DUSTER – TOGETHER
Rivivere con la mente un bel ricordo, per quanto lontano e irripetibile, può essere lenitivo come una carezza. Cercare di riprodurre forzatamente e fuori contesto le condizioni che l’hanno generato, invece, è semplicemente triste. Le reunion delle band offrono ampio materiale per questa particolare mestizia dell’anima. I Duster, ad esempio, sono un gruppo storicamente circondato da una coltre di affetto che va oltre il semplice giudizio critico delle loro pubblicazioni. Nelle pieghe dell’esordio Stratosphere e in vari episodi tra album successivo ed EP sparsi, sono riusciti ad esprimere un’intensità emotiva tanto più forte perché sensibilmente spontanea: la produzione lo-fi come humus inquieto da cui far emergere melodie, gli effetti delle chitarre con un valore comunicativo immediato, le voci trasognate e lente rendevano perfettamente credibile la psichedelia di un dolce sogno febbrile sospeso tra visioni spaziali. Da quella fusione beata tra musica e immaginario sono passati più di vent’anni, che nel nuovo album dei Duster si sentono tutti. Together è il secondo ad uscire da quando il gruppo ha ripreso l’attività ed è stato accolto da un generale apprezzamento che sa di debito di riconoscenza, trasmettendo l’impressione che la band abbia saputo reinventarsi e mantenersi rilevante. Purtroppo non è così.
La produzione è impeccabile e ultradefinita, uno shock al contrario rispetto alla fuzziness di Stratosphere. Non è certo una colpa, anzi l’iniziale e bella New Directions promette bene: la maggior attenzione al dettaglio sonoro può essere un’arma in più per conferire alla musica dei Duster sfumature nuove, come in questo caso un senso di minaccia caracollante. Per supportare questa sinergia, però, occorre un songwriting efficace che invece latita; altrimenti a risaltare sono soprattutto i difetti. Le melodie che si sentono tra Retrograde, Time Glitch e Teeth sembrano avere ognuna almeno un doppione in scaletta, differenziate dal volume delle chitarre e poco più; le distorsioni, le ritmiche, i rallentamenti tattici sono gli stessi di sempre, tanto familiari quanto consumati, con un senso di stanchezza che aleggia tra i brani. In questo contesto le parti vocali pigre e trascinate non mantengono neanche un grammo del mood di abbandono drogato degli esordi e si assestano su una monotonia inerziale che dissipa l’interesse. Per smuovere un po’ le acque si rinuncia ben presto alla coerenza stilistica che era un marchio di fabbrica dei migliori Duster, cercando di trovare un po’ di varietà nello shoegaze a marchio Ride che riecheggia in N e in quello più rumoroso di Making Room, o nell’episodio post-punk di Familiar Fields. Sono passaggi che consentono di tirare un po’ il fiato rispetto alla formula preponderante di una narcolessia slowcore con distorsioni allo zucchero filato, e probabilmente guadagnano in eccesso dal contrasto. Con questo non si vuol dire che Together sia un brutto ascolto, anzi, di pezzi brutti non ce ne sono. Chi cerca la giusta colonna sonora per le sere di apatia depressiva troverà fazzoletti per le proprie lacrime tra queste melodie carezzevoli e le occasionali screpolature scure. I Duster sanno fare il loro mestiere: semplicemente, bisogna registrare che la loro musica è diventata di mestiere. In più di un’occasione, Together non suona come il prodotto di una band che ha alle spalle grande esperienza e una visione originale, bensì come un gruppo derivativo che può permettersi un buono studio di registrazione e vuole fare le cose per bene. E quindi è triste, non per le giuste ragioni.