CONTAINER BELLO

STRING FIGURES: FOLKLORE, BALLO ED ELETTRONICA CONTEMPORANEA

ZOË MC PHERSON – STRING FIGURES

SVS

2018

Elettronica

L’esordio di Zoë Mc Pherson per la misconosciuta etichetta SVS è l’ultima brillante declinazione di uno dei trend più interessanti nel mondo della musica elettronica attuale: il matrimonio tra primitivismo atavico e futurismo digitale.

Producer di stanza a Bruxelles (ma di origini francesi e nord irlandesi), Zoë Mc Pherson già da qualche anno collabora con l’artista multimediale Alessandra Leone. Insieme a lei ha allestito un elaborato spettacolo multimediale che coniuga coreografie teatrali, musica e visual art nel tentativo di far emergere una sintesi tra la contemporaneità occidentale e la tradizione del folklore africano, asiatico e aborigeno. A partire dallo scorso settembre ha anche cominciato a pubblicare qualche video online, girato sempre sotto la direzione della Leone, per fare pubblicità al suo ambizioso progetto String Figures, debutto discografico che si muove con continuità rispetto agli show visuali  presentati al pubblico negli ultimi tempi. L’intento dell’intera operazione di String Figures è manifesto fin dal titolo: le figure di corda sono quelle intricate forme geometriche realizzate tramite corde o spaghi legati alle dita, che vengono trasfigurate in corrispondenza dei movimenti delle mani. E se da una parte la scelta di un titolo simile può apparire come una semplice metafora della musica della Mc Pherson, dall’altra sottintende un profondo intento antropologico. Per quanto siano note nel mondo occidentale prevalentemente come gioco per bambini, le string figures hanno in realtà origini antichissime e sono diffuse in tutto il mondo, dove vengono utilizzate per gli scopi più diversi (dal semplice spettacolo fino alla divinazione), e pertanto sono state soggetto di vari studi già a partire dalla fine del XIX secolo.

Con una presentazione del genere, String Figures non si può accontentare di utilizzare superficialmente strumenti etnici o folkloristici – e, in effetti, non lo fa. Le sette tracce-capitoli che compongono l’album esplorano approfonditamente l’eredità di culture dislocate in ogni angolo del pianeta, avvalendosi in maniera determinante non solo del loro immaginario e dei loro strumenti, ma anche di registrazioni sul campo e suoni trovati direttamente in Tibet, nelle isole del Sud Pacifico e in Indonesia. Questi vengono successivamente manipolati dalla Mc Pherson e ricollocati quindi in un contesto musicale più astratto, fatto di intricate texture elettroniche che offrono una personale reinterpretazione della techno post-industriale, dell’IDM e talvolta perfino del glitch. A volte la fonte di ispirazione primaria può essere semplicemente il recupero di una storia della tradizione popolare, come in Shaman (How I Became), il cui testo è basato sulle testimonianze raccolte nell’Artide canadese dall’antropologo danese Knud Rasmussen a inizio Novecento, o in Komusar (Moving), che si avvale di una registrazione di una canzone delle isole sullo stretto di Torres raccolta dall’antropologo Wolfgang Laade. Ma il meglio di String Figures lo si trova indubbiamente nei momenti in cui la Mc Pherson fa collidere con maggiore decisione il mondo contemporaneo e quello ancestrale. Nella bellissima Sabotage Story (Unknot Opening) confluiscono in un tessuto prettamente post-industriale – con tanto di lamiere di metallo a fare da percussione – la tradizione buddhista (i campioni di dung chen e di gyaling che dialogano con i dissonanti interventi di sax, suonato in studio da Sam Comerford) e la ritmicità della musica araba, africana e brasiliana (le conga, il bendir e il repique suonati da Falk Schrauwen, collaboratore della Mc Pherson anche negli eventi live). Non meno sorprendente è il dualismo tra il battito propellente della techno e il baccanale di poliritmi percussivi che emerge da Deep (Prayer); dalla cervellotica intelaiatura IDM di Inouï (and Free) emergono invece dei frammenti manipolati di katajaiit e assalalaa canadesi e del canto armonico tuvano, mentre la conclusiva Transmission (Shall It Never Be Lost) si chiude con il suono processato di un hardingfele, reso quasi irriconoscibile dal trattamento digitale.

String Figures può essere interpretato come un saggio antropologico sull’incontro/scontro non solo tra il mondo occidentale e le civiltà alla periferia dell’impero, ma anche tra le loro diverse concezioni di musica da ballo. La musica di Zoë Mc Pherson, per quanto cerebrale, ha sempre una evidente fisicità che discende in eguale misura dai rave, dai rituali estatici africani e asiatici, dai balli popolari della ruralità norvegese. E che venga letto come un esotico album di elettronica ballabile, o come un acuto esercizio di musica pan globale, String Figures suona comunque pienamente riuscito, appagando tanto il corpo quanto la mente. Un ottimo modo per inaugurare la stagione elettronica del 2018.

Condividi questo articolo:
Emanuele Pavia
Emanuele Pavia