JUANA AGUIRRE – ANÓNIMO

n/a

2025

Folktronica, Art Pop

7.5

In musica, la scelta di muoversi su determinate coordinate stilistiche si accompagna necessariamente a una sfida: bilanciare ogni eventuale sperimentazione (timbrica, armonica, strutturale…) con l’impatto immediato del brano sull’ascoltatore. Parlo di quella peculiare qualità che rende possibile ricordare determinati motivetti o melodie anche solo dopo un paio di ascolti, quel non so che per il quale flotte di produttori discografici pagherebbero (e pagano) senza esitazione. Possiamo ricordarci di Lucy in the Sky with Diamonds per lo spettrale tambura che striscia nascosto nell’ombra delle strofe, per l’alternanza tra il tempo in 3/4 di queste ultime e il 4/4 del ritornello, per il testo psichedelico e ricco di immagini evocative; o possiamo invece ricordarcene proprio per quell’inequivocabile melodia che immediatamente si fa viva nella testa ad una prima lettura del titolo, cosa che solitamente avviene per (quasi) tutti.

Come già detto, questo principio si applica qualora ci si muova su determinate coordinate stilistiche, e un genere come il pop, art, hyper o avant che sia, non può sottrarsene. Se strafai, finisci come le ultime, pesantissime, fesserie di Björk. Se ci dai giù con lo zucchero, diventi uno di quei prodotti che noi snobbiamo e che i poptimist eleggeranno a disco dell’anno. Juana Aguirre si muove nel mezzo.

La cantante argentina è un volto relativamente nuovo per la critica. Quattro anni fa, il disco d’esordio Claroscuro era passato in sordina nonostante le idee interessanti espresse; anónimo, al contrario, è riuscito ad incontrare una risonanza più netta, e ci sentiamo di dire meritata. I dieci brani di questo lavoro si articolano in un impasto sonoro a metà tra una folktronica ambiziosa e una sensibilità pop spiccata – sensibilità che separa Aguirre da una sua connazionale omonima e ben più famosa: Juana Molina. È inevitabile che il paragone tra le due artiste venga alla mente, visto che entrambe sembrano a loro agio nel rovesciare le strutture e le timbriche del folk, contaminandolo con le influenze più disparate. La musica di Aguirre non è però toccata da questo pesante ascendente e anzi, si presenta fantasiosa e personale, pur spingendo maggiormente sulla componente pop. 

Nei ventotto minuti di anónimo, il colore degli arrangiamenti si incastra efficacemente con le melodie, punto forte del disco e responsabili quasi sempre della riconoscibilità delle tracce al suo interno. Tutti i brani possiedono infatti un carattere specifico, pur poggiando su una base comune che partendo da un folk destrutturato, a volte puntinista, innesta su di esso frizzantezza elettronica e imprevedibilità percussiva. La voce di Aguirre fa da collante alle varie anime del lavoro, siano esse quella sperimentale di las mañanas e automático, quella pop di la noche e lo_divino o quella folk di VOLVIERON e TORMENTA. Una produzione eccellente, cesellata ma sporca laddove serve, è poi la ciliegina sulla torta per un album variopinto che non ha paura di esplorare territori ambigui, sia timbricamente che armonicamente. Alcune volte il risultato è la genesi di veri e propri earworm, linee melodiche capaci di rimanere nella testa per giorni senza un motivo (la noche è stata la colonna sonora di molti miei mal di testa estivi). Scendendo invece nei dettagli, risulta ammirevole il castello timbrico costruito dai pezzi che più si permettono di osare. automático, su tutti, sembra offrire qualcosa di nuovo dietro ogni angolo, pur durando appena meno di tre minuti: il senso di disagio della strofa interrotto improvvisamente da una zurna sintetica, il basso discendente e dissonante, le percussioni impazzite. E infine tutto si accumula per poi annullarsi all’improvviso, come un giocattolo che smette di funzionare. “Todas mis cosas se rompen”.

La breve durata è però, per anónimo, croce e delizia. Da un lato aiuta a digerirlo facilmente, permettendo un ascolto dove ogni traccia tira con sé la successiva come una ciliegia; dall’altro porta a galla il leggero rimpianto insito nell’impressione di aver contemplato dei boccioli, funzionali sì a creare una pianta intera, ma difficilmente isolabili da essa. Non aiuta che i brani meno ispirati arrivino verso il finale, specificatamente dopo lo_divino. Il calo della presa sull’ascoltatore risulta evidente, le melodie si fanno più stanche, e non si può ignorare che alcune tracce avrebbero potuto (e meritato) un’attenzione maggiore in fase di composizione; è il caso della già citata TORMENTA, ma anche di los pilares e las ramas. In quest’ultima, ad esempio, un delizioso pianoforte liquido e armonicamente instabile ricorda i Radiohead di A Moon Shaped Pool nel modo migliore possibile, ma non basta da solo a restituire un’idea di compiutezza, perché tutto finisce troppo presto e senza un’adeguata direzione. Si ragiona per frammenti, salta ugualmente all’occhio la bellezza dei fraseggi e degli arrangiamenti, ma nessuno di questi riesce a sedimentarsi nella mente come accadeva all’inizio dell’ascolto.

Problemi, questi, comunque ridimensionabili su larga scala a piccole macchie che non riescono a sporcare indelebilmente la solidità di anónimo. Juana Aguirre ci ha stupito, e pensiamo che possa stupire anche voi, o quanto meno interessare. A questo punto, rimaniamo sintonizzati sul prossimo disco dell’artista argentina sperando che la sua tavolozza di colori non sbiadisca, appiattendosi su quel pop che ultimamente piace tanto in giro. Le premesse, se non altro, ci fanno ben sperare.

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Lorenzo Dell'Anna
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