CONTAINER BRUTTO

LA PSICHEDELIA DA DISCOUNT DI LIL YACHTY

LIL YACHTY – LET’S START HERE

Concrete

2023

Neo-Psychedelia, Psychedelic Soul

Gli artisti mainstream hanno vita davvero facile: oltre a godere di ogni possibile mezzo per semplificare il processo di composizione, registrazione e produzione di musica di qualità, se un disco non è attivamente ridicolo il pubblico è disposto a chiudere un occhio – tutti e due, spesso – aggrappandosi a qualsiasi barlume di creatività pur di continuare a essere fan. Da quando criticare è passato di moda, poi, un altro fenomeno altrettanto cancerogeno si è affermato nelle bolle musicofile di tutto il mondo. Varie popstar, dopo anni e anni di totale vacuità, hanno iniziato a strizzare l’occhiolino alle community underground, pubblicando progetti vagamente più ambiziosi o comunque con minime devianze dai trend dominanti. Tali progetti, ovviamente, rimangono in larghissima parte vuoti e inutili. Dovrebbero essere accolti con scherno: non perché la buona musica sia chissà quale alchimia imperscrutabile che solo l’underground è in grado di produrre, ma piuttosto perché i compromessi alla base del lavoro di questi artisti sono tali da non lasciar spazio per plasmare in modo significativo la loro espressione artistica, il loro immaginario, e mancano pertanto di libertà. Anche tralasciando tutto il marciume dell’industria musicale, siamo solo umani: se hai vissuto i tuoi anni formativi incensato da tutti per la tua produzione artistica, come fai a rifiutare interamente le sue premesse? Nonostante tutto ciò, tornando a noi, lo scherno è forse l’ultimo sentimento che critici e pubblico riserbano per questo tipo di dischi. Ogni minima stronzata che un produttore decide di infilare dentro gli ultimi album di Carly Rae Jepsen, Beyoncé o Bruno Mars, se non altro per vestire il vuoto di contemporaneità, viene invece accolta come chissà che colpo di genio. 

Il nuovo progetto di Lil Yachty, Let’s Start Here, rientra prevedibilmente nella categoria introdotta in questo preambolo, ma forse si spinge persino oltre. In questo caso abbiamo a che fare con uno dei nomi di punta della trap mainstream: attivo fin dal 2016, è stato subito piazzato tra i Freshmen della popolarissima rivista XXL, che ogni anno tiene d’occhio i potenziali nuovi grandi nomi dell’hip hop da classifica. Dopo una manciata di album e collaborazioni – tutta robaccia – sempre nell’ambito trap, a fine gennaio Yachty decide di uscirsene con un disco completamente diverso dalla sua produzione passata, una sorta di pop psichedelico tinto neanche troppo velatamente di influenze R&B. La copertina è, involontariamente, perfetta sintesi del disco: si tratta di un’immagine generata tramite  intelligenza artificiale, raffigurante un gruppo di imprecisati esponenti politici. Essendo AI-generated, i volti di queste figure sono distorti e innaturali, in bilico tra fotografia e dipinto – anche se un po’ troppo caricaturali per risultare davvero uncanny. L’incredibile analogia con la musica del disco diventa apparente guardando Let’s Start Here per quello che è, ossia un obbrobbrio innaturale senza testa né coda, creato da una mente che non sembra avere alcuna affinità o comprensione dei generi con cui si è cimentata. Nei suoi quasi sessanta minuti di durata il disco propone traccia dopo traccia una serie di idee abbozzate, che vanno a formare non tanto un vero e proprio prodotto artistico, ma più un balocco di cattivo gusto capace di suscitare interesse solo come materiale per farci sopra un paio di meme poco divertenti. Se una persona decidesse di prendere una ventina di canzoni popolari comunemente considerate “psichedeliche”, e le fornisse come base a una IA neanche troppo avanzata dicendo “usa queste influenze per comporre un disco” il risultato non potrebbe essere più spersonalizzante di questo. L’andazzo è palese fin dal primo minuto della prima traccia, dove un ghirigoro di sintetizzatore apre la strada a uno stanchissimo pattern di batteria a supportare qualcosa di definibile solo come una cover da liceo dei Pink Floyd, con tanto di assolo da secondo anno di chitarra. Come se non bastasse, il cantato è talmente brutto da flirtare pesantemente col trash, tanto nella voce di petto quanto nel falsetto. Batterie plasticose, fastidiosi stridii di synth, coretti petulanti: un’ecatombe. In generale, le timbriche del disco sono davvero quanto di peggio hanno da offrire le rispettive influenze: a volte sembrano scimmiottare la psichedelia pulita stile Tame Impala, mentre altre volte paiono tornare indietro nel tempo, prendendo l’R&B dal sapore disco del Michael Jackson di Thriller, torturandolo in un black site americano per quarant’anni e poi liberandolo nella contemporaneità, orrendamente sfigurato. A livello compositivo siamo invece nella completa amatorialità, un bambino che, barcollante, si appoggia a questa o quest’altra struttura musicale senza un vero piano alla base di tutto. La mancanza di autentica evoluzione diventa poi dolorosamente evidente quando ci si concentra sulle tematiche del disco, pregne del solito lussurioso edonismo e solo superficialmente mascherate grazie a una scrittura appena più allucinata. In rari tratti, qualche spunto interessante sembra nascere sottoforma di un pop in realtà più ipnagogico che psichedelico (pRETTy), ma sono momenti isolati che noi sfortunati ascoltatori andiamo poi a scontare amaramente in pezzi come la chiusura REACH THE SUNSHINE, climax demente e noiosissimo. 

Naturalmente, le recensioni del disco spaziano dal cautamente ottimista all’estatico: applaudono il coraggio di Yachty e la sua versatilità, magari ammettendo che sì, qualche ingenuità c’è, ma la freschezza del progetto è tale per cui tali sbavature sono ampiamente perdonabili. Questa linea di pensiero è delirante. Teoricamente parlando, mi fa autenticamente piacere se il trapper di turno inizia ad apprezzare musica distante dalla sua, così come fa piacere se decide di cambiare genere e pubblicare opere che evidenziano la sua crescita o l’apertura dei suoi orizzonti musicali. Il problema sorge però quando la realtà qualitativa di un lavoro viene piegata al servizio di una narrativa ideale: dato che le premesse alla base di un disco sono positive il suo contenuto diventa quasi totalmente irrilevante, e si comincia a fare retorica sul niente. Di conseguenza, quando si parla di grandi nomi la gente finisce per adottare un sistema critico completamente sballato, ed ecco che nessuno sa più distinguere un buon prodotto da una ciofeca. In questi casi, qualcuno deve pur dire: bene Yachty, sono contento che ti sia avventurato fuori dalla tua comfort zone, porcodio che schifo però.

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David Cappuccini
David Cappuccini