VIAGRA BOYS – CAVE WORLD

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2022

Dance Punk

Negli ultimi anni di vita ho imparato una lezione fondamentale: quando una band internazionale va live a Bologna vuol dire che ha fatto il suo tempo e c’è bisogno di staccare, tipo le crypto col nome di un meme quando vengono spinte da etoro. È una tradizione di lungo corso, che mi piace immaginare sia cominciata quando i Clash sono arrivati boots on the ground a Piazza Maggiore, patinati come la merda, famosissimi, in pieno 1980. Recentemente è successo con i Fontaines D.C., con annesso tripudio di testate locali a raccontare con un certo wannabe recentismo un fenomeno di mezzo decennio fa. Ecco: i Viagra Boys hanno suonato a Bologna. Potrei terminare il pezzo qui e avreste già capito tutto, ma ho un paio di commenti da fare su questo disco.

Tecnicamente Cave World è l’evoluzione perfetta di un percorso di decente durata per la band svedese: un debutto da fantasmi del noise rock da ballo con un paio di EP ampiamente dimenticabili (Consistency of Energy, Call of the Wild); una salita alla ribalta dell’interweb cominciata con Street Worms, un ammasso di brani e lungaggini buono per costruire una bella identità mixata di punk-blues-dance-noise-rock ma con un sassofono a skronkare in sottofondo; infine un albumaccio da bottega che è rimbalzato su tutti i media e ha fatto cagare un po’ a tutti tranne che a me: Welfare Jazz, disco che mi è miracolosamente piaciuto. Sarà che i Viagra Boys mi sono piaciuti sempre di più quando fanno i coglioni piuttosto che quando provano a superare i propri evidenti limiti: tra un omaggio ai Cramps e uno ai Birthday Party i singoloni dell’ultimo disco erano memorabili: I Feel Alive, una versione più sfigata della Nightclubbing di Iggy, Ain’t It Nice, la battuta di caccia synth-billy che non sapevamo di volere e Creatures, in cui tutti quei bassi sfrigolanti pagano omaggio a quello che fu il new rave. Roba sporchissima ed extra-mascula che nella sua semplicità funzionava e presentava un passo avanti rispetto ai primi lavori e la domandina: “forse sta per succedere qualcosa?”

Quello che è successo è che i Viagra Boys hanno suonato a Bologna e Cave World ce lo conferma con una netta evoluzione della figura degli svedesi da punk-rockers da baraccopoli a post-punkers d’accademia, nel bene e nel male.

I punti di forza: va detto che la band di Stoccolma non ha mai partorito un lavoro così arrivato e variegato, vero menù degustazione a prezzo fisso di quello che hanno da offrire al pubblico più generalista. Le tracce di quell’immaturità zozzetta di Welfare Jazz e Street Worms si ritrovano solo nei titoli e nelle intenzioni delle track più torelle: Troglodyte, Return to Monke, Ain’t No Thief. Il risultato è come minimo piacevole. C’è veramente tanto di interessante da ascoltare, dagli svolazzi nostalgici di pura synthwave (lo skit di Globe Earth uscito palese dalla penna di Kyle Dixon) alle gitarelle nel dance punk industrializzato e militante tipo secondo Mark Stewart. Potevano tornare alla prima base e invece hanno provato a fare i fantasisti. Questo approccio direi che funziona: i brani citati sopra sono tutti discreti banger, The Cognitive Trade-Off Hypothesis è un singolo assolutamente spiazzante e la coraggiosa hit Big Boy è un piccolo gioiello slacker, che fa l’occhiolino a tutti noi fan dei Violent Femmes (pregiata nicchia che contiene sostanzialmente tutti gli esseri umani).

I tasti dolenti? il disco alla fine è un po’ un cabinet of curiosities fine a se stesso e i Viagra Boys tendono a far degenerare i loro beat qui e lì in una versione saputella che fa proprio incazzare. Fa incazzare il gruppo che decostruisce i propri approcci per farsi più appetibile al pubblico internazionale lavorando di testa e dimenticando la pancia, fa incazzare l’approccio Melt Yourself Down e tutte quelle slogature e sperimentazioni all’acqua di culo che fanno la tridimensionalità della release. L’incazzatura raggiunge il massimo tollerabile quando l’americano-svedese Sebastian Murphy si mette fianco a fianco con Jason Williamson degli Sleaford a confermare l’egemonia totale del britpunk su ogni forma di musica alternativa anche al di fuori del Regno Unito. Poi basta, direi.

Se siete arrivati a questo punto della recensione avrete notato il conflitto interiore, il sì-ma no-ma anche sì-però soprattutto no che ha fregiato i miei ascolti dei Viagra Boys da quando li conosco: sono totalmente incapace di usare quello che il Dottor Chopper chiama Burēn Pointo per capire cos’è che mi risuona di sto gruppo e cos’è che mi sta sul cazzo. 

Però ad essere sinceri ogni volta che riattacco Cave World la voglia di divertirmi, di farmi trasportare da queste invenzioni cretine e di farmi truffare dai Viagra Boys torna su con prepotenza e copre del tutto le proteste della mia coscienza critica – e, diciamolo, sarei uno stronzo se volessi rendere le mie opinioni più appetibili lavorando di testa e dimenticando la pancia, seguendo questo trend globale falsato che tanto mi sta sul cazzo. 

Quindi niente, Cave World è un disco ok, il Teorema di Bologna evidentemente deve essere ancora perfezionato con peer review e per stavolta i Viagra Boys li promuovo.

Oppure no? 

Vabbè, vi odio a morte, non tornateci mai più a Bologna.

Anche se Ain’t No Thief live…

Basta.

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Alessandro Corona M
Alessandro Corona M