DI MUSICA, MORTE E D’ALTRE SCIOCCHEZZE: LA TOCCATA DI PETRASSI

In cover, dettaglio da Piazza d’Italia, De Chirico. L’articolo è di Edoardo Saulino.

Statue, echi e sentieri per insonnie da quattro soldi

Una domanda che mi pongo spesso è in base a cosa, fra tutti i valori umani e riferimenti culturali che apprendo, io costruisca ciò che chiamo coscienza. Quello di cui sono certo è di subire una fascinazione da ciò che sta in bilico tra due mondi, da tutto quello che rappresenta un ponte tra due elementi. E’ il caso di Filemazio di Guccini, degli ultimi quartetti d’archi di Beethoven o della nascita di Mosca sotto il Khanato dell’Orda d’oro: considero straordinario quando elementi di rottura e rivoluzionari poggiano su fondamenta passate e nonostante questo entrambe le nature di questi soggetti siano visibili a chi osserva. Goffredo Petrassi rappresenta questo concetto: figlio dei primitivi delle fiandre e della campagna laziale, della tastiera di Frescobaldi e della terza scuola di Vienna, è un compositore raramente citato per fama ma di diritto tra i più brillanti ed importanti autori della scuola Neoclassica Italiana.

Nato il 16 luglio del 1904 a Zagarolo (RO), si trasferisce piccolissimo (1911) nella capitale, divenendo “fanciullo cantore” della schola di San Salvatore in Lauro. Ricevette un’educazione musicale più adatta ad un cantore Fiammingo del ‘500 che ad un musicista Neoclassico ed avanguardista: difatti, le schole cantorum ebbero origine verso la fine del IV sec. e particolare sviluppo con l’opera di papa Gregorio Magno (590-604) con lo scopo di istruire i cantori ecclesiastici ad una corretta interpretazione del canto gregoriano e melismatico. Furono da modello nei secoli per le successive analoghe istituzioni fondate in cattedrali e abbazie di ogni paese, e ancora dopo denominazione di tutte quelle associazioni o scuole che si dedicavano allo studio della tradizione musicale ecclesiastica.

È cosa quindi a prima vista molto strana che un tale destrutturatore della tonalità, rappresentante e grande innovatore delle avanguardie musicali italiane, nasca tra i perfetti equilibri modali dei mottetti di Palestrina e Dufay. Se da un lato la sua arte si scopriva tra gli absidi ed i mottetti della scuola fiamminga, l’uomo cresceva in cultura e sviluppo nell’Italia di Busoni, Casella, i grandi rappresentanti del Neoclassicismo Italiano. Ammesso come organista e compositore nel 1928 al conservatorio di Santa Cecilia, iniziò già da studente a sviluppare una produzione artistica di immediato successo ed identità autoriale: Partita per orchestra (1932), la sua prima opera scritta negli anni di conservatorio, ricevette il plauso di critica e pubblico, risaltando come l’opera di un compositore finito e non di uno studente ancora al suo esordio.

Il brano di cui oggi vi voglio parlare, la Toccata (1933), nonostante sia uno dei lavori giovanili ha in sé tutta la forza espressiva e un artista capace di tenere il piede in molteplici scarpe, dalla musica modale e polifonica del 1500, alla tastiera organistica di Frescobaldi fino al testimone distruttivo della tonalità di Schoenberg.

Petrassi e Carter nell’83

Il brano è polifonico e contrappuntistico, la proposta del soggetto è fin da subito chiarita nel modo in cui il compositore indica l’andamento espressivo: adagio contemplativo. Esso richiama subito la dimensione da ricercare nell’esecuzione del brano, e fa da nartece alla grande costruzione architettonica che si costruirà battuta dopo battuta tra le righe del pentagramma. Il soggetto è presentato nelle prime due battute con un tema musicale rarefatto, intimista, una figurazione ritmica semplice che proietta l’ascoltatore in un soliloquio notturno e onirico. Come è caratteristico della toccata o ricercare barocco, enunciato il soggetto si ha una seconda voce musicale che esprime a battuta 3 la “risposta al soggetto”, ripetendo quello che precedentemente ha dato inizio al brano. Si palesa fin dai primi momenti una delle principali forze evocative dell’opera, il contrasto tra la natura atonale del brano e la struttura della forma barocca. Camminando nel solco della tradizione organistica di Frescobaldi, Bach ed altri innumerevoli autori, Petrassi però ne abbandona la gerarchia della tonalità indirizzando la sua arte compositiva verso una nuova tensione musicale, non legata ai meccanismi di tonica e dominante (i perni su cui si basa il sistema musicale dal barocco fino alla distruzione di Schoenberg) ma alla costruzione di sonorità nuove, irrazionali perché prive di una teoria armonica, ma perfettamente logiche nella rigida struttura matematica che gli dà fondamenta. Unico punto fermo del brano, che ricorre ed emerge con grandissimo impeto patetico ed evocativo, è il soggetto enunciato nelle prime battute: intorno a questa ripetizione ciclica, continua, si costruisce una toccata di risonanze  grandiose, le cui ottave sforzate alla mano sinistra proiettano echi gravi e reboanti. L’immaginazione porta a collegare gli aspetti più intimisti e onirici del tema al suono ambientale di un paesaggio della pittura metafisica, alle figure solitarie dei quadri di De Chirico o, per i più dotti, alla copertina di Ico.

