GUIDA ALL’ASCOLTO PER BEVITORI D’ACQUA MINERALE

È indubbiamente, instancabilmente, arrivata l’estate. Lo scenario urbano si fa più omogeneo e meno tranquillizzante: il sole picchia dappertutto, le cicale friniscono senza sosta e il cigolio di persiane e serrande caratterizza le prime ore del giorno, quando il sole inizia a filtrare già massacrante dalla prima mattina nelle case di tutti senza distinzioni. La notte è l’unico momento di respiro, quando è possibile infilare i sandali e vestirsi il meno possibile per camminare molto lentamente per il centro della propria città, godendosi quegli spiragli di vento che emergono inaspettatamente da questo o da quel vicolo. Tuttavia, all’improvviso senti la gola leggermente riarsa. Il baretto sotto casa (o il supermercato 24/7 se sei un bastardo senza dignità o un milanese, che poi è più o meno lo stesso), quello con il vecchio scorbutico che potresti giurare sputi dietro il bancone più di quanto non abbia mai parlato, però ha un piccolo banco frigo. Non hai voglia di un gelato: altrimenti saresti in gelateria, chi te lo fa fare di pagare un Cornetto Algida a peso d’oro?

Dai uno sguardo alla sezione bibite: i soliti soft drink, il birrino congelato tentatore… No, no, la Fanta non acquieterà la tua sete, anticristo che non sei altro. Scegli l’acqua. Non fai nemmeno caso alla marca sulla bottiglia, l’unica caratteristica di tuo interesse è sentire i polpastrelli quasi irrigidirsi mentre si avvinghiano attorno alla plastica semitrasparente, quel freddo glaciale che non vedi l’ora di sentirti scivolare sopra la lingua e giù per il palato. Ma, se appena uscito dal locale dopo aver sganciato il proverbiale euro alla cariatide scaracchiante di cui sopra, hai aperto il telefono e hai iniziato a leggere questo pezzo, forse dovresti inforcare le cuffie e lasciarti cullare da questi pezzi a tema acqua che abbiamo scelto appositamente per poterli godere mentre sorseggi l’elemento della vita. Se hai già buttato la bottiglia, puoi sempre riprendere più tardi con questo esperimento, o comprarne un’altra (idratati spesso o molto probabilmente finirai come il vecchio barista, che nel frattempo è collassato sotto il bancone, stremato dal caldo).

I criteri di selezione sono stati molto semplici: abbiamo abbinato ad ogni di marca un determinato mood dopo un’attenta degustazione, e abbiamo cercato di riflettere quel mood con una selezione di canzoni di durata per cui sia possibile ascoltarle mentre si beve una bottiglia d’acqua da mezzo litro, che possono appartenere più o meno allo stesso genere, ovviamente tutte tematicamente sotto l’ombrello del bere (acqua o meno). Niente rimborsi, oramai ve la siete già bevuta.


L’acqua Levissima si distingue fin da subito per la forma della sua bottiglia, che rompe un po’ i vincoli dell’immaginario del prodotto industriale-bottiglia d’acqua: la curva a metà corpo si fa meno accentuata in favore di una figura più simile a una clessidra, che si allarga nei pressi del collo. La sorgente alpina garantisce una durezza dell’acqua di 5,7 gradi francesi, che la rendono leggermente dolce e particolarmente bevibile. Si tratta di un’acqua dritta, quadrata e che, la maggior parte delle volte, racconta quello che vuole dirti fin dal tappo: le grandi, piccole verità di ogni sorso si susseguono regolarmente come il colpo sul rullante delle drum machine dei grandi classici, riempiendo lo stomaco e saziando la sete, esattamente come le parole degli MC mettono a tacere i loro rivali e noi ascoltatori.


La San Benedetto è ovunque. Nei bar, nei supermercati, nella casa dei tuoi nonni, probabilmente sotto forma di qualche discutibile sottomarca come la Guizza. È una scelta che per molti è praticamente obbligata: la sua onnipresenza impone l’acquisto e il trangugiamento immediato. L’acqua all’interno delle bottiglie della linea Benedicta (nome che è tutto un programma, e che utilizza il vistoso tappo di colore rosa chiaro per trasmettere ancor di più un’aura di innocenza da lungo tempo perduta) è molto spesso priva di qualità, almeno per il palato inesperto: in realtà, la qualità quasi vellutata del liquido, scevro da ogni tipo di residuo minerale al gusto, stupisce per la innaturale naturalezza (paradosso niente male!) con cui inonda l’interno della bocca. È lo stesso effetto di un giro di chitarra in un pezzo che più standard non si può che all’improvviso si muove in una direzione inaspettata, o di un piccolo synth che sgorga in sottofondo, da lato, per arricchire l’arazzo di un brano con un arrangiamento complesso. Piccole bolle di gioia all’interno di una composizione essenziale.


