BESS OF BEDLAM – DANCE UNTIL THE CRIMES END

Dur et Doux

2022

Art Pop

Dalla scuderia di Dur et Doux, collettivo lionese di musicisti indipendenti alle prese con visioni psichedeliche e nomadi del pop e del rock europeo (forse vi ricorderete il piacevole 1000 dei CHROMB!), quest’anno è partita nel silenzio più assoluto una coppia che dondolava nei pressi del pop francese di basso calibro sin dal 2014, ma che oggi, aiutata dal clima più esotico che si respira in Dur et Doux, ha scelto di lasciarsi andare. Dance Until the Crimes End è un concept album pop-femminista che vanta nel suo albero genealogico gli ascendenti più sofisticati del cantautorato anglosassone: tra le influenze dichiarate appaiono Robert Wyatt, Kate Bush, Joni Mitchell – affatto male. Gli autori di cui parliamo sono i Bess of Bedlam, un duo di polistrumentisti – Fanny L’Héritier e Guillaume Médioni – che si dedica a spargere briciole di sale nelle proprie creazioni con arrangiamenti ovoidali che alternano Hohner e tastiere, chitarre e banjo, vocine e vocioni.

La gola spiccata e spaziale di L’Héritier, chiaramente impegnata a replicare lo stile di Bush, si impone da subito come protagonista di un’avventura ai limiti del microsound, formata su folate di vento falsettato che fluiscono elegantemente tra le betulle timidamente progressive degli arrangiamenti della coppia. Il timbro di L’Héritier si inerpica tra le vette pastello che si abbarbicano su di un versante nord che ha la pastosità di Colleen e su di un fianco sud colorato dai sottovoce degli Stereolab. Ma la cima irraggiungibile di questo ipotetico massiccio vocale è appuntita da un apprendistato che s’affianca più alla Newsom di Autumn che alla Bush di Wuthering Heights. Triangolando le sue mentori L’Héritier si accoccola con naturalezza in un canto equilibrato, che allo stesso tempo ha un che di follettesco e acidulo. I brani di per sé non lasciano sbalorditi: la costruzione, come già detto, è piuttosto micro- e le velleità più luccicose tendono a rientrare nell’orecchiabilità al termine di ognuno dei momenti più centrifughi del disco: per esempio, l’indecisissima The White Sea è un gioiello progressive pop o un frankenstein di idee? Non è dato saperlo, ma queste ingenuità non impediscono a Dance Until the Crimes End di snodare la propria narrativa di capricious pop, anzi. La stratificazione dei microsuoni che i Bess of Bedlam lasciano nella release è vicina in ogni brano a qualcosa di un po’ diverso: Houses on Sand fa una versione perfezionata, slogata e infiorettata di alcuni dei dischi più accettabili della minimal wave; What Can We Wise Women Do nasce con una verve da musical hit e degrada qui e lì in riti strumentali granulari più ardimentosi; la folksong misteriosa di Left the Dream Behind ammicca alla new age mutuata dall’artigianato di Virginia Astley, altra influenza dichiarata dal duo. La manciata di confetti di Dance Until the Crimes End ha un che di tutti-i-gusti-più-uno e quest’evoluzione creatrice magica e giocosa che ho provato a descrivere nelle righe precedenti è abbastanza per correre a raccontarvi un disco che altrimenti non sarebbe mai arrivato alle vostre orecchie – e sarebbe, in ogni caso, un peccato.

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Alessandro Corona M
Alessandro Corona M