AKINI JING – VILLAIN

88rising

2024

Art pop, UK Bass

Zhu Jingxi arriva da Pu’er, tra le verdeggianti montagne e i folti campi di tè nero dello Yunnan cinese, vicino al confine con il Laos. Sarebbe probabilmente possibile riavvolgere il filo della sua storia secondo l’epica di un grande percorso di formazione; ma in un firmamento sempre più saturo di personalità pop di prima, seconda e terza categoria, che generalmente non fanno molto per attirare lo sguardo del nostro telescopio, cosa ci porta fino a lei? Lo pseudonimo Akini Jing, con cui la leggete qui, è nato nel 2019 per superare un’impasse creativa dopo più di dieci anni di carriera come cantautrice, generando un alter-ego cyborg attraverso il quale ha reinventato la propria narrazione con un focus sull’incontro/scontro tra tradizione e tecnologia e si è distaccata contemporaneamente dal folk-pop degli esordi per abbracciare sound design elettronici. Ora, proiettarsi come una fusione tra umano e macchina non è un espediente artistico nuovo (pensiamo ad esempio alla singaporiana yeule), e il baratto tra elementi del folklore e sonorità elettroniche più trasversali è comune a molte aspiranti popstar che cercano di ampliare il proprio pubblico (una viene dalla Pennsylvania ed è al centro di una diffusa teoria del complotto sulle elezioni presidenziali USA). Jingxi ha però sfruttato questo doppelgänger cibernetico per alzare l’asticella della propria scrittura tra fantascienza, cosmopolitismo e introspezione, senza rinunciare alla ricchezza della propria tradizione musicale ma cercando di rileggerla nel contesto di un suono futuristico, che riflette una Cina sempre più centrale nell’impero tecnologico globale.  

Da queste premesse tematiche possono nascere sviluppi interessanti, ma musicalmente Akini Jing doveva ancora trovare la propria voce. Il precedente album Endless Farewell, in collaborazione con il producer cinese Chace, mirava ad avere la varietà e la coesione di un’opera di ampio respiro in cui nominalmente ad ogni pezzo corrisponde un universo parallelo; su Akini Jing venivano però cucite tante soluzioni sonore che sembravano sostanzialmente voler comunicare una vibe (il pezzo con il beat distorto, il passaggio più atmosferico, il numero di synthpop moderno, il brano lungo stile progressive electronic…) e che, non trovando mordente, nel complesso finivano per sommergerla. In seguito è arrivata la notizia del suo passaggio alla 88rising, che si rivelerà essere il secondo snodo decisivo della sua carriera. Dalle nostre parti è poco chiacchierata, ma l’etichetta statunitense si sta affermando come un colosso della diffusione a livello mondiale di artistə hip hop e R’n’B provenienti dal continente asiatico. La pubblicazione di questo Villain presenta una nuova versione di Akini Jing: affilata, memorabile, con un impianto musicale che trova corpo inserendosi con decisione nel flusso degli sviluppi più eccitanti della bass music. Sembra, insomma, aver trovato una marcia in più. Se poi dovesse essere tutta una pianificazione commerciale da parte della 88rising per renderla più palatabile ad esigenti orecchie occidentali, beh, complimenti a loro: l’hanno fatta approdare su Livore.  

L’ispirazione per Villain arriva dai temi della letteratura wuxia, un genere narrativo cinese che nei secoli è stato inviso ai governi e snobbato dai letterati ma che ha sempre trovato un grande successo popolare. Le opere wuxia sono ambientate nella Cina antica e raccontano solitamente di combattenti di arti marziali che, in risposta a soprusi o tragedie personali, intraprendono un percorso di addestramento secondo i valori di un codice morale eroico; questo conduce alla riparazione dell’ingiustizia attraverso l’ingaggio in battaglia e la sconfitta del cattivo (il “villain”, appunto), che spesso è una figura di potere appartenente alle famiglie nobiliari. Se da una parte Akini Jing dimostra una chiara ambizione cercando di infondere le dinamiche di questa tradizione nei testi e nelle atmosfere dei propri pezzi, dall’altra lo fa nel suo lavoro più diretto e sintetico: 26 minuti che asciugano le lungaggini da blockbuster pop e si dedicano a rafforzare il midollo della sua proposta.  

Come spesso succede, lavorare entro i confini di un minutaggio stringato fa focalizzare meglio la direzione da dare alla musica. In cabina di regia c’è ancora Chace, ma stavolta il suono vira dritto sui bassi sguscianti e sulle percussioni frammentate di scuola UK bass: i ritmi più compositi si incastrano particolarmente con il tema delle arti marziali, e anche con l’interpretazione vocale ora spostata verso l’hip hop. Allo stesso tempo la componente elettronica ha una forte componente propulsiva che richiama le figure zuccherine a cassa dritta di certo hyperpop, senza però buttarla sul massimalismo affamato di dopamina.

In tutti i pezzi dove canta Akini Jing viene mantenuta una certa sottigliezza grazie al livello di dettaglio della produzione, che consente di apprezzarne la carica contagiosa senza staccare il cervello. Si ha subito il saggio di questa nuova veste su Black Widow, dove Akini Jing si muove in un rap agile su bassi potenti e chop poliritmici, aprendosi poi in sussurri insinuanti all’interno di un limpido break melodico. Anche la varietà di stili, che prima era un fattore confondente, viene qui utilizzata con la massima efficacia: ascoltate con che naturalezza il flusso di Call Me Shadow si trasforma in un rimbombante scenario techno da big room, o la potenza con cui l’ospite TeeZandos cala come una lama sull’incarnato R’n’B di Villain per condurlo su luciferini territori drill. In questo vortice energetico non mancano i riferimenti alle radici musicali di Jinxi, non solo nella presenza di uno strumento tipico dello Yunnan come il flauto a canna di bambù, ma pure in figure melodiche come quella del pianoforte che apre proprio Villain, debitrice verso l’influenza che le composizioni orchestrali hanno esercitato sulla musica popolare cinese della prima metà del Novecento. I frequenti interventi degli archi, per quanto mediante strumenti occidentali come viola e violino, sembrano creare a loro volta un’ulteriore connessione con la musica di quell’epoca. Certo, sempre di disco pop si tratta e la scaletta non si esime dal piazzare una ballatona sentimentale, che in operazioni come queste è una sorta di tassa da pagare (ricordate come iniziava l’album di SOPHIE?): stavolta tocca a Hurt You Again, che tuttavia non è eccessivamente sbracata e viene ulteriormente confortata dal fatto che Akini Jing ha dimostrato poco prima con Jade di saper rendere intrigante anche un pezzo midtempo. Inoltre, inaspettatamente, a seguirla e a chiudere l’EP si trovano due brani strumentali in cui la produzione passa nelle mani di Kiddou e x4m e che potremmo tranquillamente definire come “pezzi-fomento”: due bombe di dichiarata filiazione deconstructed club, con tanto di bassi acidi, synth distorti e amen break che picchiano come le migliori produzioni di marca Svbkvlt. In mezzo al clangore da dancefloor vengono però riprese anche alcune linee melodiche di piano e archi che danno continuità con il resto dell’EP e lo mantengono coeso fino alla conclusione. 

Al termine di Villain emerge una Akini Jing più forte che mai: capace di imbastire un progetto tematicamente interessante, brava a reinventarsi in una veste coinvolgente e colma di potenziale al riascolto, con la fiducia di poter anche mettere da parte la voce per rafforzare la natura cyberdanzante della propria musica. Trovatele un posticino tra i vostri ascolti, ha già mostrato di farsi bastare poco tempo per lasciare il segno.

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Roberto Perissinotto
Roberto Perissinotto