L’Italia è il Paese che consuma più acqua frizzante in bottiglia al mondo. Forse il motivo della popolarità di Ferrarelle è proprio questo: voler essere a metà tra il liscio e il gassato, una condizione che molti considererebbero come ignavia ma che invece rivela un desiderio malcelato di scavallare oltre il muro della liscezza senza strabordare nell’euforia delle bollicine. La Ferrarelle è un’acqua magica che vive in questa condizione di alterità quasi taumaturgica: il suo bicchiere è sempre colmo fino all’orlo, ma non straborda mai. Così, la musica che può accompagnarla può essere soltanto quella che si trova a un passo dall’outsider, che si contorce come se fosse epilettica ma che può anche raggomitolarsi singhiozzando su stessa: tutto dipende da quanto la si lasci nel bicchiere.


È un’acqua che facilmente viene snobbata, eclissata dalle grandi concorrenti nelle campagne promozionali o nella distribuzione: ma Norda continua a produrre un florido sottobosco di minerali e gassate che permettono nuove contaminazioni, incroci strani che fanno dubitare se non si sia sul serio già attraversato il limite. Con il simbolo alternato della stella (l’eccellenza) o dell’aquila (la volontà di volare più in alto di tutti, la purezza, l’istinto predatorio?), Norda risponde a toni minacciosi, chitarre metalliche, latrati incessanti: la montagna sulla sua etichetta non è una cima da scalare, è una tomba di ghiaccio purissimo dal quale è impossibile ritornare.


L’etichetta sfarzosa, col giglio e le colline toscane in primo piano, rappresenta di certo la più grossa eccezione alla serie infinita di vette glaciali che vengono mostrate su tutte le altre acque minerali. Acqua Panna ha fatto della propria territorialità un vanto, ma non è certo questo il motivo per cui il suo prodotto è divenuto così famoso: come il pane conterraneo, anche l’acqua di questa azienda filtra all’inverosimile i sali minerali fino a ottenere un gusto che sembra quasi più adatto alla pasticceria che non al pasteggio. Forse si tratta solo di suggestione, ma il terroir di queste bottiglie è rasserenante, luminoso, positivamente piatto: se altre marche possono vantarsi di essere acque che eliminano l’acqua, Acqua Panna è un koan zen, un cerchio perfetto dipinto con una sola pennellata. L’acqua, e la musica che l’accompagna, si eliminano da sole.


Sinceramente, c’è da chiedersi chi sia che, al giorno d’oggi, possa continuare a comprare Uliveto in buona fede. La bottiglia verde scuro, che rimanda a quello della birra, confonde; l’aquila impressa attorno al collo di certo non ricorda l’uccellino delle pubblicità, ma riporta alla mente richiami molto più foschi; la villa toscana nella parte bassa delle etichette, poi, non è evocativa come le colline dell’acqua Panna. Anche nella propria acqua, Uliveto non sa bene cosa sia: la sua effervescenza è molto più tenue di quella di una Ferrarelle, ma il suo sapore è molto più amarognolo e minerale. Si ha quasi l’impressione di aver comprato qualcos’altro, o di aver bevuto acqua andata a male o corretta con qualche agente psicotropo: il fatto che adesso abbiate una certa affinità coi passerotti e che pensiate di riconoscere Del Piero in ogni uomo di mezza età che incrociate per strada non lascia alcun dubbio. È proprio Uliveto quella che state bevendo.


Fin dalla forma, è chiaro che chi beve Evian ha qualcosa di grosso in mente. Non farti intimorire dal fatto che chi stringe una di queste bottigliette nel pugno sia normalmente cappottato nelle back rooms di qualche club durante una serata hardstyle, o che ti si avvicini molestamente offrendoti un sorso o due, prima di scomparire lasciandoti la plastica in mano mentre si sentono le sirene della polizia in lontananza: la Evian è la Evian, e tanto basta per fidarsi e dissetarsi senza dubbio alcuno. Almeno per qualche ora, anche dopo essersi abbeverati, si è a posto con tutto e tutti, e in ogni caso perlomeno non vedi più il borsello fluorescente del tizio, che in questo momento sta venendo scortato fuori dal locale dai carabinieri.


Finalmente la serata è terminata. La passeggiata è giunta al termine: ne hai incontrati, di personaggi incomprensibili in questa piccola scappatella che ti sei concesso durante le poche ore di libertà dall’afa. La casa è buia, le finestre spalancate: anche le cicale sembrano essersi zittite, mentre il rumore di un’auto che si allontana a qualche via di distanza produce un rombo soffice e soffuso che culla le stelle. Prima di metterti a dormire, che tanto domani non hai niente da fare, compi gli ultimi gesti della tua routine quotidiana: svestirsi, lavarsi i denti, mettere il telefono in modalità silenziosa. Hai ancora un po’ di sete, proprio mentre sei a un passo dal letto: strusciando i piedi, arrivi in cucina e tiri fuori un bicchiere dalla credenza. Apri il rubinetto, sicuro dell’orientamento del miscelatore anche se i segni di colore blu e rosso sono svaniti da tempo: vedi il getto riempire il vetro. Giù d’un sorso: è fresca ma non troppo, dura, leggermente calcarea, quasi pastosa. Ma è la tua acqua, l’acqua di tutti, e la bevi con soddisfazione e placidità, come se avesse riottenuto la libertà dalla prigione di acciaio inox del tuo lavandino. Buona l’acqua, sussurri. Poi dormi.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala