CONTAINER BELLO

È DIFFICILE FARE MEGLIO DEI ROOMFUL OF TEETH

ROOMFUL OF TEETH – ROUGH MAGIC

New Amsterdam

2023

Musica corale

Il giro di boa di questo 2023 sembra delineare sempre di più i contorni di una divisione manichea tra i ritorni sulle scene di gruppi e artisti per cui ci eravamo sperticati in profusi applausi, una divisione che come sempre si divide i cocenti delusioni e ritorni esaltanti: in questo momento non abbiamo ancora scritto una recensione per O Monolith degli Squid, ma sappiate che a tutti qui in redazione sono cadute le braccia durante l’ascolto mentre chiedevamo invano “ma perché dovete fare così?”. Per fortuna, i Roomful of Teeth non appartengono a questa schiera e il loro nuovo lavoro discografico, Rough Magic, è da salutare con gioia.

E dire che i presupposti per la classica uscita senza niente da dire c’erano tutti: il loro ultimo EP, Just Constellations, aveva poche aperture interessanti e pensava perlopiù a rimpolpare il repertorio del gruppo, nonostante la solita unicità timbrica dimostrata. Ma una nuova collaborazione con la New Amsterdam, una delle etichette più intriganti da seguire se si vuole tastare con mano lo zeitgeist della musica “colta” del nostro secolo, ha dato vita a questo Rough Magic poco più di un mese fa, e siamo entusiasti di notare come questo disco sia un vero e proprio ritorno alle origini nella maniera in cui i Roomful of Teeth si approcciano al materiale scritto esclusivamente per loro da compositori con cui hanno avuto modo di confrontarsi e collaborare. Fa fin da subito piacere notare che Caroline Shaw abbia di nuovo avuto modo di mettere mano in prima persona alle complesse tessiture vocali del gruppo: queste si intersecano magistralmente nella sua The Isle, dove in cinque movimenti viene decostruita la Tempesta shakespeariana in un gioco di rimandi ed echi eterei sottolineati dalla solita maestria della compositrice. L’unico appunto che si può fare a The Isle è che non raggiunge i (forse inarrivabili) picchi di Partita for 8 Voices, la composizione che aveva definitivamente consacrato i Roomful of Teeth vincendoaddirittura il Pulitzer nel 2013: il suono esplorato da The Isle è più dilatato, più sparso e meno abbacinante della Partita, anche a causa della natura narrativa del materiale d’origine, che deve essere opportunamente combinato con i ritmi della musica.

Se The Isle rimane in un territorio facilmente riconducibile al catalogo precedente dell’ensemble, le altre tre composizioni allargano le potenzialità creative del gruppo in direzioni a volte del tutto inaspettate: si prenda per esempio Psychedelics di William Brittelle, messa in apertura al disco. Qui, il nonetto vocale è accompagnato in sottofondo da un sintetizzatore, suonato da Brittelle stesso, che sostiene con toni reminiscenti del synthpop ottantiano le vertiginose evoluzioni vocali del gruppo. I suoni possono risultare abbastanza kitsch nei primi momenti del brano, ma il risultato finale è spiazzante: la composizione riesce a coniugare perfettamente le dinamiche che un supporto strumentale, misura totalmente inedita all’interno del catalogo dei Roomful of Teeth, offre alle voci e permette di esibirsi in alcune delle estensioni corali più clamorose e potenti che riesca a ricordare nel loro repertorio. Forse proprio grazie all’inserimento di uno strumento così polivalente come il sintetizzatore, gli spazi occupati dal nonetto possono muoversi in libertà verso gli alti o i bassi, come all’inizio del terzo minuto del primo movimento. Le altre due composizioni di Rough Magic, None More Than You di Eve Beglarian e Bits torn from words di Peter S. Shin, riescono nella non semplice impresa di sfruttare al meglio le peculiari caratteristiche del gruppo in maniere inaspettate, ma sempre efficaci. La prima delle due gioca, in maniera simile ai primi lavori di Steve Reich, con l’accumulo del materiale sonoro tramite la ripetizione; ma dove in Reich e nei suoi lavori per nastri come Come Out questa esposizione continua era creata partendo da un singolo frammento preregistrato, in None More Than You viene proposta una affascinante combinazione tra lo sforzo congiunto dei Roomful of Teeth, che ripetono per l’intero brano l’incipit del Vangelo secondo Giovanni pronunciandone soltanto le consonanti, e del Dessoff Choir, che invece fonde a questo marasma di suoni dei versi di Walt Whitman. L’ensemble diviene quindi uno strumento su cui un ulteriore elemento corale può porre le proprie fondamenta e il suo significato di ineguagliato protagonista si sfilaccia, si disintegra: gli otto minuti di None More Than You trasfigurano l’immagine dei Roomful of Teeth affidando loro un ruolo inedito e in cui sono capaci di risplendere in sottigliezze timbriche che rifrangono e accrescono la luce dei temi principali. È un tema comune a tutti i lavori del disco, ma è in Bits torn from words che si assiste probabilmente alla dimostrazione più evidente di questo lento sfaldamento del quid pluralistico del coro: Peter S. Shin è interessato al suono delle parole, e i Roomful of Teeth vengono qui impiegati con un ruolo non dissimile da quello dei cori glassiani di Einstein on the Beach per esplorare la pronuncia ossessiva di poche sillabe senza apparente significato, con vocali che rimbalzano nello spazio sonoro e si alternano in contrappunti atomizzati.

Rough Magic, insomma,è la testimonianza di un modo tutto nuovo con cui i Roomful of Teeth sono stati capaci di affrontare lo scoglio creativo insormontabile del loro primo disco; e nonostante la freschezza esplosiva del loro debutto sia difficilmente replicabile, Rough Magic mostra una capacità inaudita di approcciarsi a materiale estremamente diversificato in maniera coesa e originale. Il nonetto diretto da Brad Wells ha definitivamente stabilito un nuovo standard con cui confrontarsi nella produzione di musica corale: ad oggi, sembra impossibile pensare ad altri artisti dello stesso genere che riescano a superare la loro grandezza.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala