SKRILLEX – F*CK U SKRILLEX YOU THINK UR ANDY WARHOL BUT UR NOT!! <3

OWSLA

2025

Brostep, Hybrid Trap

6

La sola idea di scrivere su Livore di Skrillex mi sembra esilarante. Cioè, proprio noi, quelli della recensione di Beyonce, a parlarvi seriamente di Skrillex. Sarebbe facile considerare questo nome come una cattedrale del male, uno di quei tabù dal sentore ancestrale, e infatti esso è apparso solo due volte qui sopra prima d’ora, guarda caso mai sotto una luce positiva. Al di là del fatto che questa cosa è effettivamente buffa, poco prima ho detto una bugia: è da tempo che Skrillex non è più un tabù. E questo è il frutto di una gargantuesca operazione di restyling, in cui la musica del producer c’entra solo fino a un certo punto, e che – spoiler – sarà ciò che maggiormente occuperà lo spazio di questa recensione-non-recensione, visto che di cose da dire ce ne sono.

Torniamo indietro al 2010. 7 giugno: My Name Is Skrillex; 22 ottobre: Scary Monsters and Nice Sprites. In giusto tre mesi, questi due EP bastano per proiettare il nome di Skrillex ovunque, associandolo indissolubilmente alla parola “dubstep”, mentre il mondo, fuori e dentro internet, si divide tra chi questa musica la adora e chi grida alla discesa in terra di Satana. Un anno dopo sarà Bangarang a consacrare definitivamente il producer, e qualcuno forse ricorda ancora oggi quanto fosse sostanzialmente impossibile non imbattersi nella title track di quell’EP ai tempi che furono (a distanza di qualche mese, la storia si ripeterà con Make It Bun Dem). Skrillex diventa un fenomeno sociale, una di quelle cose che trascendono la sfera musicale segnando un’estetica generale ben definita: la sua capigliatura asimmetrica, i grandi occhiali neri, il dilatatore all’orecchio sono tuttora impressi a fuoco nella testa di molti. Fiutato l’affare, l’industria mainstream lo segue a ruota, annacquando e addolcendo quella brostep che è ormai il suono del momento e che, com’è giusto che sia, si insinua ora nei singoli di Justin Bieber, Britney Spears, Katy Perry e chi più ne ha più ne metta, arrivando sulle vette più alte della vergogna con gente tipo i Korn (feat. Skrillex in persona) e i Muse. Madre mia.

Alla luce di questo verrebbe la tentazione di bollare Sonny Moore come un personaggio venuto fuori dal nulla, uno di quelli che si trovano al posto giusto nel momento giusto; in realtà, il producer aveva già al tempo una carriera alle spalle, avendo sia cantato nei From First To Last che prodotto brani elettronici da solista – nessuno di questi lavori è particolarmente degno di nota, ci servono giusto per dirvi che Moore non era una scatola vuota, bensì qualcuno che, nel bene e nel male, un po’ di musica la masticava. L’ascesa, comunque, la conoscevamo vagamente un po’ tutti, così come tutti dovremmo ormai sapere la differenza tra dubstep e brostep. Skrillex, in fondo, è giusto la pietra dello scandalo, il simbolo del percorso che ha portato una delle branche più atmosferiche, cupe e originali dell’EDM a diventare materiale per enormi festival prima e sottofondo per montaggi MLG dopo. Ma questa è una storia per un articolo.

È però il declino di Skrillex ad essere poco chiaro, a confondersi nel fumo. Diciamo innanzitutto che quella brostep, spesso contaminata da pesanti influenze electro-house, iniziava a mostrare i suoi limiti compositivi, e la palette timbrica piuttosto ridotta non aiutava. Moore, che in realtà non è stupido, cerca di rimediare maldestramente con Leaving, un goffo tentativo di avvicinamento alle sonorità future garage di Burial, e che farà parlare (male) parecchio. Il più grande passo falso viene pubblicato un anno dopo, nel 2014. Recess è il primo disco full-length di Skrillex, e arriva quando il mainstream aveva già mollato il giocattolo brostep e con la reputazione del producer ormai compromessa; appare chiaro che siamo nella parte discendente della parabola, e l’album non fa un granché per migliorare le cose. La seguente collaborazione con Diplo, sotto l’alias Jack Ü, passa relativamente in sordina: le masse hanno già archiviato la parentesi Skrillex come se fosse stato tutto un sogno, tipo una sbornia della domenica mattina. In realtà, Moore continuerà a produrre musica in giro, sempre nei circuiti della grande industria e sempre desiderato. Il profilo però è ora più basso, il nome meno sfacciatamente ostentato, a volte esposto quasi con timore. Questo, almeno, fino a due anni fa.

Quando sei stato cool e sei diventato cringe, come fai a rinascere based? Spesso la risposta è aspettare, far calmare le acque, rinnovandosi nel frattempo. Nel caso di Skrillex, questo ha voluto dire anche lasciare finalmente evolvere la sua musica, che dalla brostep si è spostata progressivamente verso una trap EDM più al passo coi tempi. Ma ci sono due altri tasselli: le persone giuste e il look. Fatevi un giro nei grandi database di uscite musicali, e date un’occhiata a chi viene associato il nome Skrillex negli ultimi dieci anni. Troverete, in mezzo a tanta merda, gente come Four Tet, FKA Twigs, Dylan Brady, Yung Lean e Bladee, ad indicare non esattamente una redenzione, ma quantomeno un’attenzione verso una sfera un filo più ricercata. In più, Moore si fa crescere la barba e si taglia i capelli. È infine uscito dagli anni ’10, sembra fico, è diverso. Il resto lo fa l’inesorabile scorrere del tempo: se ogni zoomer che si rispetti ha vissuto la sua adolescenza in mezzo ai drop di Skrillex, cosa volete che succeda una volta che quella generazione diventi la più presente online?

