BLAWAN – SICKELIXIR
Fin dal suo debutto nei primi anni del decennio scorso, Jamie Roberts ha sempre rifuggito qualsiasi etichetta. Perennemente a cavallo tra le ritmiche convolute dell’UK bass e gli assalti frontali della techno più scarnificata, sotto il moniker Blawan il musicista inglese si è aperto la strada a colpi di piccone, avendo chiari in mente i panorami da evocare e le sonorità che avrebbe utilizzato per farlo: un’elettronica acida e industriale, in cui colore e melodia sono messi al rogo per far ardere quanto più vivacemente possibile la componente ritmica. Per la varietà di stili adottata già dai primi singoli, e per come vengono evitate sistematicamente risoluzioni musicali immediate e attention-grabbers, sembra palese che Blawan fosse inizialmente intenzionato a condurre l’esistenza quasi ascetica del producer underground, il musicista per gli addetti ai lavori sempre sul filo dell’avanguardia. Eppure, forse suo malgrado, risulta altrettanto lampante quanto le atmosfere che costruisce siano compatibili con quel clubbing un po’ nichilista che ha sempre definito la scena europea, a Londra come a Berlino: era pertanto quasi ineluttabile che un singolo di Roberts, specie se un filo più approcciabile e tamarro, avrebbe fatto il botto, rendendolo grosso in circoli in cui non avrebbe voluto esserlo. Fu questo il caso di Why They Hide Their Bodies Under My Garage?, banger techno dominata da un campionamento dei Fugees pubblicata nel 2012. L’attenzione mediatica, un nuovo bacino di ascoltatori non proprio in linea col suo ethos artistico e un remix molesto di Skrillex spinsero Roberts a un momentaneo ritiro dalle scene, a un esodo da Londra a Berlino, e all’abbandono dell’immediatezza di Ableton in favore della complessità dei rig modulari che dominano il primo LP, Wet Will Always Dry. Come da titolo, in questo progetto Blawan asciuga significativamente la sua palette timbrica, optando per sonorità più levigate, meno mordaci. Perfino la vita da prescelto in un hub di produzione al Funkhaus può tuttavia stancare, e l’inizio del nuovo millennio vede Jamie Roberts sperimentare anche al di fuori del genere come metà dei Persher, un duo doom metal, insieme a un altro producer britannico, Pariah – sodalizio peraltro già rodato con la pubblicazione nel 2019 di un riuscitissimo LP sotto il moniker Karenn, Grapefruit Regret.
Con poco meno di vent’anni di esperienza in saccoccia e assoluta competenza tanto nella creazione di musica in studio quanto in the box, Jamie Roberts tira fuori SickElixir, suo secondo full-length come Blawan, segnando un ritorno alle origini almeno in termini di modus operandi (quasi tutto il disco è stato fatto su Ableton), ma spremendo ogni goccia di ispirazione dalle lezioni imparate lungo la strada, e facendole coalescere in quaranta minuti di elettronica densissima. In questo nuovo progetto torna di prepotenza l’abrasività timbrica in parte sacrificata nel disco precedente, un’elettronica dove sonorità metalliche industrial vengono erose da un rumorismo cibernetico fatto di campioni di voce manipolata e sintetizzatori spanati. SickElixir si distingue innanzitutto per l’elaboratissimo l’interplay tra componente ritmica e arrangiamenti, una compenetrazione in continuo mutamento grazie a un bacino timbrico immenso; plug-in compaiono per pochi secondi e vengono immediatamente distorti, i beat si rompono dopo una manciata di battute, degenerando gradualmente nei minimi termini di un semplice quattro quarti oppure sparendo del tutto per venir subito sostituiti da pattern molto più convoluti presi in prestito all’UK bass più storta o alla footwork. Anche i sample vocali, di cui è pieno il disco, sono quasi sempre snaturati talmente tanto da raggiungere una dimensione molto più vicina al mondo inorganico che a quello naturale: le esclamazioni secche di The GL Lights, il throat singing robotico di WTF, i continui pitch shift di Don’t Worry We Happy fanno sembrare SickElixir un rave di Transformers. Questa instancabile manipolazione sonora e strutturale martella senza tregua l’ascoltatore, sommergendolo di input e quasi privandolo della connessione con un groove comunque presente, ma il cui corso viene continuamente interrotto o deviato come in un torrente pieno di rocce. In questo delirio ferrofluido raramente una melodia riesce ad annaspare fino a galla, e le poche che ci riescono vengono immediatamente soggette a una zombificazione chopped and screwed.
È pertanto interessante ragionare su come, secondo lo stesso Jamie Roberts, SickElixir abbia tra le tematiche centrali il cordoglio, le battaglie perse con la dipendenza da sostanze che hanno causato l’overdose di suoi amici di lunga data e portato egli stesso a dover allontanarsi dalle scene e cambiare stile di vita. Questi argomenti sono evidentemente trattati non tramite canonica emotività, bensì per mezzo di una rottura catartica col dancefloor, deturpando la musica da club fino a rendere impossibile seguirne la pulsazione, una pazzia che mette sistematicamente a nudo, per quanto alla rinfusa, tutte le sfaccettature di un lungo percorso artistico, e più di questo luci ed ombre di uno stile di vita. Il piglio del musicista da boiler room è ancora là, sfigurato come nel peggior incubo di Aphex Twin eppure più vivido che mai. “Non posso spiegarti il mondo”, dice Lucifero a una sua vittima nello splendido Diabel di Zulawski, “posso danzartelo!” – per poi dimenarsi assurdamente.





