EVEREST MAGMA – ALTO//PIANO

Maple Death

2022

Psychedelic Folk

Quando l’ho messo su, Alto//Piano sembrava promettere molto. Ho avuto modo di mostrare a più riprese la fiducia impossibile che voglio conferire a prodotti che so per certo mi deluderanno solo perché etichettati come “psichedelici”. Chiamatemi romantico, ma c’è qualcosa in tutta quell’estetica a metà tra l’alieno e il pastorale che intercorre tra i viaggi interstellari del Syd Barrett solista e gli sgangherati praticelli inglesi della Incredible String Band. Perciò, ad Alto//Piano volevo dare ancora più fiducia, visto che sembrava muoversi, almeno per quello che dichiara il presskit, su quegli stessi identici binari che mi mandano in brodo di giuggiole. E non c’è che dire, Everest Magma di sicuro ci riesce: le atmosfere del disco ondeggiano in continuazione tra ruminazioni delicate di chitarra acustica che ricordano molto il Claudio Rocchi di Volo Magico No. 1. Ma dove Rocchi inseriva una venatura in odor di prog nelle parti vocali e negli arrangiamenti, Everest Magma concentra il suo sound in accumuli aleatori di elettroniche farfuglianti e campanacci che riportano alla mente i primi sforzi di Alfio Antico senza però sconfinare oltre quella soglia di freak-ismo che serve a rendere il prodotto favolistico e potabile, nonostante la sua stramberia.

La Maple Death ha quindi fatto centro un’altra volta, consegnandoci un altro dei migliori dischi italiani dell’anno? Nì. Il problema con Alto//Piano è una indefinibile, inafferrabile sensazione di déjà écouté perenne, che lascia trasparire solamente pochi momenti veramente brillanti. Un istante su tutti: la beatitudine ambient in coda a Lascia, che mi ha, come da titolo, lasciato a bocca aperta per qualche secondo mentre pedalavo verso l’ufficio; è una meravigliosa deviazione che non ti aspetti, e che nonostante segua concettualmente il corso serafico del fiume tranquillo e già segnato che è Alto//Piano riesce a staccarsi in maniera evidente e gloriosa dalle acque sicure che costituiscono gli altri brani. Sarebbe stato anche un bellissimo modo di chiudere il disco; e invece c’è di mezzo Settedodici, che è un brano insipido e che riporta a terra l’ascoltatore proprio ora che aveva assaggiato una boccata di aria fresca. La palude sotto i piedi è percepibile: Everest Magma non affonda, vista l’aridità del panorama italiano nella sua nicchia, ma vogliamo essere speranzosi nel credere che questo non sia il meglio che ha da offrirci.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala