CONTAINER BRUTTO

GLI ANNI FANNO I GOSPEL PIÙ VECCHI CHE SAGGI

GOSPEL – THE LOSER

Dog Knights

2022

Art rock

I Gospel non sono esattamente una celebrità, nonostante il grosso rispetto di cui godono su internet; eppure, a loro tempo, hanno dato un effettivo e importante contributo alla storia dell’hardcore. Il loro primo, e fino a quest’anno anche unico, album The Moon Is a Dead World è stato uno dei tentativi più creativi e originali di coniugare le propaggini più estreme dello screamo con le tentazioni più astratte e sofisticate mutuate dal progressive rock (in senso lato). Un disco straripante, labirintico ma allo stesso tempo bruciante, che con il suo suono metallico e tentacolare poteva ricordare agilmente tanto gli Envy e gli At the Drive-In quanto i Racebannon e i primissimi Mastodon. Era il 2005, e i Gospel sembravano tra i gruppi più moderni e proiettati al futuro dell’intero panorama hardcore. 

Da allora, la luce dei Gospel è sembrata lampeggiare sempre più fugacemente, e sempre più opaca. Prima c’è stato lo scioglimento nel 2006, a causa di divergenze interne alla band. Poi, nel 2009, è arrivata una reunion estemporanea che nel 2010 era già morta: tutto faceva pensare che i Gospel fossero destinati a essere ricordati come una di quelle one-hit wonder attive per solo una manciata di anni di cui è pieno il mondo hardcore. A partire dal 2018, però, il gruppo sembrava essere tornato definitivamente sulle scene, sempre con la stessa formazione in quartetto; addirittura, dopo diciassette anni ha pure pubblicato un nuovo full-length di inediti – The Loser, uscito questo maggio. Il disco, purtroppo, è una porcheria, e se fossimo stati più attenti avremmo potuto pure prevederlo con largo anticipo: i funesti presagi del disastro sono sempre stati a portata di mano, e semplicemente non li abbiamo colti per tempo. Vincent Roseboom (batterista) che afferma nelle interviste che The Lamb Lies Down on Broadway sia il più grande concept album mai registrato. Adam Dooling (cantante e chitarrista) che dice di non apprezzare troppo la musica moderna, addirittura arrivando a dire che la collezione di dischi della band potrebbe essere quella dei propri genitori e che «Gospel’s sound is the result of four people living under a rock». Dio buono, pure l’esistenza di un brano come The Magic Volume of Dark Matter, mai inciso su disco ma facilmente reperibile online in versione bootleg, già nel 2006 testimoniava un drastico allontanamento dal suono degli Orchid e dei City of Caterpillar per abbracciare con più convinzione quello dei Genesis e dei secondi Pink Floyd. 

SEPARATORE

Tuttavia, al momento del primo ascolto di The Loser tutte queste informazioni mi erano ignote, e per questo l’impatto è stato dei più shockanti. Ai sintetizzatori che su The Moon Is a Dead World donavano tridimensionalità alle atmosfere dei brani viene ora conferito un ruolo melodico predominante – il che, visto anche il timbro retro e cheesy delle varie tastiere che appaiono nell’album, porta la mente immediatamente a Yes ed Electric Light Orchestra, vedasi l’insostenibile intro di Hyper. D’altro canto, il suono delle chitarre e del basso viene completamente dissanguato di tutto il vigore hardcore da una produzione insopportabilmente nitida e luminosa, che probabilmente nelle intenzioni dei Gospel dovrebbe rendere la musica di The Loser più artsy e invece la intrappola nella ragnatela dell’AOR e del neo-prog più obsoleti. È una roba che non fa pensare né a The Moon Is a Dead World né tantomeno alla gloriosa etichetta progressive hardcore che veniva attribuita ai Fucked Up di The Chemistry of Common Life; piuttosto, un riferimento più adatto sarebbe il disastroso Into the Unknown dei Bad Religion, il che la dice lunga su quanto questa trasformazione full prog si sia ritorta contro di loro.  

I pezzi di The Loser si dipanano così tra assoloni di chitarra degni del rock da arena anni Settanta e suonini di tastiera tra i più datati che possiate ascoltare nel 2022, in una catena interconnessa di scelte infelici che rende arduo indicare anche solo un singolo elemento che funzioni nella musica dei Gospel. Pure i pochi momenti nell’album che flirtano con le tecniche e le strategie dell’hardcore (che, ça va sans dire, in questo disco non è nemmeno lontano parente dello screamo dell’esordio) sono così compromessi da questa stramba interpretazione del rock artistoide e adult-oriented da suonare come una parodia senile dei gruppi più eccentrici della scena di San Diego eseguita da gente completamente impasticcata di Mahavishnu Orchestra e Genesis. Ed è forse questo il problema principale del ritorno dei Gospel: The Moon Is a Dead World era un disco adolescenziale nella sua accezione più alta – era urgente, intenso, urlato a squarciagola, vivo. The Loser, invece, non è né adulto né più maturo: è soltanto più vecchio, nell’accezione più triste e sterile che si possa attribuire al termine.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia