clipping. – DEAD CHANNEL SKY

Sub Pop

2025

Industrial Hip Hop

7.5

Sono passati più di dieci anni dal debutto dei clipping, ormai affermatisi come uno degli act più interessanti dell’hip hop contemporaneo. Nei quattro dischi che separano Midcity dal nuovo Dead Channel Sky, il trio americano ha coniato un modo assolutamente personale di intendere il genere: al flow a rotta di collo di Daveed Diggs si uniscono basi che, pur perseguendo nuove direzioni ad ogni release, gravitano sempre tra elettronica abrasiva, horrorcore cibernetico e clangori industrial. I testi sono altrettanto particolari, alternando vignette brutali e scabrose a spaccati urbani in cui la delivery si assesta su un eloquente registro recitativo che rimanda alla florida carriera attoriale del frontman. L’approccio lungimirante del gruppo non può certo essere messo in discussione, così come la loro capacità di incorporare la contemporaneità a influenze classiche del genere, generando un sound istantaneamente riconoscibile; ci sono state però certe ingenuità sul fronte estetico e concettuale che hanno sempre impedito ai lavori dei clipping di raggiungere il loro pieno potenziale. In CLPPNG (2014) queste erano dei featuring pop rap che mal si sposavano con le atmosfere rarefatte del resto del disco, mentre nella più recente combo There Existed an Addiction to Blood (2019) / Visions of Bodies Being Burned (2020) si avvertiva una lieve mancanza di profondità nella maniera in cui la morbosità al centro dei due progetti, mutuata dall’hip hop orrorifico scuola Memphis, era messa su disco. Per farla breve, gli album dei clipping sono sempre degni di nota, ma ugualmente sempre privi della solidità necessaria per renderli davvero stratosferici. 

Dead Channel Sky, però, è un disco davvero impressionante. Il gruppo sembra essere finalmente arrivato a una versione completa e tridimensionale della loro proposta musicale, che fa coesistere tutte le idee esplorate in passato dentro a una musica proteiforme e sfaccettata. Sintetizzatori a metà tra il digital hardcore e l’acidità trascinante della prima scena di Detroit si sposano con percussioni ariose sempre in divenire, programmate a volte con angolarità drum’n’bass a volte con semplici boom bap. Anche dal punto di vista timbrico i clipping adoperano una vasta gamma di sfumature, spaziando dalla complessità di campionamenti e arrangiamenti propria del trip hop alla linearità di suoni elettronici super saturati che bruciano tutto lo spettro acustico. A rendere ancora più irresistibili i brani, brevi aperture melodiche vengono inserite a regola d’arte in brani come Code o Dodger: semplici tappeti d’archi o sintetizzatori malinconici addolciscono improvvisamente le cavalcate impietose e le timbriche da rave, colorando efficacemente il disco e fornendo la varietà strutturale di cui la band aveva disperatamente bisogno da sempre. È molto interessante notare come queste piccole aggiunte abbiano un impatto così grande; un progetto già personale e ragionato ottiene un importante tassello mancante, che va non solo ad introdurre elementi nuovi ma permette di valorizzare anche i punti di forza già presenti. Brani come Polaroid dimostrano anche la maturità a livello di scrittura di Daveed Diggs, capace di inanellare immagini di grande effetto inserendole al contempo dentro schemi metrici interessanti e raffinati. 

Nel grande traguardo che è Dead Channel Sky, l’unica cosa a lasciare un po’ l’amaro in bocca resta il sentore di artificiosità che purtroppo risiede al cuore del progetto clipping. Gli scenari urbani e l’impulso mortifero dei loro protagonisti risentono dell’impostazione scelta per descriverli: raffinata nelle strutture narrative che usa, eppure con una marcata componente idiomatica e vernacolare; questa particolare mistura, nel contesto di una componente musicale con elementi anche zarri e festaioli, mina un po’ quell’anima uncanny che rende così efficace l’horrorcore classico. Il materiale può essere magnifico, ma risulta nonostante tutto privo di quella naturalezza propria degli artisti a cui la band si rifà, a quegli MC e beatmaker di Memphis che con due sintetizzatori sfrigolanti e una drum machine, con registrazioni peggiori di quelle dei nostri cellulari, tiravano fuori scenari d’incubo incredibilmente viscerali. Potrà sembrare banale dirlo, ma la loro musica era il risultato della realtà che vivevano ogni giorno; per un afroamericano, il Tennessee degli anni ‘90 era sicuramente molto più vicino a quella tensione costante, a quella sottile linea tra vita e morte di quanto lo possa mai essere Los Angeles nel 2025. Volendo essere cattivi, l’hip hop dei clipping suona irrimediabilmente gentrificato. Questa è però una sensazione che nasce dal mio profondo apprezzamento per le influenze che stanno alla base del progetto: al netto di tale ragionamento, Dead Channel Sky rimane un disco divertente, creativo e lungimirante, migliore espressione di una band che riesce consistentemente a produrre bellissima musica.

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David Cappuccini
David Cappuccini