COSMO SHELDRAKE – EYE TO THE EAR

Tardigrade Records

2024

Art Pop

Noi di Livore ci vediamo lungo. Nel 2018 eravamo stati tra i primissimi in Italia a sperticarci di applausi per The Much Much How How and I, il debutto tanto strabiliante quanto improbabile di Cosmo Sheldrake. Figlio di uno sciroccato pseudoscienziato, fratello del micologo più à la page dai tempi di John Cage, Sheldrake ci aveva stupito con la sua miscela di soluzioni di uno scintillante gusto pop ma speziate da arrangiamenti sgargianti, pieni di fiati e ottoni, svolte impreviste e intermezzi gorgoglianti. Di certo non ci aspettavamo che un singolo astruso come Come Along finisse in uno spot per iPhone; ma si trattava dell’ennesima dimostrazione del fatto che le canzoni di Sheldrake erano straordinarie perché riuscivano a coniugare il fantastico con l’orecchiabile.

Potete immaginare quindi la nostra delusione nei confronti del successivo Wake Up Calls, che restringeva il focus di Sheldrake a conversazioni minimali tra canti d’uccello e cinguettii di sintetizzatore: una cagata senza arte né parte, che aveva come unico vanto il concept ecologista. Flashforward al 12 aprile di quest’anno: il nostro timore, nei confronti di Eye to the Ear, il nuovo LP di Cosmo Sheldrake, è più che giustificato. I presupposti di un altro disastro ci sono tutti: la copertina della compagna di merende Flora Wallace è abbastanza brutta, la sconosciuta etichetta Tardigrade su cui viene pubblicato sa tanto di produzione fatta in casa. E poi c’è lo storico con cui confrontarsi: nei quattro anni dopo Wake Up Calls, Sheldrake ha prodotto soltanto due EP dimenticabili di cui uno, tanto per gradire, incentrato sul canto delle balene: cristo. Vabbè, mettiamo su questo LP e speriamo bene…

Gnort or Gnortle lascia immediatamente spiazzati. La sua durata, come anche le registrazioni di quelli che sembrano richiami per uccelli, fanno pensare immediatamente che si tratti del preludio a un altro disco come Wake Up Calls: ma ecco che si iniziano ad affacciare sulla scena anche i fagotti e i flauti, che svolazzano a riempire gli spazi vuoti. Sono piccoli dettagli che fanno intuire che stavolta la musica deve essere diversa da quella di Wake Up Calls o Wild Wet World. E Stop the Music è effettivamente una canzone che non sfigurerebbe all’interno di The Much Much How How and I: un dettaglio che mi fa impazzire è il sovrapporsi dei clap che prefigurano il ritornello, come se stesse per partire da un momento all’altro il flamenco più sghembo che abbiate mai visto. Marvelous Clouds, invece, ha un beat figlio del James Blake di Overgrown estremamente saturato spezzato da campane, chitarre acustiche, stridii di archi e synth. Sono soluzioni originali, che mantengono l’inventiva del debutto di Sheldrake ma sembrano virare continuamente in una direzione leggermente più oscura; se si ascolta, ad esempio, I Stitched My Mind Back to My Body e il suo call and response sgangherato di ottoni è impossibile non accostarlo alle felicissime idee di Hocking e di Solar Waltz; allo stesso modo, Old Ocean ha degli echi che sembrano riappacificare le onomatopee svogliate dei primi Gorillaz e certi collage dei Go! Team. E che dire della giullaresca coda di By Being With You? Della fanfara spettrale nel mezzo di Breathe Round Corners? Della minacciosa e cartoonesca marcetta di Run? La tavolozza dei colori di Sheldrake sembra essersi ampliata ancor di più rispetto al coloratissimo acquerello del primo album. Ma i conti continuano a non tornare.

Se su un piatto della bilancia, infatti, possiamo appoggiare questa moltitudine di intuizioni che sembrano segnalare un ritorno a verdi pascoli, bisogna guardare anche a cos’altro si nasconde all’interno di Eye to the Ear: Brani come I Did and I Don’t and I Do, The Feet Are the Link, But Once a Child, The Snapping of Shrimp o Flora’s Pond si fissano su corali che paiono il compitino di Jacob Collier, cinguettii d’uccelli e gorgoglii di torrenti, synth granulari che borbottano sommessamente… Tutte caratteristiche che ovviamente ci fanno montare un’incazzatura bestiale, visto che occupano una generosa porzione dell’album, e quindi neanche un minutaggio individuale ridotto e un sequencing che tiene questi momenti separati riescono a non farci storcere il naso. L’impressione è quella di avere davanti una versione di Cosmo Sheldrake che ha portato all’eccesso lo show, don’t tell essenziale per la riuscita di un artista; una versione che, per nascondere a tutti i costi la genialità del proprio songwriting, lo soffoca tra esperimenti di dubbio gusto che non hanno il giusto spazio per evolversi e che non lasciano nulla a chi ascolta.

Quando si arriva alle ultime battute, sembra quasi ingiusto valutare Eye to the Ear col bilancino: bisognerebbe tagliare troppa musica se si volesse tenere solo il suo meglio, e non sono troppo sicuro che una cesellatura così diffusa gioverebbe al contesto del disco (anche se Shiny Is the View potremmo risparmiarcela, la prossima volta). D’altronde, la poetica di Cosmo Sheldrake oramai sembra pienamente vivere della simbiosi tra i due elementi contrastanti del pop da camera e della ricerca intersezionale tra musica e natura, del continuo scontrarsi e specchiarsi di due anime agli antipodi fra di loro. Immagino che dovremo aspettare il prossimo disco per capire se rassegnarci o, se, finalmente, ci avremo di nuovo visto giusto.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala