione avrei avuto a questa involuzione. Ora i gecs non hanno veramente niente in testa. Eppure.


24 Hour Party People è un immenso e surreale film di Michael Winterbottom che ripercorre i passaggi del Madchester, della Factory e della Haçienda, recuperatevelo. Uno dei gruppi trattati meglio nel mockumentary sono gli Happy Mondays, alfieri di quella congiuntura tra post-punk e rave che ha caricato i distretti industriali di Manchester negli anni ’80. In una scena che porto nel cuore il produttore Tony Wilson, dopo aver speso non ricordo quanti milioni di sterline e quanti mesi di registrazione nel secondo disco dei Mondays, è in una stanza con un tavolo costosissimo a parlare con Shaun Ryder e a chiedere come è andato il ritiro di scrittura per il loro futuro album. Shaun gli fa sentire una traccia e partono 40-50 secondi di MIDI un po’ imbarazzante, ma che i produttori provano ad apprezzare. Quando Tony Wilson chiede: “Ma quando cominci a cantare?”, Shaun risponde: “No, vabbè, è una demo strumentale. È tutto quello che abbiamo”. Long story short, gli Happy Mondays hanno speso tutto il budget della Factory in droga, sesso, vacanze, cibo di lusso e sono arrivati dopo mesi passati su un’isola deserta con 40 secondi di audio. Nella scena, se non sbaglio, Tony Wilson e Shaun Ryder cominciano a picchiarsi. 

Io sono sicuro al 94% che tutto il budget economico e temporale di questi tre anni sia stato speso dai 100 gecs esattamente nello stesso modo. Ci sono arrivati addosso 26 minuti di canzoncine cretine e senza direzione, tutta la vibrazione libertaria di 1000 gecs è stata scolata nel cesso e la maggior parte dei singoli estratti da questo disco sono la ripetizione infinita e paradossale dello stesso riff, sostanzialmente rubato da qualche parte. A volte rubato nello stesso arco dei 26 minuti del disco (non so se vi siete accorti che il giro di Hollywood Baby viene plagiato più volte all’interno dell’album). Riesco a percepire sui miei polpastrelli di merda quante energie siano state spese a drogarsi e quante poche energie siano state spese a scrivere di musica. Ma come suona questa musica?

La sassaiola sonora di 10,000 gecs, in realtà, è incredibilmente passatista, novantiana, tanto da valere tutto sommato quel tag di alternative rock che si trova in giro. Alla fine i riferimenti strutturali e timbrici dei brani non sono particolarmente distanti da quel mixaggio di musica pre-post-adolescente tutti-i-gusti+1 che risuona come un diapason di guilty pleasure nella mia generazione: siamo davanti a un disco che prende a pieni mani dal pop punk dei Sum 41 e dei Blink 182, dal power pop dei Weezer e dei Teenage Fanclub, dal nu metal di categoria Limp Bizkit (che slabbrandosi si avvicina inconsapevolmente al campo Patton) e dello ska che connotava i Rancid. C’è perfino un po’ di citazionismo del miglior Beck. Il fatto che tutti questi generi passino dalla centrifuga di rottamazione dei gecs non rende la lavorazione più creativa, l’effetto più teorico di questa sequela di citazioni è molto distante dalla decostruzione hyper-oriented del debutto e a modo suo la musica si è molto addomesticata, canonizzata: più per una chiara mancanza di voglia di esprimersi che per una precisa strategia di scrittura o di vendita. Ma se in cuffia mi risulta una serie sconclusionata di invenzioni balorde, all’osso, allora perché il mio cervello percepisce solo delle absolute banger e non si è ancora annoiato al dodicesimo ascolto di tutto l’album?

L’anno scorso vi ho scritto di non perdere tempo con il debutto delle Wet Leg. Il paragone tra i due sodalizi è un po’ inevitabile per me, entrambi i gruppi sono fake as fuck e per fare un’esegesi del loro successo è necessario costruire delle sovrastrutture che vadano oltre al normale prodotto sonoro. Le Wet Leg non si capisce perché debbano piacere, ma tutti quanti ne hanno dovuto scrivere bene perché sono state inquadrate come top player della scuderia di Domino. Questa cosa mi fece incazzare non poco. C’è qualcosa di profondamente diverso, però, nella situazione in cui si trovano i 100 gecs: loro sono davvero fake. Non sono fake perché l’ha deciso qualcuno in una stanza, all’interno di una scena, per fare soldi. Sono fake e basta, fanno cagare. Non sono buoni, sono stupidi, sono cretini, sono un insulto alla mia intelligenza. E questa vuotezza, l’inesistenza progettuale che traspare dai testi di Dumbest Girl Alive e di I Got My Tooth Removed, è un passaggio fondamentale per apprezzarne l’estetica e il lavoro, di una non-spontaneità tale da farne un gruppo outsider pop, una gigantesca bugia bianca ai danni di nessuno, che va assaporata in tutta la sua improbabile nullità colorata e appiccicosa. Io ascolto 10,000 gecs e voglio che la mia intelligenza sia insultata. Voglio che i gecs mi sputino in faccia.

Lasciarsi andare alla mediocre delivery di singoli di questo album vuol dire anche accettare che il nostro rapporto con la musica può e a volte deve essere tossico, dobbiamo lasciarci manipolare in esperienze artistiche che a volte non hanno nulla di più della loro semplicità, perché alla fine contemplare l’arte (che sia la concrezione di allegorie della Divina Commedia o il design dell’ultima confezione dei Pan di Stelle) è un’attività che non può danneggiarci più di tanto, in cui possiamo imparare tantissimo su come interagire gli uni con gli altri quando le relazioni vanno in DEFCON 1. Stare al gioco dei gecs vuol dire farsi molestare da un duo a cui probabilmente non frega niente né di tutti questi discorsi né della musica in sé. E la cosa assurda è che tutte queste canzoni low effort, passatiste, quadrate, annoiate, sono belle. Sono belle, sono poche, entrano sottopelle in dieci secondi e potenzialmente ci rimangono per sempre, come un esercito di Stupid Horse dopate e invecchiate. In fondo, anche i Sex Pistols sono stati delle icone del punk londinese e contemporaneamente dei pessimi musicisti – ma io quando li attacco non riesco a smettere di ascoltare Pretty Vacant per qualche mese. 

E, sempre parlando dei Pistols: la recensione delle Wet Leg si chiudeva con una citazione di John Lydon, famosissima, una frase pronunciata quando il cantante si accorge del livello di baracconata a cui si è prestato al termine della sua ultima No Fun

“Ever get the feeling you’ve been cheated?”

Ascoltare e riascoltare e triascoltare 10,000 gecs cambia totalmente tutta la nostra prospettiva a riguardo, perché questa volta non stiamo venendo imbrogliati dai meccanismi di un mercato molto più ingombrante di tutti noi, ma stiamo venendo imbrogliati dai gecs stessi, che di questo gioco delle tre carte ci vivono da quando sono nati. Alla domanda di Lydon non si può che rispondere con una felicità imbarazzata e colpevole: “Yes. I love it”.

Never ask me what I think, don’t know why you even try
Cause I’ll always get it wrong, I’m the dumbest girl alive

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Alessandro Corona M
Alessandro Corona M