Le muse inquietanti, dettaglio

Ma non emergono soltanto solennità e templi arcaici di dimensioni sconosciute. Da battuta 18 in poi l’opera si arricchisce di un carattere brillante e intenso, usando con foga scale di ottave e virtuosismi di notevole complessità, ricordando nel suo dinamismo le omonime di Casella e Prokofiev: poco dopo la metà del brano con l’inizio del presto, in particolare, si avverte come il lirismo espresso nelle prime pagine venga abbandonato per riportare il pianoforte, alla sua origine di natura percussiva. D’altra parte, come Bartók ci ricorda con l’allegro barbaro, il pianoforte è un tamburo con tante corde. Come uno strumento tanto rude possa esprimere tanti affetti, è un mistero al quale non so rispondere adesso e non saprò rispondere mai. Ma andiamo avanti.

Altro elemento significativo è il ponte che dal più presto conduce all’adagio. Il brano raggiunge l’apice della sua intensità sonora, dalla quarta battuta del più presto compare un ostinato alla destra che replica la propria cellula musicale per sette battute, aumentando ad ogni ripetizione il vigore e la velocità esecutiva mentre alla sinistra il soggetto del brano viene ripetuto, sputato, snaturato in una deformazione rabbiosa che sfocerà in virtuosismi sonori sempre più accesi  che tracimano in ogni dove per la tastiera. La foce di questo fiume vorticoso di note, dissonanze e risonanze, esonda nel raggiungimento pieno della mutazione del tema originale, in una serie di quadriadi (accordi di 4 note) sforzate, una per ciascuna delle sei battute; l’autore stesso indica di usare il pedale di risonanza per tutti gli accordi, creando così il punto più sonoro e distorto di tutta la composizione. Da qui ecco che inizia il momento più affascinante del brano. Dopo una ripresa iniziale del presto, la toccata gradualmente ritorna ai lirismi delle prime pagine, fino a giungere ad un vero e proprio ponte modulare ritmico: non potendo avere una modulazione tonale in un impianto atonale, il ritorno alla dimensione originale è ottenuto con un progressivo diminuire dell’intensità sonora, sempre più spoglia, misteriosa, indotta a tornare all’adagio contemplativo iniziale. Il tessuto musicale si spiega in un lento dove le immagini metafisiche, insondabili tornano all’ascoltatore in tutta la loro forza espressiva.

Gli attimi finali del brano, come echi di un’altra terra, ripropongono per un’ultima volta il soggetto iniziale, ma in forma totalmente diversa: si conclude con un accenno di tonalità, lasciando brillare in tutta la sua meraviglia una settima di quarta specie. Quasi come se l’opera, infine, avesse raggiunto la percezione di sé. Immediatamente distrutta da un ultimo accordo atonale. 

Suonare ed ascoltare la toccata di Petrassi è un’esperienza personale: è legittimo non piaccia e non sia compresa, viviamo in un mondo tonale ed il nostro orecchio non ha l’abitudine per percepire immediatamente le sensazioni che ho cercato di condividere in questo articolo. Se però ci diamo la possibilità di comprendere i suoi silenzi, gli echi che rimbalzano tra le statue e le colonne di templi metafisici, scopriremo una nuova forma di classicità, granitica quanto le meraviglie di Beethoven e gli imperi futuristici di Asimov.

SEPARATORE
Rudimenti storici sul genere della toccata

La toccata barocca ha le sue origini nell’Italia settentrionale del tardo XVI secolo. Facilmente confondibile con le varie forme del preludio e del ricercare (antenato della fuga), essa consisteva in un brano tastieristico di breve estensione, in stile accordale ed impreziosito con note di passaggio e abbellimenti. Conseguiva quindi in brani di grande libertà improvvisativa, struttura libera e carattere fantasioso. Con Frescobaldi assume maggiore ampiezza e varietà di struttura, uno spiccato virtuosismo e procedimenti imitativi propri del ricercare contrappuntistico.

Il brano
Fonti

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Livore Redazione
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