BENJAMIN CLEMENTINE – AND I HAVE BEEN

Preserve Artists

2022

Chamber Pop

Quando Benjamin Clementine arrivò per la prima volta alle mie orecchie nel 2014, con vari singoli che poi avrebbero fatto parte del suo disco di debutto At Least for Now, provai istintivamente emozioni contrastanti. C’era la fascinazione per un personaggio sicuramente particolare, con un approccio personale al cantautorato, riferimenti musicali e letterari molto interessanti (Antony and The Johnsons, che non mi piacciono, e William Blake, che adoro) nonché un’abilità vocale incontestabile; c’era però anche un sottile retrogusto amaro, un misto tra fastidio e disorientamento, nato dall’aura di sofisticazione borghese di cui la musica di Clementine sembrava essere circondata. Le sue ballate al pianoforte parlavano di solitudine, incomprensione, ma la produzione e gli arrangiamenti erano talmente puliti e luccicanti da far dubitare che fossero l’autentico veicolo espressivo di un outcast. La domanda che mi ponevo era la seguente: questa contraddizione è una cosciente scelta stilistica oppure il risultato accidentale di frizione con produttori e arrangiatori? Il disco successivo (I Tell a Fly), pubblicato due anni dopo, diede la miglior risposta possibile a tale dilemma, presentando una musica più matura, ancor più particolare eppure solidissima, dove diventa chiaro quanto questo attrito stilistico sia una scelta deliberata, la dimensione naturale dello stesso Clementine. Il pianista si dimostrò dunque capace di adoperare creativamente questa sua naturale awkwardness, dando alla luce brani al contempo misteriosi ed efficaci, ricercati e potenti. Potevo dirmi del tutto soddisfatto. 

Passano cinque anni, Benjamin Clementine si sposa e diventa padre, io perdo per almeno due volte l’occasione di vederlo dal vivo. A fine ottobre esce alla buon’ora il suo terzo album, And I Have Been, e mi trovo inaspettatamente davanti al primo flop in una carriera finora sempre in ascesa. L’intenzione di Benjamin Clementine era probabilmente quella di allontanarsi dalle composizioni più estrose del lavoro precedente, tornando a cercare un dialogo intimo col pianoforte sotto forma di semplici brani da infiorettare poi con inserti d’archi dal forte sapore cameristico. Operazione che, purtroppo, è finita per rivelarsi piuttosto fallimentare. Queste scelte compositive, invece di dare una dimensione più sobria e raffinata alla sua musica, ne sviliscono l’unicità e il dinamismo; in generale, su And I Have Been la palette espressiva di Clementine sembra essersi ristretta, sia a livello strumentale che a livello vocale. Nei pochi momenti in cui il disco si avventura fuori dal seminato, abbozzando leggerissime influenze soul o introducendo una punta di sperimentalismo nell’approccio al materiale sonoro, si ha comunque la sensazione che Benjamin Clementine stia facendo il compitino. Genesis ricalca la Nemesis del primo disco in maniera probabilmente intenzionale, ma non riesce a proporre nessun tipo di aggiornamento; brani come Delighted o Difference sono manifestazioni di una ricerca espressiva più superficiale, con soluzioni vocali meno interessanti, complici anche scelte di registrazione che paiono solo minare la solidità del suo cantato, rendendolo meno vivace. Gli acuti di Clementine non hanno più la dimensione catartica degli album precedenti: si avverte invece una certa stanchezza di fondo, una generalizzata mancanza di ispirazione, come se gli anni passati dall’ultimo progetto avessero tarpato le sue ali. Le tematiche al centro dell’arte di Benjamin Clementine – il vagabondaggio, la perdita, la dolcezza e la tristezza – rimangono il fulcro di molte tracce, ma proprio per questo servirebbe una nuova lente attraverso il quale guardarle. Il disco non è orribile: specialmente quando Clementine gioca con pause e silenzi (Residue, Lovelustreman) o quando riesce a fondere con gusto l’influenza dei compositori impressionisti con la sua idea di pop (Recommence) si percepiscono ancora echi della sua grandezza. Tutto, però, sembra semplicemente una versione meno compiuta di ciò che il musicista londinese aveva inciso in precedenza. Resta solo da sperare che questa non sia l’ultima meta nel suo vagabondare. 

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David Cappuccini
David Cappuccini