JACK WHITE VS. SPIRITUALIZED

PERCHÉ LA GENTE NON SA QUELLO CHE FA? JACK WHITE NON LO SA DI CERTO

Third Man

2022

Blues Rock

Jack White non ha certo bisogno di presentazioni. Anzi: probabilmente è una delle pochissime celebrità musicali che può ancora ricadere in quella figura mitica e anacronistica che è il guitar hero. Dopo una carriera lunga più di un decennio con i White Stripes, White non era di certo rimasto con le mani in mano: questo Fear of the Dawn è infatti il quarto disco pubblicato da solista a partire da Blunderbuss nel 2012 sulla sua etichetta, la Third Man Records. Adesso, è giusto specificarlo: io sono un grande fan dei White Stripes. Mi piace il loro modo di pensare i pezzi nel modo più dritto e caciarone possibile, mi piace il fatto che il loro sound pare essere stato realizzato col budget di un chiosco della limonata, e mi piace il fatto che White sappia riprendere, a dosi alterne, le lezioni dei grandi bluesman che lo hanno ispirato come anche il chitarrismo di figure cronologicamente più vicine a lui (l’uso che fa su Elephant del whammy fa concorrenza a Tom Morello per l’originalità del modo in cui viene vandalizzato). Tutto questo, sfortunatamente, è totalmente sparito da anni: già dal precedente Boarding House Reach del 2018, White aveva dato prova di voler espandere i propri confini musicali oltre il discorso White Stripes, e quel che ne era venuto fuori era un disco indigesto, sgraziato nella sua ricerca di soluzioni raffinate. Fear of the Dawn, purtroppo, segue lo stesso andazzo: ci si ritrova davanti a salti frenetici da un genere all’altro, senza continuità alcuna, passando da quello che sembra essere una riedizione in hi-fi di Get Behind Me Satan a improbabili featuring con Q-Tip, parentesi acustiche, batterie dub, synth a cascata… Soltanto Taking Me Back e Morning, Noon and Night sembrano conservare un minimo di quella scintilla esplosiva che aveva reso i White Stripes il gruppo più hot della propria generazione: il resto del tempo, sembra che White abbia voluto scegliere un approccio per cui basta tirare qualsiasi tipo di idea musicale abbia in mente a un pezzo, talvolta senza nemmeno preoccuparsi della coerenza interna del brano stesso, e vedere cosa ne riesce. Troppo spesso, in Fear of the Dawn, non riesce nulla.

SEPARATORE

LA GENTE SA QUELLO CHE FA? J SPACEMAN NON CAMBIARE PER FAVORE

Fat Possum

2022

Neo-Psychedelia

Nel 2018, gli Spiritualized avevano tirato fuori un dischetto discreto chiamato And Nothing Hurt. Ero contento: non c’era molto di cui potessi parlare, ma avevo piacere a sapere che gli Spiritualized stessero ancora facendo musica come pareva a loro, non importa quanto fuori dal tempo sembrasse. D’altronde, non si può chiedere a una band che sembrava vecchia anche negli anni ’90, quando era all’apice della propria potenza creativa, di reinventare la ruota. Quest’anno è uscito Everything Was Beautiful: non so se debba considerare i due album come un progetto da integrare l’uno nell’altro, ma forse il lettore di Kurt Vonnegut che è in me sta esagerando un po’ troppo. Fatto sta che anche Everything Was Beautiful segue la stessa linea del precedente sforzo a nome Spiritualized: si tratta di musica calda, rilassata, pronta ad avvolgerti in un abbraccio che sa di coperta e tè la mattina dopo una sbronza colossale, ammesso che quel giramento di testa sia solo una sbronza. E il suo più grande pregio è che J Spaceman e soci sembrano essere rimasti fermi nel 1998. Ancora grandi aperture liriche, ancora ripetizioni ipnotiche di frasi a metà tra il britpop e il blues psichedelico: c’è anche spazio per un numero pseudo-country. Ma Everything Was Beautiful scivola con dolcezza, come un miele millefiori preso al supermercato di fiducia: nemmeno la chiusa preoccupata di I’m Coming Home Again (che, ad essere onesti, forse ricorda davvero un po’ troppo Cop Shoot Cop… da Ladies and Gentlemen We’re Floating in Space) riesce a togliermi un sorriso idiota dalla faccia quando lo rimetto su. Gli Spiritualized hanno realizzato che a volte, è meglio sapere fare una cosa sola davvero bene, quando si sa di non sapere nient’altro: e forse è meglio dire la stessa cosa ogni volta, se è così piacevole.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala