CONTAINER BRUTTO

IL NUOVO DISCO DEGLI SWANS È BORIOSO E RIDICOLO

SWANS – THE BEGGAR

Young God

2023

Post-Rock

Per un gruppo di musicisti esperti senza particolari problemi a livello economico, fare musica decente non è poi così difficile. Serve rimanere un minimo al passo coi tempi, almeno sotto qualche aspetto: tra composizione, sound, tecniche di produzione e riferimenti culturali direi che almeno due di questi elementi dovrebbero avere un poco di freschezza, se non si vuole creare qualcosa che puzzi di vecchio. La complessità varia poi da genere a genere: per quanto mi riguarda, fare musica ambient ascoltabile è considerevolmente più fattibile rispetto a, che so, comporre un disco di cantautorato che non suoni banale o ridicolo; per contro creare lavori davvero stupefacenti sarà più difficile, e infatti un gran numero dei miei ascolti ambient mi scivola addosso senza lasciarmi granché. Il post-rock è uno degli altri generi musicali che più rimane impantanato in questa palude espressiva. Apparentemente molto composito, la cura negli arrangiamenti e il conspicuo minutaggio sono spesso soltanto façade dietro alle quali si nasconde una grande pigrizia, un vuoto di cui i fan sembrano magicamente incapaci di accorgersi. Se durante i Noughties i portabandiera di questo modo di fare musica erano gli Explosions in the Sky, nell’ultimo decennio la fiaccola è passata senza ombra di dubbio agli Swans. E che brutta fine per una delle band più rivoluzionarie della musica rock, un gruppo in passato capace di reinventarsi completamente rimanendo sempre creativo e avanguardistico, artefice di un vocabolario musicale e tematico del tutto nuovo. Col passare dei decenni, la musica della band di Michael Gira è passata man mano da composizioni scarnificate a lavori sempre più raffinati, mantenendo un innegabile fil rouge tematico – l’abbandono, il potere, le grandi contrapposizioni di luce e oscurità – ma spaziando nel coniugare questi elementi attraverso una grande varietà di generi, influenze e strumentazione. Questo encomiabile percorso ha retto per quasi trent’anni: da Filth, disco di debutto pubblicato nel 1983, all’uscita di The Seer nel 2012, grande ritorno dopo un mezzo passo falso. In mezzo a questi due estremi, contando progetti solisti, grandi collaborazioni e live album imperdibili, Michael Gira ci ha regalato decine di ore di grande musica. Deve poi aver pensato: ma chi me lo fa fare? Scommetto che il mio pubblico continuerebbe a ingurgitare di tutto. Non riesco a spiegarmi altrimenti la tragica involuzione che ha visto gli Swans assestarsi su un post-rock tanto mastodontico quanto noioso, con dischi che paiono generati proceduralmente da un algoritmo di serie Z. Tutto il know-how accumulato da Gira & soci durante la propria carriera pluridecennale viene adesso asservito alla creazione di una musica che potrebbe andare avanti virtualmente all’infinito, un eterno ritorno di cavalcate strumentali, recitativi, arpeggi e droni atmosferici. Emblematica è la direzione estetica di questi ultimi progetti: copertine gustosamente minimaliste, curate, dal sapore vagamente sovversivo eppure indubbiamente professionale. Gira vuole dire al proprio pubblico: ora sono maturo, ho finalmente acquisito gli strumenti necessari per mettere in musica il mio mondo interiore in modo programmatico e puntuale. Eppure, tutto ciò che sento quando mi tuffo in questi progetti interminabili è solo pigrizia, un piano calcolato per far rimanere impressa all’ascoltatore quella magra manciata di idee interessanti, facendolo invece glissare sul mare di niente nel quale sono immerse. Abbiamo ormai a che fare con dei mestieranti vittime della loro stessa reputazione, dei venditori che usano ogni escamotage a loro disposizione per nascondere un nucleo musicale passatista e sciacquato. Esempio supremo di questa attitudine la grottesca Michael Is Done, in cui Gira si sbrodola addosso tutta una serie di appellativi e grandiosità deliranti che finiscono invece per sottolineare pateticamente quanto caricaturale sia diventata la sua arte e il suo modus operandi. 

Nel parlare di The Beggar potrei scendere nel dettaglio descrivendo ogni pezzo, ma che senso avrebbe? Un buon numero di queste tracce sconfinate consiste in un post-rock scuro talmente anonimo che, nella contemporaneità, potrebbe essere suonato da loro come dagli Einsturzende Neubauten come dai Godspeed You! Black Emperor; c’è poi tutta una serie di aperture sgradevolmente dolci, melassa sonora che, in brani come Ebbing, può finire davvero per ricordare non ironicamente i sopracitati Explosions in the Sky. Come ogni altro elemento del disco, questo alternarsi di luce ed ombra sembra dolorosamente didascalico – The Beggar vorrebbe suonare profondo e stratificato, ma il risultato è quasi comico. Senza alcuna esagerazione, un brano come Paradise Is Mine sarei capace di comporlo io: l’intersecarsi ossessivo di batteria, arpeggi e cori, i recitativi suadenti, il crescendo di fiati, tutto è quanto di più banale e prevedibile si possa immaginare. Conoscendo poi la poetica degli Swans il gioco è fatto – prendi il bianco e il nero, la vita e la morte, l’amaro e il dolce, il desiderio e il disgusto e li unisci insieme usando sempre le solite parole, sempre le solite strutture. Come esempio vi pongo questi quattro estratti: 

Breathe my breath into your head
Righteous, pure and sour with death
Here I am, just empty skin
There is no way out
There is no way in
Crucified in fractured fields of blue
All information is equally true
Feed on me
Feed on me
Feed on me now
Feed on me
Feed on me
Feed on me now

Now we lay in the mud
In the sea, deep beneath
And we wait where we lay
For the light, for the seep
Of a thought, for a touch
For your breath, for your love
To begin, to unfurl
To create a new world
In the gash, in the break
In this place, you animate
Come to us, penetrate
Come to us, animate
Come to us, from the muck

Worming my way into your skull
Housed by your breath
Housed by your breath
Kissed by a vitreous crescent moon
Beneath your eyes
Beneath your eyes
The forgotten longing
The endless black
The sacred silence
The acrid puke
Into you
Into you
Into you

No morе of this
No more of this
No more of this
No more of this
Goodbye lovers
Goodbye friends
Goodbye daughter
Goodbye sons
I pray to heaven that you exist
Within a cloud of healing mist
That permeates your deepest being
That bathes your soul with a light that cleans
And may an ocean of tiny stars
Enfold and hold you wherever you are

Tre di questi sono presi da brani del disco. Uno l’ho scritto io in dieci minuti. 

Ma perché le cose sono andate così storte? Cosa separa un obbrobrio come The Beggar da Soundtracks for the Blind, disco altrettanto composito eppure centomila volte più valido? Per quanto mi riguarda, una possibile spiegazione nasce dal fatto che la raison d’être della visceralità ossessiva di Michael Gira nasceva dal suo perenne stato di misfit, dal senso di straniamento e scomodità che la sua musica riusciva a comunicare. Il manierismo è il peggior nemico di artisti del genere. La raffinatezza di Soundtracks for the Blind nasce anche dalla sottile inverosimilità di sound e campionamenti, dall’imprevedibilità alla base del disco. Al primo ascolto, non è possibile discernere dove la band voglia condurti – c’è un perenne stato di attesa, di eccitazione, di fermento che in questo nuovo disco è del tutto assente. Conoscendo To Be Kind e The Glowing Man, mi ero immaginato tutto The Beggar già prima di iniziare l’ascolto: non ho avuto neanche un momento di sorpresa, eccezion fatta forse per qualche passaggio percussivo di The Beggar Lover (Three), che è però circondato da quarantatré minuti di grigiume orchestrale. A conti fatti, Michael Gira dovrebbe solo accettare la realtà: continuare a produrre tonnellate di musica non ha alcun senso se non ci sono più nuove cose da dire. Dopo una delle carriere più folgoranti della storia della musica moderna, gli Swans sono definitivamente morti.  

This is the way the world ends.
Not with a bang, but an interminable drone. 

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David Cappuccini
David Cappuccini