MOTHERHOOD – THUNDER PERFECT MIND
Il primo mese dell’anno è tipicamente quello dove la ricerca di musica veramente bella o interessante è più complicato, ripieno com’è di furboni che decidono di pubblicare improbabili dischi enormi e di industry plants che hanno pescato la pagliuzza corta e fanno uscire il loro nuovo album per tenere il calendario editoriale della label il più pieno possibile. Tutto questo in un momento in cui nessuno o quasi ha voglia di sentire canzoni nuove. Fortunatamente, in mezzo a questo orripilante mischione, spunta fuori quasi sempre una roba nuova, fresca e inaspettata e che manco sapevi esistere fino a quando non hai messo su il disco: l’anno scorso abbiamo trovato quello che è a tutti gli effetti il nostro AOTY in questo modo.
Ora, i Motherhood probabilmente non finiranno nemmeno nel nostro classico listone di dicembre, ma è innegabile che Thunder Perfect Mind sia di gran lunga l’album che mi sono ritrovato più volte ad ascoltare all’inizio di questo infernale 2025. Questo perché il trio canadese, oramai al quinto full-length, ha il coraggio di prendere poche, buone idee e svilupparle al meglio delle proprie capacità all’interno di un vago concept album a tinte sci-fi su un uomo rapito da una nube nera in continua espansione; ovviamente, del concept non si capisce nulla e in sostanza non ce ne frega niente, ma questo non dovrebbe fermarci dall’apprezzare la musica all’interno del disco. Le dieci canzoni di Thunder Perfect Mind pescano a piene mani da un alt-rock novantiano con chitarre imbottite di fuzz che si muovono a zig-zag su uno sfondo minimale di basso e batteria, aggiungendo di volta in volta una variazione sul tema che sorprende e fa annuire divertiti.
Ad esempio, il cowpunk con cui si apre Bok Globule inciampa su se stesso, rallenta fino a far assomigliare il proprio riffing a una roba uscita dai Torche e riaccelera in coda per chiudersi in un lampo. Wandering utilizza armonie vocali di chiaro stampo beatlesiano e viene impreziosito dal suono delle tastiere che donano un tanto vistoso quanto delizioso effetto retro-pop. Devo ammettere che, però, è stato lo swing traballante di Grow High ad avermi conquistato: c’è qualcosa nel puntinismo secco della chitarra che mi riporta alla mente la OST di LittleBigPlanet, e l’interiezione zombificata di Surfin’ USA dei Beach Boys è un piccolo colpo di genio che spezza completamente la tensione, prima di scaricare uno schiaffo hardcore punk in odor di Bad Brains con Grow Higher. Certo, a leggere un tale carico di generi e influenze chiunque potrebbe temere che il disco crolli sotto il peso di una creatività così multiforme: ma i Motherhood riescono a sorreggere questo bizzarro jenga di affinità in maniera coerente grazie a soluzioni timbriche e compositive che non suonano mai estremamente distanti l’una dall’altra, creando omogeneità dove altri mostrerebbero soltanto la propria abilità nel songwriting di generi diversi. Questa destrezza è tale che i due paletti che delimitano la scarsa mezz’ora dell’album, ovvero lo pseudo-blues di Flood II, che ricorda i Jon Spencer Blues Explosion più riusciti, e il chiaro omaggio morriconiano di Kyle Hangs at Noon, sono probabilmente i numeri più standardizzati – e meno intriganti – di un lavoro che si interrompe continuamente per mostrare un’altra, nuova faccia dello stile poliedrico della band.
Thunder Perfect Mind riesce nel proprio intento, insomma, nel momento in cui trova le vie di fuga dal sentiero battuto: siano esse martellate al limite dello sludge, battiti post-punk scheletrici o ariosi giri di chitarra che culminano in freak-out psichedelici. Tutto questo appare ancora più miracoloso dal momento in cui i Motherhood non suonano mai prolissi o incapaci di mantenere un filo coerente all’interno del album; l’impostazione fondamentale da power trio àncora solidamente ogni momento dell’album al terreno, impedendo fughe eccessive dalla forma-canzone che suonerebbero pretenziose in un contesto simile. In definitiva, Thunder Perfect Mind è un disco che suona nuovo senza inventarsi niente di straordinario o rivoluzionario. L’idea vincente dei Motherhood è quella di cambiare le carte in tavola appena quanto basta: il risultato è una menzione d’onore da applaudire con piacere, aspettando quello che il resto dell’anno potrà offrirci.