Moore è stato furbo. In questo momento internet lo stima, è associato alla Drain Gang, e l’aura nostalgica è potentissima, amplificata dalla piena rivalutazione della brostep portata avanti dalle scene hyperpop e deconstructed club. Ma anche se quei suoni non sono più considerati imbarazzanti, il ritorno di Skrillex si è accompagnato ad una nuova veste musicale, più eclettica, meno rigida. Due anni fa è arrivato a sorpresa Quest for Fire a fare una summa; un disco non eclatante, ma che presenta vette di maturità inaspettate, e persino di qualità (Xena, ad esempio, è davvero una traccia riuscita). Come mandare a puttane tutto questo? Ma pubblicando Don’t Get Too Close il giorno dopo, naturalmente. Una roba informe in cui tutte le direzioni interessanti che Quest for Fire aveva tracciato sono dissolte in un pop rap liquido e scialbo. Skrillex being Skrillex.

E adesso, dopo tutta la pappardella, eccoci finalmente a parlare di F*CK U SKRILLEX YOU THINK UR ANDY WARHOL BUT UR NOT!! <3, pubblicato dal nulla lo scorso primo aprile. In realtà non c’è molto da dire, se non che 1) è probabilmente la roba migliore che Moore abbia mai fatto e 2) questo vuol dire relativamente poco. Il disco è composto a mo’ di dj set, con 36 tracce per 46 minuti che scorrono senza interruzioni. È una formula che funziona: avere tanti frammenti che confluiscono uno dentro l’altro riduce la percezione del materiale filler, e allo stesso tempo tiene alto il ritmo per tutta la durata del lavoro, senza mollare la presa. D’altronde, mantenere l’intensità a livelli sostenuti è necessario a far funzionare queste coordinate musicali, visto che il suono di Skrillex si presenta nuovamente indurito, avendo ibridato pesantemente la consueta trap con la brostep senza troppi rimorsi.

Questo lavoro è poi pieno zeppo di collaborazioni con la qualunque, da Whitearmor a Varg²™, da Dj Smokey a Jónsi (quel Jónsi, avete capito bene), ma è soprattutto colmo di nostalgia, un tema chiaro su cui il producer vuole investire. Una buona parte delle tracce non è infatti altro che un rimaneggiamento di vecchie demo, brani mai rilasciati e rimasti nel cassetto per anni. Tanto fanno anche i campionamenti diffusi nel disco: sebbene non sia raro per Moore richiamare continuamente i suoi lavori precedenti, spesso tramite sample vocali spezzettati e rielaborati, qui dentro l’operazione assume una valenza nuova, da trip down memory lane – ad esempio quando Things I Promised sbatte in faccia all’ascoltatore la parte vocale di Summit (perché conosco queste cose?), o quando Leaving viene riesumata nella coda di Booster. Per contro, questo è uno dei fattori che fanno suonare il tutto meno osé di quanto la gente là fuori voglia fare apparire. Il più importante tra questi riguarda proprio le sonorità: l’EDM dell’album è piena di cose vecchie, legate spesso ad una brostep che, per quanto rifinita e contaminata dalla trap, è comunque da anni ai suoi limiti compositivi e timbrici – e questo nonostante le derive colour bass e di contaminazione future ultimamente riportate all’attenzione, delle quali ad ogni modo qui dentro non c’è tantissimo.

L’altro problema è l’impatto dei pezzi presi singolarmente, visto che con 36 tracce così corte diventa davvero, davvero difficile distinguere i vari brani durante l’ascolto, se non in casi particolarmente eclatanti. Eppure, nonostante le lacune evidenti, ‘sta roba spinge. A voler trovare qualcosa di oggettivamente lodevole, di sicuro bisognerebbe parlare del sound design: Skrillex in questo ha delle qualità indubbie, specialmente nel campo del drum programming (lo snare di Slickman, ad esempio, è indecentemente godurioso). E in fondo anche l’aspetto brostep è comunque più levigato, dietro le quinte si percepisce una visione più di ampio respiro nell’andare a sfiorare qua e là varie branche dell’EDM più lercia, sfociando sul finale anche su un’inedita parentesi dancefloor drum’n’bass. Ma rimane il fatto che la vera ragione della sufficienza che questo disco ci ha strappato sta nella sua parte più viscerale, quella capacità di far muovere la testa divertendo, e occasionalmente incuriosendo, sempre però assicurandosi di non accendere troppo il cervello.

Quello che rimane da chiedersi, alla fine di questo inaspettato excursus, è se un certo grado di tamarraggine, un tempo chiamato “cattivo gusto”, non sia ormai stato così ampiamente normalizzato ed esorcizzato da renderci assuefatti, e in un certo senso più rilassati di fronte ad esso. Sono stati, questi, anni di 100 Gecs, Dorian Electra, PC Music, remix dariacore; roba che ha in parte costruito proprio sulle macerie indistinte dei vari Noisia, Excision, Nero, Knife Party e, soprattutto, Sonny Moore il proprio successo, calcando convintamente sul recupero di una certa cultura del cringe. Nel 2025 nessuno sfotterà più Skrillex perché la sua musica suona come un frullatore, e forse va bene così. Questa è una storia in cui il percorso è più importante della destinazione, e in cui la destinazione, cioè F*CK U SKRILLEX YOU THINK UR ANDY WARHOL BUT UR NOT!! <3, è un album risparmiabile e perlopiù passatista, ma che magari potrebbe divertirvi. A seconda di quanto siete vecchi.

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Lorenzo Dell'Anna
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