MILES OKAZAKI – THISNESS

Pi

2022

Jazz

Nonostante abbiamo speso molte parole in diversi articoli per la Pi Recordings, e quasi sempre di elogio e meraviglia, non abbiamo mai dedicato troppa attenzione alla musica incisa da leader dal chitarrista Miles Okazaki – che pure ormai, con tre full-length a proprio nome pubblicati per l’etichetta e diverse partecipazioni da comprimario, è comunque un nome di rilievo. Non è stata una questione di pigrizia, ma una precisa scelta critica: per quanto mi riguarda, i dischi del suo quartetto Trickster sono tra i capitoli più prescindibili della produzione Pi degli ultimi anni. 

Non che Okazaki sia un mediocre musicista, tutt’altro. È anzi un chitarrista che sta dando un personale e valido contributo all’ampliamento della grammatica dello strumento in un contesto jazz: nel suo vocabolario improvvisativo, ha assimilato la lezione concettuale di artisti provenienti dai mondi più disparati, dalla pitch class set theory di Elliott Carter allo studio del ritmo con Steve Coleman. Rispetto a molti altri illustri colleghi chitarristi contemporanei, come Ben Monder o Nels Cline, Okazaki ha inoltre una spiccata preferenza per il timbro non distorto del proprio strumento, che ne esalta non solo le scelte ritmiche ma anche un gusto ineffabile e obliquo per l’armonia che tradisce l’influenza di Thelonious Monk: non a caso, nel 2018 Okazaki ne aveva omaggiato l’immensa figura sui sei volumi di Work, che rielaboravano le composizioni del pianista americano interpretandole per sola chitarra.

Il suo suono liquido e ammaliante, che ha contribuito a rendere peculiare la musica di gente come Dan Weiss, Amir ElSaffar e Jonathan Finlayson (tra gli altri), sembra però più adatto a definire subliminalmente i dettagli in secondo piano in composizioni già ricche dal punto di vista timbrico, piuttosto che a dominare la scena, specialmente quando gli organici si fanno più ridotti e la gamma di dinamiche più limitata. Il che è esattamente il caso dei Trickster, anche su questo ultimo Thisness: perfino Matt Mitchell, che si è imposto come uno dei più visionari ed eclettici utilizzatori di tastiere e sintetizzatori di varia forma e misura, con i Trickster sfrutta solo il pianoforte acustico. Il problema non è ovviamente la mera adozione di suoni non elettrici o distorti, quanto l’infelice matrimonio tra questi e composizioni invece molto intricate, giocate tra contrappunti cerebrali di chitarra e pianoforte e complessi incastri ritmici, e strutturate in maniera amorfa attraverso libere associazioni di idee e temi. Un ventaglio timbrico tanto ridotto (in questo senso, Okazaki fa un deciso passo indietro rispetto al più riuscito The Sky Below del 2019, che giocava maggiormente con effettistica di vario genere) impedisce di diluire all’ascolto la difficoltà intrinseca della musica di Okazaki, che in questo modo risulta eccezionalmente indecifrabile e ostica. I quattro brani di Thisness appaiono come dedali frustranti in cui l’ascoltatore si trova a errare, anche per dieci minuti, senza una meta precisa, intrappolato in atmosfere che nelle intenzioni degli autori vorrebbero suonare surreali e fantastiche, ma che suonano invece più come un grigio limbo languido e anemico – il che è più o meno il contrario di ciò che succede nelle migliori produzioni Pi Recordings. Peccato. Bella copertina però.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia