ASHENSPIRE – HOSTILE ARCHITECTURE

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2022

Avant-garde Metal

Di tutti i generi del metal, il black metal è da sempre quello che viene maggiormente associato a posizioni politiche e sociali provenienti dall’estrema destra, che in questo caso più che mai è da intendere come una locuzione puramente eufemistica per non dire esplicitamente “fasciste” o “naziste”. Purtroppo, non era uno stereotipo ai tempi dell’ondata scandinava degli anni Novanta – come testimoniano non solo il celebre caso Burzum, ma anche l’omicidio Andreassen e l’omicidio di Keillers Park, che vedevano rispettivamente Faust degli Emperor e Jon Nödtveidt dei Dissection come esecutori materiali, con aggravante di hate crime verso la minoranza omosessuale -, e non lo è tantomeno ora. Dal ben documentato nazionalismo a tinte xenofobe di Famine dei Peste Noire fino alle torbide ambiguità di vari membri dei Deathspell Omega, innumerevoli esempi dimostrano come il binomio black metal/fascismo sia, ancora oggi, tutt’altro che una trovata pubblicitaria o un’invenzione dei giornalisti montata su famigerati casi isolati. È un mero dato di cronaca ineluttabile: bisogna scendere a patti con il fatto che alcuni dischi belli (a volte, bellissimi) della storia del metal estremo siano stati incisi da persone spregevoli e con idee ripugnanti, senza tentare di giustificare l’ingiustificabile. Con tutto che, personalmente, non sento per forza la necessità di condannare o invocare una qualche damnatio memoriae verso la musica in sé soltanto perché incisa da questa gente – anche perché per fortuna i musicisti citati, Peste Noire esclusi, non esprimono esplicitamente le proprie simpatie politiche attraverso i loro dischi, perlomeno in quelli meritevoli di essere ascoltati. 

Tuttavia, è anche vero che è da molto tempo che il black metal ha cominciato a manifestare posizioni non più soltanto di destra, anzi. A partire dal nuovo millennio, il black metal è diventato ampiamente il sottogenere più trendy del metal per via delle sue propaggini più indie-friendly, il che gli ha permesso di allargare la propria audience a un pubblico proveniente dai più disparati rami dello spettro politico – e, quindi, anche della sinistra più o meno estrema. Non a caso, il blog Red & Anarchist Black Metal (ormai inattivo, ma di fatto ancora all’opera in una nuova veste di canale Reddit) ha perseguito per più di un decennio la missione di fornire sostegno musicale ed economico a musicisti black metal dalle aperte posizioni radical leftist (sic), il che mostra perlomeno che questi artisti effettivamente esistono e sono rilevanti per una qualche nicchia di ascoltatori. Gli Ashenspire, da Glasgow, non sono quindi né i primi né i più illustri esponenti del black metal “a tinte rosse” (entrambi i titoli, probabilmente, andrebbero più correttamente assegnati ai Wolves in the Throne Room), ma sono di certo tra i più chiacchierati di questo 2022 grazie al loro ultimo Hostile Architecture

In realtà, nonostante siano saliti alla ribalta solo quest’anno, gli Ashenspire non sono musicisti di primo pelo: si sono formati quasi dieci anni fa e il loro esordio Speak Not of Laudanum Quandary, datato 2017, già conteneva tutte le caratteristiche musicali e concettuali che adesso vengono apprezzate nel loro secondo lavoro (tra l’altro, in forma già piuttosto compiuta). La musica di quel disco ripartiva dalle forme più elaborate del black metal del nuovo millennio, quelle che hanno maggiormente coniugato un’interpretazione teatrale e sopra le righe (nelle stesse parole degli Ashenspire, mutuata tanto da Diamanda Galás – nome che non mi sarebbe mai venuto in mente in vita mia – quanto dai Devil Doll – influenza invece molto più lampante) a un impianto musicale dal sapore progressivo quando non cameristico, anche per la presenza di un pianoforte e soprattutto di un violino a cui venivano assegnati i principali compiti melodici. A tutto ciò, si aggiungevano testi struggenti dal profondo afflato poetico, istantanee sulle culture oppresse dall’imperialismo britannico e sui risvolti che l’occupazione inglese ha avuto sulle diseguaglianze sociali, cantati – o anche recitati – in questo tono super enfatico che richiamava le pose istrioniche di Carl-Michael Eide (Ved Buens Ende) su Written in Waters o perfino di Aldrahn (Dødheimsgard) su A Umbra Omega. Un album originale e particolare senza dubbio, ma anche sfiancante nella sua durata e spesso schiacciato dal peso delle proprie ambizioni: la musica era eseguita impeccabilmente ma era sostanzialmente molto lineare (nonostante il minutaggio venisse gonfiato dalla ripetizione ossessiva delle stesse figure melodiche e ritmiche durante i brani), il che cozzava con le evoluzioni vocali sproporzionatamente pirotecniche di Alasdair Dunn. Se si aggiungono pure i frequenti, e quasi sfacciati, richiami agli A Forest of Stars di Beware the Sword You Cannot See lungo tutto il disco, Speak Not of Laudanum Quandary non poteva certo definirsi un successo. 

SEPARATORE

Rispetto a quell’esordio, Hostile Architecture è però insieme un’estremizzazione e una feroce semplificazione. È un’estremizzazione in senso musicale, perché la componente più progressiva e neoclassica del suono degli Ashenspire viene esaltata e ampliata, arricchendo la palette sonora con sassofoni, Fender Rhodes e dulcimer, oltre ai soliti pianoforte (questa volta, preparato) e violino – il cui ruolo viene di contro ridimensionato rispetto a quello predominante giocato su Speak Not of Laudanum Quandary: una scelta stilistica che rafforza le già marcate somiglianze con gli A Forest of Stars, ma anche con roba come i Vulture Industries di The Tower e i Pensées Nocturnes di Vacuum, visto il modo in cui il gruppo indulge in digressioni avant-prog e in elucubrazioni più placide e ariose (cfr. l’introduzione per dulcimer e sax di The Law of Asbestos, o la sezione posta a metà di Plattenbau Persephone Praxis). Addirittura, gli Ashenspire non temono sfide più ardite come How the Mighty Have Vision, quasi tre minuti di austerità corale (che però si potevano ampiamente risparmiare) e la più interessante Palimpsest, nata come esperimento estemporaneo ispirato (almeno a parole) tanto dai breakbeat di Venetian Snares quanto dal nu jazz inglese, realizzata sovrapponendo un ritmo suddiviso in 5 pulsazioni e uno suddiviso in 7 e coronando infine il tutto con un notturno assolo di sax. Il retaggio black metal viene di contro marginalizzato, tant’è che pure nei momenti più estremi del disco il riffing opta per strategie che devìano spesso e volentieri dalle usuali norme del genere, sfruttando maggiormente pause e dissonanze alla maniera dei Krallice (cfr. The Law of Asbestos, Tragic Heroin, Apathy as Arsenic Lethargy as Lead); e pure quando la chitarra si concede al canonico tremolo picking di matrice black metal, il contrappunto delle linee di sax e violino ne cela almeno parzialmente la provenienza (è questo il caso, per esempio, di Béton Brut). È una scelta che rende la musica degli Ashenspire più armonica, favorendo l’interazione coerente fra le due anime – metal e progressiva – del gruppo; di conseguenza, le soluzioni timbriche e sonore cui Hostile Architecture può attingere si moltiplicano e il disco suona sensibilmente meno omogeneo (e quindi, meno estenuante) rispetto a Speak Not of Laudanum Quandary, anche grazie a una scrittura più essenziale che porta a ridurre il minutaggio complessivo di un quarto d’ora netto. Hostile Architecture ne eredita comunque il difetto principale – ovvero, l’eccessiva eccentricità delle parti vocali, qua e là davvero difficile da digerire – ma è in definitiva un netto passo avanti dal punto di vista della musica in sé.

D’altra parte, Hostile Architecture è una brutale banalizzazione a livello testuale e concettuale. Perseguendo la loro narrazione anti-imperialista e anti-capitalista vista dalla prospettiva della lotta di classe, i testi degli Ashenspire si focalizzano questa volta sul concetto e sulle applicazioni dell’architettura ostile (da cui il titolo del disco). Le riflessioni del gruppo sarebbero anche molto interessanti e condivisibili, ma nel tentativo di rendere il messaggio il più trasparente e diretto possibile le velleità letterarie di Speak Not of Laudanum Quandary vengono completamente sfrondate in favore di un approccio tanto spoglio da spingere i testi in territori pericolosamente vicini alle one-liner xenoleft che potete leggere (qualche volta, pure sbertucciare) su Twitter. A conferma del carattere sloganistico del disco, quasi ogni pezzo finisce con una sorta di succinto recap che sembra mirare specificamente alla viralità online in maniera non troppo lontana da quelle serie TV che rimasticano superficialmente i concetti della sinistra intersezionale a uso e consumo di internet. Avete presente quelle robe indegne tipo Enola Holmes oppure She-Hulk? Ecco.

Negli ultimi versi di The Law of Asbestos, per dire, si rimarca l’intenzionalità di certe politiche che vanno a svantaggio dei ceti meno abbienti e più disagiati: un’opinione che agli occhi di molti potrebbe apparire come mero complottismo di sinistra, ma che pure uno come Mike Lofgren (repubblicano ed ex membro dello staff del Congresso degli Stati Uniti – non esattamente un bolscevico) nel 2012 rimarcava nel suo articolo Revolt of the Rich. Le parole scelte dagli Ashenspire però potrebbero benissimo provenire da uno striscione in un qualche corteo di protesta negli Stati Uniti, con il suo schema di rime alternate e il ritmo incalzante: «Always three months to the gutter / Never three months to ascent / This is not a house of amateurs / This is done with full intent». Una cosa molto simile si potrebbe dire della chiusura di Apathy as Arsenic Lethargy as Lead, che sembrerebbe essere un moto di riottoso orgoglio di appartenenza alla working class sfruttata ed espropriata del proprio tempo e lavoro: «We are the cult of work / We are the cult of labour sold / We are the cult of work / We are the cult of siphoned gold». Ancora, dopo diverse strofe dedicate alla claustrofobia asfissiante degli edifici nelle città inglesi che arrivano a oscurare il cielo intrappolando (anche psicologicamente) gli abitanti, Béton Brut si conclude riassumendo per gli ascoltatori meno attenti: «Stare into that void all you like / It won’t meet your gaze / When you can’t see the stars / You stop dreaming of space». (Per non farsi mancare niente, Béton Brut ha pure un’intera sezione user-friendly dedicata al patriarcato maschilista, incastonata a metà brano e completamente scollegata al resto del testo: «I wasn’t born in fear, there’s no self-loathing / In my genes. But from when I could hear / I heard the hereditary, the poison of misogyny / An amateur wavering, thrust traversing / The tripwire of masculinity / Dance, hummingbird! Can you dance? / I had learned the steps before I could walk / I had learned silence before I could talk»). Addirittura, su Tragic Heroin il finale parodia William Frederick Halsey: «Fuelled with your labour / Built with your bones / There are no great men / Only the great many». Pare già pronta per essere impostata come bio su qualche social network, e non a caso gli stessi Ashenspire usano gli ultimi due versi a questo scopo tanto su Facebook quanto su Bandcamp. Tacciamo, infine, di How the Mighty Have Vision, che è tutta uno slogan solo parzialmente celato dall’impostazione vocale corale, e limitiamoci a linkarvi il testo.

Per carità, vari tra questi versi non sono così terribili (per dire, alcuni tra quelli di Béton Brut sono anzi sagaci, come quel I had learned silence before I could talk), e in generale i temi che gli Ashenspire portano avanti ai miei occhi sono (dovrebbero essere) condivisibili più o meno da qualsiasi essere umano decente. Per questo trovo un po’ triste vedere come in musica, e in generale nell’arte, non si è più capaci di esprimere certi concetti di sinistra senza urlare all’orecchio del fruitore dell’opera il proprio pensiero, immediato e privo di qualsiasi nuance espressiva, nella maniera più schematica possibile. Nessuna nota di umorismo sarcastico o ironico, nessuna sfumatura lasciata implicita, nessuna riflessione proposta all’ascoltatore, in questo caso addirittura si rimuovono le ambizioni più colte nella scrittura dei testi (che erano un punto di forza dell’esordio) per farli aderire al canovaccio della sinistra di Reddit che dà un’infarinatura di teoria xenoleft all’utente appena arrivato – e la delivery di Dunn, così pedante e verbosa, di certo non aiuta a rendere più digeribile questa monodimensionalità testuale. Secondo le parole di Dunn, è una mossa voluta e cercata coscientemente – la problematica è tanto urgente che non è possibile che vi siano incomprensioni, o che peggio la musica scorra senza che le parole arrivino a destinazione. Ma è una strategia controproducente anche dal punto di vista pedagogico: quando le parole scelte sono queste, la destinazione non può che essere chi in partenza è già d’accordo con ciò che stai dicendo, e nessun altro.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia