HUREMIC – SEEKING DARKNESS

Esattamente questa frase, ma “Sign me the fuck up” si riferisce all’iscrivermi ai terroristi.
Questo è il livello di stima artistica che ho di Parannoul. È dai tempi di To See the Next Part of the Dream che l’unico sentimento che lo shoegazer sudcoreano è stato capace di farmi provare è un profondissimo tedio ai frutti di bosco, tanto da rappresentare per me uno dei nomi da evitare a tutti i costi nel roll dei dischi dell’anno che corre.
E infatti il bomber è riuscito ad arrivare alle mie orecchie questa primavera nascondendosi dietro allo pseudonimo di Huremic e presentando un Seeking Darkness che, a prescindere da ogni pregiudizio, ha smosso molte delle coscienze della redazione. Non solo, oltre ad attirare le varie simpatie, nel tempo, è riuscito a sfondare nel mio personale canone dell’anno. Per questo motivo sento forte il bisogno di spendere un paio di parole sul disco anche a distanza di mesi.
La principale causa di questo shift nel nostro giudizio deriva, banalmente, dal cambio secco di genere musicale e idee che il musicista ha operato passando a quest’ultimo moniker (un cambio di rotta ben più drastico dei passaggi a nome Mydreamfever e laststar). In nuce, le cinque sezioni di Seeking Darkness disegnano un rock psichedelico grezzo e con la giusta dose di darkness, una miscela che una maggioranza completamente cotta associa ai nuovi Swans, ma che in realtà si aggira nelle zone più stronze della psichedelia degli anni ‘70 e ‘90 del secolo scorso. L’uso spregiudicato di linee compatte di walking bass e di assoli gracidanti ricorda i primi Ash Ra Tempel, i rullanti in fibrillazione sanno dell’heavy psych dei German Oak; lo strepitare di chitarra che si fa eterea è delle zone delle jam di Well Oiled e Bufo Alvarius; quell’abbraccio alla vaghezza che costituisce la cifra sperimentale/post-punk fa tanto Doldrums/SubArachnoid Space. A sfumare il tutto, com’è giusto che sia, Huremic propone il suo cantato più tormentoso ed emotivo, declinazione est-asiatica della psichedelia elettrica – Fishmans in testa.
Il disco, forte di tutte queste eco, funziona di cristo e la sua spinta è comunque molto contemporanea, lontano da questi oldies di cui riesce a farsi carico (o, più probabilmente, che reinventa a partire dai suoi punti di riferimento più recenti). I fan di Parannoul sanno che stanno ascoltando un disco del loro artista preferito e tanto basti; gli altri hanno molto di più su cui ragionare e farsi un’idea. Io sono partito da questa costellazione di vecchie glorie per darmi una spiegazione di come i crescendo di Huremic, così come i suoi momenti di angosciante apnea, siano molto di più di ciò che sembra. Questo mischione di produzione cavernosa, strumentazione graffiante, spiegato sentimento è, in realtà, un fantastico avamposto per un post-rock che non ha paura né di fare economia con il minutaggio né di concertare attorno a delle colonne ben chiare di musica analogica, per certi versi vintage, che in un contesto così caotico come quello della musica contemporanea possono fare da perno tematico e lasciare che il fuoco si sviluppi su di un rovo ben preciso invece che disperdersi.
Ancora meglio: questo era Parannoul. Ovviamente molti degli artisti più conosciuti di questo periodo – anche e soprattutto quelli che non ci piacciono – hanno un capitale di talento ed energie che nelle giuste condizioni porta a far uscire un Seeking Darkness, e a cambiare le carte in tavola. Non conosco le intenzioni del sudcoreano, ma di fatto avrebbe potuto far uscire un dischetto di merda dei suoi e raggiungere più o meno gli stessi risultati. Questo porta ad una domanda, con cui mi sento di chiudere il pezzo: quanta bella, possibile musica c’è, là fuori, nascosta dietro alla paura di assumersi dei rischi?





